Sabato 22 gennaio è improvvisamente morto Carlo Parietti, compagno di vita di Elisabetta Ramat, papà di Guido, storico dirigente della Cgil, inossidabile militante politico e amico di tante e tanti che lo hanno conosciuto. Un uomo riservato, elegante e discreto, la cui scomparsa ci addolora e colpisce portando via con sé quei tratti di gentilezza che Carlo esprimeva con profonda umanità e attenzione nel rispetto per il prossimo e le sue sensibilità.
Carlo non perdeva mai la capacità di ascoltare e accogliere gli altri, anche quando, come capita, gli eventi della vita non erano pienamente favorevoli. Perfino in queste circostanze mostrava la marcia in più di chi sa che bisogna guardare oltre. Oltre il proprio destino e le piccole questioni contingenti e individuali. Perché Carlo ha dedicato la vita sua intera al desiderio di trasformare il mondo, migliorare le condizioni di vita delle persone e provare con la forza dell’impegno collettivo a contrastare le ingiustizie.
Questi obiettivi lo guidavano in una visione che non gli permetteva di restare confinato nel “particulare”. All’opposto, erano i grandi ideali di universalità, giustizia, pace e democrazia che ispiravano la sua eterna e quotidiana ricerca di libertà e felicità per tutti. Sempre e senza soluzione di continuità di pensiero, quasi un assillo incessante.
Carlo ed io ci siamo conosciuti solo una ventina d’anni fa, quando entrambi vivevamo a Bruxelles, lui presidente di Eurocadres e io alla Federazione internazionale dei tessili. Di lui sapevo che era stato il portavoce del grande Bruno Trentin e il capo ufficio stampa della Cgil. Mi raccontò lì la sua storia personale, politica e sindacale.
Carlo aveva una memoria impressionante su fatti, personaggi, nomi, date, circostanze e dettagli. Raccontava il tutto con dovizia di particolari che non scindevano mai il privato dal politico: c’erano le storie e c’era lui con il suo pensiero e i suoi sentimenti, trasmessi con generosità e passione. Sia che parlasse della sua esperienza come giornalista che dell’impegno nel Pdup e delle funzioni ricoperte in casa Cgil, non presentava mai sterile cronaca.
Carlo ci teneva a ricreare il pathos da cui racconti e aneddoti scaturivano, e sceglieva accuratamente le parole che li componevano. Spesso ritornava su alcuni di questi, perché nel ricordarli li riesaminava, arricchendoli di commenti e considerazioni, sostanziandoli di nuovi dubbi e quesiti, interrogandosi talvolta anche esistenzialmente sul senso delle cose e degli eventi stessi. In quest’esercizio, c’era il rigore tutto orientato su di sé dell’uomo che non vuole risparmiarsi nessuna sfumatura di conoscenza nella ricerca della verità. Spesso aggiungeva il condimento dell’autoironia, utile ad alleggerirgli il peso di tanto rigore.
E’ anche così che ha coltivato il valore della dialettica, di cui si è ampiamente avvalso sia per cercare e praticare l’unità in campo sindacale, che per inseguire il sogno europeo contro l’individualismo e il neoliberismo in avanzata nel nuovo secolo. Europa e unità sindacale sono stai due veri leitmotiv del pensiero e dell’impegno di Carlo, voluti e cercati in ogni sede e con instancabile tenacia.
Carlo è stato un sano intellettuale, coerente, un uomo naturalmente amabile, aperto alle novità, pronto e capace di offrire conforto e aiuto agli altri nelle piccole cose e nei momenti più gravi e difficili, colto e a suo agio con quasi chiunque. Il “quasi” è d’obbligo, perché rifuggiva da carrieristi, opportunisti e poveri di spirito. Amava la buona cucina, il vino, il cinema, la letteratura, la poesia e la bellezza.
Da qualche anno stava male. Il suo malessere, anche a suo dire, sembrava mettere insieme inestricabilmente mali fisici con sofferenze di natura intellettuale e ideologica per l’ottusità della politica che viviamo, per l’egoismo imperante e per la stagnazione delle idee, per la mancanza di nuovi orizzonti che Carlo non aveva mai cessato di cercare, mai.
Mi piace ricordarlo entusiasta e innamorato della vita. E mi dico che questa ha un senso se la si è vissuta come Carlo ha fatto, imprimendovi un segno indelebile del suo passaggio nel cuore di così tante e tanti che lo hanno incrociato.