Honduras: partenza difficile per la neo presidente Xiomara Castro - di Vittorio Bonanni

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Sono bastati solo pochi giorni dall’insediamento della presidente honduregna Xiomara Castro e del Congresso nazionale, avvenuto il 27 gennaio scorso, perché scattasse il boicottaggio della destra. Vincitrice lo scorso 28 novembre, l’esponente della formazione di sinistra Libre (Libertad y Refundación), nonché consorte dell’ex Capo dello Stato Manuel Zelaya, deposto con un golpe nel 2009, la leader honduregna ha immediatamente subìto la defezione dalla maggioranza di 18 deputati di Libre, che si sono alleati con il narcogoverno del presidente uscente Juan Orlando Hernández. Obiettivo: eleggere alla guida del Congresso una giunta direttiva diversa da quella prevista dall’accordo tra Castro e il suo vice Salvador Nasralla.

La conseguenza è che il Paese ha ora due congressi: uno guidato da Luis Redondo del Partido Salvador de Honduras di Nasralla, e l’altro presieduto dal fuoriuscito di Libre Jorge Cálix, la cui elezione è avvenuta fuori dal Parlamento, nel club sociale Bosques de Zambrano, a 40 minuti dalla capitale Tegucigalpa.

Ovviamente Castro, che ha fatto appello all’unità del Paese per scongiurare nuovi scenari drammatici, ha riconosciuto solo la nomina di Redondo. Quella di Calix è stata invece sostenuta dal Partido nacional, formazione di destra al potere negli ultimi 12 anni nella figura dell’ex presidente Juan Orlando Hernández, corrotto e compromesso con il narcotraffico, tanto da essere oggetto di un’inchiesta da parte degli Stati uniti, malgrado fosse stato un alleato chiave di Trump per quanto riguarda l’area centroamericana. Al riguardo, la presenza all’insediamento di Castro della vicepresidente Usa, Kamala Harris, lascia sperare in un atteggiamento collaborativo da parte di Washington.

Ma per il futuro è lecito pensare come questo iniziale sostegno possa essere condizionato dalla politica di Castro, che si trova ora alla guida di un Paese che ha bisogno di una svolta radicale e non soltanto di qualche aggiustamento. Secondo quanto riportato dal giornale on line “Pagine Esteri”, le cifre parlano chiaro: dal 2009 il debito pubblico è aumentato del 700%, in buona parte verso l’estero, con conseguenti interessi da pagare pari al 50% del bilancio statale. E c’è un impressionante tasso di povertà, pari al 74% della popolazione. Una condizione che spinge da anni migliaia e migliaia di migranti economici a fuggire per ritrovare una qualche speranza negli Stati uniti, i quali pochi mesi fa, proprio attraverso la voce di Harris, fecero capire che, almeno su questo punto, l’era Trump, ostile a fornire qualsiasi aiuto alle popolazioni centroamericane, era tutt’altro che finita. “Non venite”, disse in Messico la vice di Biden.

La sfida di Castro è dunque enorme e le ricette che ha in mente, “socialismo e democrazia”, non saranno certo gradite alle oligarchie locali: utilizzo dei proventi dello sfruttamento delle risorse naturali per migliorare le condizioni di vita della popolazione, redistribuzione delle risorse, lotta al narcotraffico e alla corruzione, rispetto dell’ambiente e, infine, guerra agli squadroni della morte legati agli apparati più reazionari dello Stato che provocano ogni anno decine di vittime. Nel 2020 in Honduras sono stati uccisi 20 difensori dei diritti umani, sei in più rispetto al 2019. Stessa sorte è riservata agli ambientalisti. Ricordiamo l’omicidio di Berta Caceres, avvenuto nel 2016.

Quanto ai deputati passati alla destra, questo cambio di casacca ha ovviamente indebolito l’esecutivo appena insediatosi, aprendo possibilmente la strada a scenari non nuovi nel continente latinoamericano. Un nuovo colpo di Stato, come quello che depose Zelaya, non è certo da escludere. In una recente intervista rilasciata a ‘il manifesto’, Miriam Miranda, nota leader del popolo garífuna, gruppo etnico di origine mista indigena e africana, ha sottolineato come “a partire dal golpe del 2009, l’Honduras è diventato un perfetto laboratorio politico per quella strategia internazionale neofascista mirata a scongiurare che i popoli assumano le redini del loro destino”.

Va ricordato come l’intero continente latinoamericano, che propone vari e diversi esperimenti di sinistra, sia tuttora ben lontano dall’essere lasciato in pace dallo Zio Sam. Lo dimostra non solo il sostegno ai vari tentativi paragolpisti contro i legittimi governi della Bolivia e del Venezuela, ma anche l’ostilità manifesta nei riguardi del governo di Fernandez in Argentina, mentre per quanto riguarda il Cile bisognerà attendere gli eventi. Senza dimenticare Cuba.

Ben lungi dal tentativo di Obama di avviare una difficile normalizzazione dei rapporti tra Washington e l’Avana, Joe Biden non sembra avere alcuna intenzione di emulare il primo presidente afroamericano della storia degli Usa. Nei confronti dell’Honduras non è improbabile in futuro un tentativo della Casa Bianca di tenere in sella Castro, costringendo però la prima presidente donna della storia honduregna a smussare le proprie rivendicazioni.

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