La ripresa dei licenziamenti di questi giorni, nonostante l’”avviso comune” siglato da Confindustria e confederazioni sindacali, preannuncia un autunno molto caldo per il mondo del lavoro, effetto principale della grave crisi economica dovuta all’emergenza Covid-19.
Anche il mondo della conoscenza si troverà ad affrontare vecchi e nuovi problemi alla ripresa, sempre alle prese con un tratto costante della storia politica recente del nostro Paese, ovvero quello di essere pensato sotto il profilo del contenimento dei costi e dei vincoli di bilancio. Il Pnrr deve rappresentare l’occasione per superare questo tratto, sia pure con le contraddizioni con cui è stato costruito da un “governo dei migliori” certamente più spostato a destra rispetto al precedente.
Ma partiamo da quello che ci aspetta a settembre. Per la terza volta la scuola rischia di partire in condizioni di emergenza, riproponendo ancora la didattica a distanza (Dad), perché il virus continua a circolare nella sua nuova variante e sono ancora molti nella scuola, come nella società, coloro che non risultano vaccinati: tra il personale circa il 15% e tra gli alunni molti di più, perché non esiste l’obbligo e non è prevista la vaccinazione per gli studenti dalle medie in giù.
Inoltre continuano a non essere risolti i problemi strutturali presenti già prima della pandemia, come i buchi di organico. Le immissioni in ruolo non copriranno tutti i posti vacanti, perché con il decreto sostegni bis si è allargata solo in parte la platea dei precari assumibili, ovvero solo gli insegnanti di sostegno ma non quelli su materie disciplinari. Così si ripartirà con forti vuoti da colmare con i precari. Idem per l’organico aggiuntivo (ata e docenti), perché il cosiddetto “organico covid”, necessario per sdoppiare le classi e garantire il distanziamento, già insufficiente per l’anno scorso, non sarà confermato se non in minima parte, e solo per le attività di recupero degli studenti. Ancora, non è stata prevista alcuna riduzione strutturale del numero di alunni per classe, per cui si riproporranno le “classi pollaio”. Infine, ancora zero interventi per potenziare il sistema dei trasporti, anzi da più parti si spinge perché si tornino ad autorizzare le capienze pre-covid.
Eppure, con il “Patto sulla scuola”, il governo si era assunto l’impegno di affrontare e risolvere questi problemi: dall’emergenza sanitaria alle assunzioni e al numero di alunni per classi. Ma evidentemente tra la firma di un Patto e le sue applicazioni ci sono scelte che il “governo dei migliori” non vuole fare, per non uscire dalla logica del contenimento della spesa che ha contraddistinto le politiche scolastiche degli ultimi venti anni e non scontentare Confindustria, vero estensore del Pnrr e azionista di maggioranza del governo.
Il tentativo di arrivare alla firma di un Patto anche per Università e Ricerca con la ministra Maria Cristina Messa, come chiesto da Flc Cgil, è ancora in alto mare, anche se l’attenzione e le competenze della ministra, contrariamente al passato, paiono all’altezza delle sfide. Quindi la domanda cui dare risposta è quanto pesino questi settori fra le priorità del governo Draghi, e del suo sponsor principale.
Anche qui si sommeranno vecchi e nuovi problemi: precariato, riforma del reclutamento e pre-ruolo per università ed enti pubblici di ricerca (Epr), completamento dei processi di stabilizzazione, rifinanziamento dei fondi per università ed Epr, diritto allo studio, riduzione dei gap con gli altri grandi paesi europei in termini di numero di laureati, potenziamento delle infrastrutture, incremento permanente e significativo del personale di ruolo, valorizzazione professionale e allineamento retributivo ai livelli europei. Tutti temi che saranno al centro del confronto alla ripresa, sia attraverso le emergenze che ad ogni inizio di anno accademico si pongono alle lavoratrici e lavoratori degli atenei e agli studenti, che ai tavoli di confronto che dovranno essere conquistati con il governo e la ministra, anche sull’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Ancora, c’è da aprire la stagione dei rinnovi contrattuali, che vede per il comparto “Istruzione e Ricerca” l’obiettivo primario di risorse aggiuntive a quelle sin qui destinate per legge (il 3,78%) ai rinnovi del Pubblico impiego, per la valorizzazione professionale ed economica del personale. Ma anche su questo, a parte le belle parole e le dichiarazioni di disponibilità - che per università, ricerca e Afam si sono concretizzate nella predisposizione da parte del ministero Università e Ricerca della bozza dell’Atto d’indirizzo per i settori di competenza - non c’è alcun segnale tangibile. Sarà un settembre caldo.