Coordinata da Cinzia Abramo del direttivo Cgil Umbria, si è svolta a Perugia un’iniziativa promossa da “Lavoro e Società per una Cgil unita e plurale” sul tema del lavoro povero, dalla politica dei redditi all’economia di guerra.
L’introduzione di Mauro Moriconi, della segreteria Cgil Perugia - dopo un richiamo a non disperdere la ricchezza storica della sinistra sindacale organizzata, e all’importanza dell’aggregazione programmatica per il pluralismo delle idee in Cgil - ha analizzato (anche con dati Censis e del rapporto Caritas) le cause della progressiva perdita di potere di acquisto dei salari, con circa 3 milioni di persone nella sfera del lavoro povero nel 2020: precari, irregolari, ma non solo. Anche i contratti a 1.200 euro al mese, a causa di carovita e caro energia, rischiano di perdere, solo nel 2022, un 1/5 di potere d’acquisto.
Le cause sono molteplici: lunga stagnazione, blocco dei contratti, ridotta dimensione d’impresa, contratti pirata, concorrenza al ribasso sui costi, appalti e subappalti, part-time involontario, lavori discontinui, delocalizzazione nei paesi in via di sviluppo e fenomeni migratori, con una competizione al ribasso sui salari dei lavoratori meno qualificati. Ma anche la liberalizzazione del mercato del lavoro, l’indebolimento del potere contrattuale dei sindacati e il minor ricorso alla contrattazione centralizzata hanno avuto ripercussioni negative sui salari.
L’Italia è fanalino di coda in Europa, e in Umbria cresce il gap con la media nazionale e con le regioni del centro-nord, anche tra le generazioni. In tutta Italia i lavoratori sotto i 35 anni guadagnano meno dei loro predecessori, e l’Umbria è sotto la media nazionale. Questo spiega il progressivo impoverimento demografico: negli ultimi dieci anni oltre 5mila umbri, tra i 18 e i 39 anni, si sono trasferiti in altri Paesi o in altre regioni.
Su questa situazione si abbatte la tragedia della guerra, con conseguenze drammatiche per le martoriate popolazioni dell’Ucraina, e indirettamente sulle classi subalterne di tutto il pianeta.
Il professor Alessandro Volpi (Università di Pisa) ha posto l’attenzione sui riflessi perversi della finanziarizzazione dell’economia. La ripresa dell’inflazione, generata per oltre metà dai prezzi dell’energia, non dipende da dinamiche di domanda e offerta ma dalla speculazione finanziaria. Il tutto aggravato dall’assenza di strumenti di indicizzazione dei salari.
Vinicio Bottacchiari, economista, già direttore di Sviluppumbria, ha evidenziato come globalizzazione, delocalizzazioni e intermediazioni, insieme a innovazione tecnologica e digitalizzazione, abbiano provocato un cambio di paradigma che riduce il valore della professionalità dei lavoratori, sempre più guidati dalle macchine e quindi sempre più fungibili, con conseguente perdita di potere contrattuale per i sindacati. Sull’Umbria (dove i risparmi sono aumentati) ha sottolineato la necessita di politiche industriali che consentano la realizzazione di cicli produttivi completi, e non solo di subfornitura (oggi il 66% in regione).
Alessandra Lecce, delegata di Sda (ma con esperienze di lavoro nell’insegnamento e nell’assistenza sociale) ha dato testimonianza diretta della frustrazione, ma anche rabbia di lavoratori e lavoratrici in una situazione di precarietà, bassi salari e impoverimento del welfare (a partire dalla sanità). Ha anche fornito proposte (riferendosi ai conflitti dal basso, come la lotta dei lavoratori Gkn) affinché anche la Cgil possa farsi interprete di quei bisogni e di quella rabbia, indirizzandola nella giusta direzione. A partire da una battaglia per il salario minimo, elemento essenziale per iniziare ad arginare questa lunga deriva.
Maurizio Brotini, della segreteria Cgil Toscana, ha ricordato che la situazione attuale è frutto di scelte politiche, a partire dalla politica dei redditi del ‘93 ad oggi, che avevano e hanno l’obiettivo di scaricare i costi delle crisi sulle classi subalterne.
Giacinto Botti, referente nazionale “Lavoro e Società per una Cgil unita e plurale”, nell’intervento conclusivo ha ricordato che lo sciopero generale del 16 dicembre è stato decisivo punto di riferimento per le battaglie che abbiamo di fronte, in un Paese con un impianto culturale arretrato, un sistema produttivo e un quadro politico non all’altezza delle sfide attuali. Ci vuole l’umiltà di ascoltare quella gran parte di mondo del lavoro che non intercettiamo (oltre il 90% delle imprese ha meno di 10 dipendenti), rilanciando battaglie generali per un cambio di paradigma, ridurre le enormi diseguaglianze, per la riduzione dell’orario di lavoro, l’aumento dei salari, una riforma fiscale progressiva, con un’imposta patrimoniale e una vera lotta all’evasione, per la pace e la riduzione delle spese militari. Dobbiamo far vivere le nostre idee tra i lavoratori per far acquisire la consapevolezza che la Cgil, con il suo pluralismo e la sua capacità di autonomia, è lo strumento delle battaglie per i diritti e per la dignità della persona.