La vittoria del Sinn Fein nelle elezioni in Irlanda del Nord mi rende particolarmente contento. Da parlamentare europeo ho condiviso la legislatura con le loro due elette. Mary Lou McDonald, che oggi è la leader del partito dopo Gerry Adams, e un’altra deputata era particolarmente attenta a sanità e ambiente. Ricordo che spesso si parlava. Io avevo in mente un film che mi aveva colpito, “La moglie del soldato” che mostrava l’irrompere di nuove tematiche nello scenario del conflitto civile militarizzato. Nelle discussioni trovavo conferma. Venne anche a trovarci proprio Gerry Adams a Strasburgo, e ricordo che caso volle che ci fosse anche mia madre. La portai ad assistere alla conferenza stampa del leader e lei si avvicinò molto anche affascinata dalla sua figura. La sera Euronews, mi sembra, mandò in onda delle immagini in cui si vedeva mia madre che seguiva con massima attenzione. Ne risi e scherzai con lei raccontandole la storia complicata, che stava prendendo un altro cammino.
Quando si discusse di porre termine alla “eccezione” irlandese sulla legge per l’aborto della Gran Bretagna in Irlanda del Nord, il Sinn Fein cattolico si schierò a favore delle donne a differenza del Dup, partito unionista protestante. Nella terra degli “istituti Magdalene” era una gran cosa. Adams lasciò intanto la leadership a Mary Lou McDonald, e iniziò una evoluzione femminista e sociale del partito. Nessun rinnegamento dell’identità repubblicana e della volontà di riunire l’Irlanda. Ma una attenzione sempre più forte ai valori sociali e civili e non solo nazionali. Cosa che ha premiato. Il Sinn Fein, nel recente voto, per la prima volta è il primo partito per numero assoluto di voti, oltre il 29% delle “prime preferenze” e di eletti, 27, con 14 donne e 13 uomini.
La leader, Michelle O’Neill, è ora candidata a premier. La strada non sarà facile perché le regole sancite per porre termine al conflitto militare prevedono una convivenza al governo dei primi due partiti per garantire le due anime. Ma il Dup recalcitra ad accettare la norma che consegna il premierato al partito più rappresentato. Minaccia ostruzionismo fino ad arrivare a nuove elezioni. Concentra il fuoco sul Protocollo tra Ue e Regno Unito, trovando ora sponda in Johnson, che chiede alla Ue una “rinegoziazione”.
Il Dup ha perso molto alle elezioni, scendendo al 20% con tre seggi in meno. Ha perso anche verso l’Alliance, partito centrista che incarna un nuovo pragmatismo responsabile. La campagna dei conservatori unionisti è stata molto revanscista e malpancista. Tutta sul Protocollo che, a seguito degli accordi della Brexit, ha reso più complicati i rapporti anche commerciali con l’Inghilterra lasciando più fluidi quelli con l’Eire, che è rimasta nella Ue. Il Dup era schiacciato su Johnson, che però era anche il negoziatore della Brexit e dunque responsabile del Protocollo.
Al contrario la campagna del Sinn Fein è stata tutta sociale. Salari, casa, sanità, in un Paese che aveva conosciuto l’austerità e poi la pandemia. Il tema dell’unità repubblicana dell’isola è stato lasciato ad un percorso storico, cercando ora di cementare un consenso sociale progressista. Così è stato, anche surclassando i socialisti e sussumendo l’ambientalismo, con i verdi in calo.
Naturalmente gli assetti complessivi dell’isola rimangono di attualità. Vanno peraltro guardati dentro le conseguenze della Brexit, del neo-atlantismo molto militarizzato dell’Inghilterra di Johnson (ma non solo), delle spinte autonomiste scozzesi e gallesi, di ciò che succede alla Ue alle prese con la guerra, con la pandemia ancora in corso e la crisi economica mai superata.
Non appare un caso che, anche in Irlanda, una forza che fa parte del gruppo parlamentare europeo The Left sia capace di legare sociale e geopolitico, e di conquistare il primo posto. Sono in ballo per farlo anche Syriza in Grecia e la Nupes in Francia. Una indicazione che deve insegnare anche a noi.