Il rischio è il loro mestiere. Sanno muoversi con i piedi di piombo dentro la Ecobat di Paderno Dugnano, alle porte di Milano. Un’azienda specializzata nel recupero delle parti in piombo dalle batterie delle automobili, da quelle che servono per i movimenti dei carrelli elevatori e dei muletti. Un lavoro necessario e utile, vista la pericolosità per la salute dell’uomo del metallo pesante, che non per caso è stato tolto, solo per fare un esempio, dalla benzina che viene venduta ogni giorno nella miriade di stazioni di servizio disseminate lungo la penisola.
Emanuele Geronimo vuol bene alla sua fabbrica, si potrebbe dire che sono cresciuti assieme. Lui ci entrò appena diciottenne, nel 1980, quando i due stabilimenti gemelli di Paderno Dugnano e Marcianise nel casertano ancora non erano stati acquistati dalla multinazionale statunitense. “Tra i proprietari c’è stata anche l’Eni”, ricorda Geronimo, che ha passato i quarant’anni di anzianità di servizio. Insomma è un ‘senatore’ dello stabilimento milanese. “Conosco ogni angolo di questa fabbrica - spiega con una punta di soddisfazione - sono stato impiegato in ogni reparto, dalla guida di mezzi pesanti, quelli targati Caterpillar per intendersi, al settore della depurazione passando per quello della manutenzione”.
Geronimo non nasconde un ‘legame sentimentale’ con quelle mura, quello strano rapporto che nasce tra chi per vivere deve lavorare e il luogo dove poter, appunto, lavorare. Poi l’occhio del metalmeccanico si alza per osservare la situazione generale: “Quello di Paderno era un tessuto industriale importante, nella miglior tradizione lombarda. Però negli ultimi venti, venticinque anni c’è stato una progressiva, generale riduzione della manifattura. Ora per contare le aziende rimaste bastano e avanzano le dita delle mani”.
Ecobat conta oggi circa ottanta addetti, alla gemella di Marcianise ce ne sono altri sessanta. “A questi numeri - puntualizza Geronimo - vanno aggiunti i compagni di lavoro delle ditte in appalto. Già ai tempi dell’Eni furono ‘terziarizzate’ una serie di attività. Un meccanismo che è andato avanti in tutti questi anni”. E se il Covid ha reso alla moda il termine sanificare, alla Ecobat sono dei pionieri, vista la pericolosità delle lavorazioni. “Da queste mura non esce assolutamente niente che non sia stato ripulito da sostanze pericolose”.
Da sempre iscritto alla Fiom Cgil, Emanuele Geronimo è delegato sindacale fin dagli anni Novanta, ed ha anche la delega alla sicurezza. Si occupa della prevenzione degli infortuni e protezione dell’ambiente di lavoro. “Purtroppo sotto questi aspetti ho assistito a un’involuzione generale. Negli anni Ottanta, pur in assenza di leggi specifiche, esisteva una sorta di codice non scritto ma applicato alla lettera per evitare incidenti. Era naturale occuparsi di tutte le fasi delle lavorazioni e dei colleghi, dei compagni di lavoro che erano impegnati a svolgerle. Poi le leggi sono arrivate, ma l’avvento dei social ha esasperato gli individualismi”.
Nei primi quindici anni di lavoro di Geronimo (“sono stato assunto l’1 aprile 1980, per fortuna non era uno scherzo”), i cellulari non c’erano o non erano alla portata di tutti; ora nessuno può farne a meno, e da quando sono entrati in produzione gli smartphone siamo tutti perennemente collegati. Ogni dipendente di Ecobat deve sottoporsi a scrupolose procedure prima di entrare e uscire da lavoro. “La nostra tenuta viene sterilizzata tutti i giorni, ci forniscono pantaloni, giubbe, scarpe. Abbiamo caschi elettroventilati con filtri a carbone attivo. Uno di questi caschi costa 850 euro, ogni addetto ne ha un paio. La pulizia dei capi è meticolosa, prima di andare in mensa ci togliamo di dosso tutto ciò che può in qualche maniera essere stato contaminato”.
Nonostante gli accorgimenti, il lavoro resta pericoloso, gli incidenti sono un rischio concreto. Non solo sulle lavorazioni specifiche, ma anche nella fase di movimentazione del materiale. “L’attenzione sull’impatto ambientale delle nostre lavorazioni è massima - aggiunge Geronimo - dallo stabilimento non esce nemmeno uno spillo che non sia stato controllato e sanificato. Le acque reflue vengono sistematicamente analizzate e monitorate”. Un microcosmo a sé stante, dove per entrare devi spogliarti completamente e indossare la tenuta da lavoro, dove nella dotazione di ogni addetto c’è perfino la spazzolino per togliere eventuali residui da sotto le unghie, un mondo dove la parola sicurezza viene declinata in ogni fase delle lavorazioni, perché se è vero che né i comuni cittadini né le aziende possono rinunciare alle batterie, è altrettanto vero che i residui sono a dir poco pericolosi.
L’orgoglio operaio di Emanuele Geronimo traspare da ogni sua parola, insieme alla palpabile delusione per la destrutturazione in atto del sistema manifatturiero. “Senza politiche industriali, un Paese è destinato a rimanere al palo”.