Milano, 6 giugno: partigian* della pace - di Angela Amarante

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“Non c’è bisogno di avere principi etici intransigenti, né visioni politiche specifiche, per capire che la guerra come strumento non funziona”. Lo diceva il compianto Gino Strada. Parole riprese dal referente nazionale di Lavoro Società, Giacinto Botti, in apertura dell’iniziativa “Partigiane e partigiani di Pace, contro la guerra, contro il riarmo”, alla Camera del Lavoro di Milano il 6 giugno.

Una iniziativa “in coerente continuità con le mobilitazioni per la pace cui la nostra organizzazione ha dato vita in tutto il Paese – ha evidenziato Botti - per dare voce e rappresentanza al sentire maggioritario del popolo italiano”. La Cgil ha assunto posizioni chiare e nette contro la guerra, l’invio di armi e il riarmo, “ribadite nelle piazze da Maurizio Landini”.

È netta la posizione di Botti. “L’Italia è in guerra. All’inizio la motivazione era aiutare la resistenza del popolo ucraino, ma oggi è chiaro che, con l’invio delle armi, siamo una nazione cobelligerante senza che nemmeno si sia pronunciato il Parlamento. La guerra non ha cambiato di segno, è cambiata solo la fase: è sempre stata una guerra combattuta per procura sulla pelle del popolo ucraino per colpire la Russia”.

“Solo la politica poteva impedire la guerra”. Parole di Angelo d’Orsi, storico e giornalista. D’Orsi ha citato Giulietto Chiesa: “Diceva che la terza guerra mondiale sarebbe partita dall’Ucraina, non siamo così lontani”, perché l’Ucraina è terra di confine, “una donna contesa da due giganti nerboruti, Polonia e Russia”. Per lo storico, già tacciato di filo putinismo, l’unico modo per capire ciò che sta accadendo è risalire alle cause. Cioè gli accordi di Minsk che “Kiev si è sempre rifiutata di rispettare”. “Questa guerra viene da lì. Poteva essere evitata. Ci voleva la politica. Una politica estera europea”.

E la comunicazione, braccio armato della politica? “Sciatta”, l’ha definita Alessandro Gilioli, direttore di Radiopopolare, secondo cui non c’è un pensiero unico ma “egemonia mediatica” sì. I grandi organi di stampa e i tg sono schierati per l’invio di armi. “Nel nostro paese l’informazione non è in grado di separare i fatti dalle opinioni – ha detto Gilioli - informare in modo equilibrato non significa essere equidistanti ma avere onestà intellettuale”. Per il direttore di Radiopopolare assistiamo al “degrado culturale” dei media, scatenato da “un pregiudizio filoamericano”, una modalità “sciatta e facilona” di affrontare le grandi questioni, e non da ultimo sono gli editori a rappresentare un problema per la libertà d’informazione.

Far cambiare la scelta sull’aumento delle spese militari e far approvare il Trattato di proibizione delle armi nucleari: è l’appello a governo e Parlamento promosso, tra gli altri, dagli ex presidenti della Regione Toscana, Claudio Martini e Enrico Rossi, insieme a rappresentanti di varie religioni e orientamenti politici, e dagli ex ministri Vannino Chiti e Rosy Bindi, presente all’iniziativa.

“Per quanto le politiche di difesa siano politiche pubbliche, ci sono delle priorità”, ha dichiarato l’ex ministra. “Dopo due anni di pandemia non si possono togliere risorse alla sanità, alla scuola”. E anzi: “In tempi di carenza di risorse darsi delle priorità è ancora più importante”.

“O decidiamo di rilanciare l’Europa o la conseguenza del conflitto sarà un suo indebolimento”, ha ammonito. “Non è il momento per una corsa alle armi ma di avere una unica politica estera per avere più autorevolezza all’interno della Nato e nei confronti degli Stati Uniti”.

A chi paragona la resistenza italiana a quella ucraina, Bindi risponde che c’è una differenza. “I nostri resistenti avevano una visione del futuro, sapevano cosa avrebbero fatto dopo: la nostra democrazia”. L’appello dell’ex ministra è di “farsi sentire”. Con un monito alla politica, ai sindacati, agli intellettuali: “globalizziamo la politica”, altrimenti “il vuoto viene riempito dalle armi”.

Coesistenza pacifica: per Susanna Camusso queste parole sono scomparse dal nostro lessico. “Si parla di pace, prevalentemente disprezzata nel lessico dei talk show, ma non si parla di coesistenza pacifica” che presuppone un progetto collettivo e “il riconoscimento delle parti; non c’è coesistenza pacifica se si pensa che qualcuno debba scomparire dall’orizzonte. Ma se è così che cosa ci aspettiamo dall’Europa? L’autorità politica europea esiste? O si limita a fare tifoseria a bordo campo?”. Altra parola scomparsa: neutralità.

 

Per Susanna Camusso “non c’è una via diplomatica che permetta di far uscire l’Europa dalla guerra se non c’è un’idea di quale politica sociale debba accompagnarla”. Altrimenti a pagarne il prezzo saranno lavoratori e disoccupati. Tre questioni sollevate da Camusso: “Il Parlamento deve discutere il Pnrr alla luce del fatto che sono cambiati i costi dell’energia”, “non possiamo accettare che la guerra sia arricchimento per pochi e impoverimento per altri”, “chi sostiene che si possa fare il salario minimo se si abolisce il reddito cittadinanza” pensa alla guerra tra poveri.

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