Piazza Sant’Ambrogio, a Firenze, ore 18 del 5 ottobre. Piazza piena, lavoratori, sindacalisti, politici, cittadini e cittadine. Fianco a fianco. Tanti sono rider, compagni di Sebastian, che a 26 anni si è scontrato contro un suv in una serata buia in cui correndo andava a portare da mangiare a qualcuno. Correndo, perché la corsa, quella dettata da un maledetto algoritmo che incita a correre di più, a consegnare di più, a pedalare o sgassare sempre di più se vuoi aggiudicarti più consegne, la corsa è la cifra base di questo lavoro: correre, sempre, più veloce, più veloce.... e non basta mai.
Così Sebastian Galassi, 26 anni, fiorentino, è andato correndo incontro alla morte la sera del 2 ottobre, lui che faceva quel “lavoretto” per mantenersi agli studi all’università, studiava design e grafica per il web. Un “lavoretto” quello che ha ucciso Sebastian, che ha già chiesto altre vite: nella sola Toscana nel 2022, come ha ricordato anche il sindaco Dario Nardella, altri due morti, William De Rose, che ha perso la vita lo scorso 25 marzo a Livorno, e Romulo Sta Ana, morto il 29 gennaio a Montecatini.
La piazza è piena, scatta la contestazione quando il presidente regionale Eugenio Giani porta la sua solidarietà al presidio. Perché c’è tristezza, ma anche tanta rabbia. Rabbia perché nonostante gli accordi e le sentenze si continua a morire, correndo per la città senza guardare a niente, con l’idea fissa di fare presto, perché l’algoritmo non perdona, e se sei “lento” ti mette in fondo, ti esclude. Lo sciopero ha riguardato i rider fiorentini delle società aderenti ad Assodelivery (Glovo, Deliveroo, Uber) ma anche quelli inquadrati come dipendenti nel comparto logistica (Just Eat e Runner Pizza), in solidarietà con i colleghi. Per tutti, l’esigenza di richiamare l’attenzione alla salute e sicurezza del settore.
In occasione della manifestazione a Firenze, sono partite iniziative di protesta e sensibilizzazione anche in altre città come Milano, Torino, Perugia, Roma. In piazza Sant’Ambrogio diversi rider dal sagrato hanno preso parola per raccontare le loro storie. Uno fra i tanti, Riccardo, 22 anni, fiorentino, racconta le condizioni effettive in cui si lavora: “Lavoro sia per Just Eat che per Glovo - dice - studio all’Università di Firenze. Lavoro per due piattaforme perché una non basta per arrivare a fine mese. È molto semplice: una delle due, Glovo, paga per ogni consegna che faccio, l’altra invece mi contrattualizza come lavoratore dipendente. Saremmo inquadrati con il contratto nazionale della logistica”, spiega Riccardo. Dunque dovrebbe essere tutto abbastanza regolare. Ma c’è un ma: “C’è un accordo integrativo aziendale - continua il rider - che peggiora il contratto, levando le maggiorazioni, la tredicesima, la quattordicesima, abbassa la paga base e contempla contratti di 10-15 ore. Di fatto ciò crea una compartecipazione fra le piattaforme, e incide sui nostri ritmi di lavoro. Significa lavorare di fila per ore, correndo, aspettando i tempi dei ristoranti, correndo ancora per rispettare la consegna e facendo attenzione al traffico. Conosco tantissimi colleghi che come me lavorano per più piattaforme. La ragione è ovvia: nessuna piattaforma garantisce una paga base che consenta di arrivare a fine mese senza stress, e quindi in condizioni di sicurezza quando si corre”.
“Quanto successo è inaccettabile. Ringraziamo i tanti rider che hanno scioperato rischiando in proprio. Da Firenze il messaggio che parte oggi è forte: basta cottimo, basta morire per una consegna. Non si può andare avanti così. Chiediamo alle società aderenti ad Assodelivery di assumersi le proprie responsabilità, di riaprire i tavoli di confronto col sindacato e di garantire piene tutele ai propri rider, a partire da un modello retributivo che superi la paga a cottimo e assicuri un corretto inquadramento contrattuale, così come sancito dalle sentenze che in questi mesi sono state emesse da più tribunali. Lavoratori e lavoratrici del settore delivery hanno bisogno di tutele, diritti, paghe decenti, sicurezza sul lavoro, in antitesi a un modello che spinge a correre per consegnare e guadagnare di più. È l’ora di risposte vere, senza le quali siamo pronti a mobilitarci come già fatto in passato. Chiediamo anche alla politica di fare la propria parte. La lotta non finisce qui”, dicono dalla Cgil, che tiene un’assemblea con i rider dopo il presidio.
In realtà ciò che succede sulle strade della città e del paese non è altro che il risultato di quella che nel 2019 si chiamava gig economy, basata sulle piattaforme on line. Una forma di lavoro che mette in crisi il concetto stesso di lavoro e lavoratore. I “lavoretti”, che poi lavoretti non sono, perché il lavoratore rischia di rimanerci appeso per tutta la vita, come dimostrano gli incidenti occorsi a gente di oltre 40 anni, perché deve trovare il modo di sbarcare il lunario. Lavori difficili da regolamentare, liquidi, difficili da controllare, nonostante gli accordi, gli impegni istituzionali, le sentenze.