Gianluca Lentini, Storie del clima, Hoepli, pagine 137, euro 12,25.
Il clima ha sempre rivestito un’importanza notevole in tutte le società antiche per i riflessi meteorologici di temperature e precipitazioni sulla sorte dei raccolti agricoli, come per il destino di imprese belliche e navigazione. Infatti, già con i Greci, attraverso Aristotele, Ippocrate ed Eratostene, si sviluppò un certo determinismo climatico di tipo razionale, che individuò nelle connessioni tra dinamiche dell’atmosfera e i diversi gradienti termici le condizioni dello stato di salute o di malattia dei popoli. Mentre per i Romani la nozione di equilibrio nella relazione tra uomo e ambiente fu al centro delle riflessioni di Lucrezio e Seneca, al punto che le attività di estrazione mineraria vennero descritte come caso di disordine turbativo della realtà.
Altresì, come segnala acutamente Gianluca Lentini nell’agile volumetto “Storie del clima”, la visione taoista in auge in Cina concepì l’investigazione della natura ai fini dell’armonia sociale e politica, anticipando l’Occidente sugli strumenti (igrometri, pluviometri, nivometri, anemometri) per pianificare qualunque tipo di attività sulla base della regolarità dei ritmi delle stagioni. Contemporaneamente, in India la previsione meteoreologica a breve, medio e lungo periodo, fu legata allo stretto rapporto tra il ciclo dei monsoni e la conseguente disponibilità di cibo, mentre in Giappone la raccolta dei dati di prossimità riguardava sia la data di fioritura dei ciliegi che quella del congelamento della superficie del lago Suwa. Infine, anche nella civiltà islamica, intorno all’anno Mille, Avicenna nel testo “Canone della medicina” trattò dell’influenza del clima sulla salute, e di come i quattro umori somatici determinassero temperamenti armonici o “squilibrati” dei popoli sulla base delle caratteristiche climatiche delle zone geografiche.
E’ a partire da queste basi che la climatologia deterministica e geografica e la meteorologia pragmatica troveranno una loro prima forma istituzionale con la metà del 1600 attraverso la Rete dei Medici, che, fondata dai discepoli di Galileo, si dedicò all’osservazione del tempo mediante stazioni meteorologiche dotate di un “piccolo termometro fiorentino”; a cui seguirà l’invenzione del barometro a mercurio per opera del matematico e fisico Evangelista Torricelli. Finché nel 1800 il grande esploratore e geografo tedesco von Humboldt, con il trattato “Kosmos”, leggerà i fenomeni locali in relazione al tutto, con una visione globale e olistica del clima, delineando una climatologia comparativa fondata sull’invenzione delle linee isoterme e l’utilizzo di mappe planetarie. La sua sensibilità ecologica colse il danno incalcolabile apportato al clima dalla deforestazione di intere aree del globo, anticipando il concetto di attività umane “imprudenti”.
Nel 1873 si svolgerà a Roma il primo congresso dell’Organizzazione Meteorologica Internazionale, che, con il norvegese V. Bjerknes, nel 1903 definirà una metodologia previsionale dell’atmosfera; successivamente lo svedese Tom Bergeron, promotore di una climatologia dinamica, con previsioni di lungo periodo, individuerà in alcuni cambiamenti anomali del clima quei fattori perturbanti che saranno oggetto dell’attenzione dei maggiori studiosi del XX secolo.
Tra questi studiosi spiccherà il fisico e chimico S. Arrhenius che, riprendendo dalla scienziata Eunice Newton Foote la prima individuazione del biossido di carbonio come gas atmosferico riscaldante, avviò una rivoluzione copernicana nella storia della climatologia, evidenziando in seguito al proliferare delle attività umane l’effetto serra terrestre. Sennonché nel 1938, quando la concentrazione di Co2 in atmosfera risultò pari a 310 ppm, l’ingegnere G. Stewart Callendar collegò l’incremento di biossido di carbonio in atmosfera all’utilizzo dei combustibili fossili, deducendone un aumento delle temperature del suolo per cause “antropogeniche”. Infine nel 1958 sarà inaugurato l’osservatorio di Mauna Loa alle Hawaìì, che diventerà noto per la continua misurazione dell’andamento di concentrazione di Co2 in atmosfera, la cosiddetta curva di Keeling, suo ideatore.
A Michael E. Mann, invece, si deve la ricostruzione paleoclimatologica dell’ultimo millennio, che ha disvelato la “grande accelerazione” a partire dalla metà degli anni ‘50, per via della bulimia consumistica di matrice occidentale. Stiamo viaggiando, come ha segnalato l’economista-ecologo Juan Martinez-Alier, in direzione dei 450 ppm di Co2 in atmosfera, con conseguenze apocalittiche per la sopravvivenza della specie umana, come gli scenari contenuti nell’ultimo rapporto dell’Ippc dell’agosto scorso lasciano presagire.
Perciò, la prospettiva del superamento di 1,5 gradi di riscaldamento climatico previsti come obiettivo dalla Cop21 del 2015 a Parigi è tutt’altro che sorprendente. Nel dibattito sviluppatosi nella prima metà dei ’90 sulla rivista internazionale “Capitalismo Natura Socialismo”, diretta da James O’Connor, era già emersa la grande contraddizione esistente tra le leggi del valore e l’incremento dell’entropia nei sistemi ecologici.