Il 13 giugno 2021 è nato il nuovo governo di Israele
La fiducia è passata per un solo voto – 60 voti a favore, 59 contrari e un astenuto. Dopo 12 anni, il primo esecutivo senza Netanyahu sarà guidato da Bennett, leader del partito di destra Yamina, con una coalizione sostenuta da 8 partiti tra cui, per la prima volta, un partito arabo: Ra'am. Bennett sarà premier fino a settembre 2023, poi subentrerà Yair Lapid, leader dei centristi di Yesh Atid. Per Netanyahu dopo due anni e mezzo di crisi politica e quattro elezioni, si apre la partita con la Giustizia: tre inchieste giudiziarie a suo carico per corruzione, frode e abuso di potere. L’ex capo dell’opposizione Benny Gantz rimarrà ministro della Difesa. Gideon Sa’ar, leader del partito di destra New Hope, sarà prima ministro della Giustizia e poi degli Esteri. Avigdor Lieberman, leader di Yisrael Beiteinu, destra laica, sarà ministro delle Finanze e Ayelet Shaked – destra nazionalista – sarà inizialmente ministra dell’Interno e poi ministra della Giustizia. Il presidente del Labor Meirav Michaeli, sarà ministro dei trasporti. Meretz avrà tre ministeri: il presidente del partito Nitzan Horowitz alla Salute, Tamar Zandberg all’Ambiente e Issawi Freij alla Cooperazione Regionale. Freij sarà il primo cittadino arabo nella storia di Israele ad essere membro a pieno titolo del governo
Per la sua nascita è stato decisivo l’appoggio di Ra’am, uno dei partiti che rappresenta i cittadini arabi-israeliani. Mansour Abbas, il suo leader, è considerato un islamista conservatore. Tra i palestinesi molti lo ritengono un opportunista in cerca di potere personale (Ramzy Baroud).
I suoi 4 seggi erano necessari ai partiti anti-Netanyahu per raggiungere la soglia della maggioranza.
In una recente intervista al Time, Abbas ha dichiarato che “servire i cittadini arabi e proporre soluzioni per i loro problemi” è la sua priorità: criminalità, violenza, povertà, mancanza di case e di riconoscimento per le comunità nel deserto del Negev. Non certo la fine dell’occupazione.
In cambio del suo sostegno, ha avuto la promessa di misure che risponderebbero parzialmente a questi problemi. Sembra (sito Globe) che Abbas abbia ottenuto che il prossimo fondo quinquennale per lo sviluppo delle comunità arabe sia quasi il triplo dell’ultimo in vigore: 30 miliardi di shekel – circa 7,6 miliardi di euro – contro gli 11 del piano precedente. E’ stato nominato sottosegretario per i Rapporti con la comunità araba.
Diana Buttu, avvocata e attivista per diritti palestinesi, ha detto ad Al Jazeera: “Come palestinesi, il nostro ruolo non prevede di fare l’ago della bilancia ma di opporci a questo sistema e proteggere la nostra comunità, l’idea che in qualche modo Abbas avrà potere sufficiente per approvare delle misure che bilanceranno le leggi razziste che riguardano i palestinesi è una barzelletta”.
Tra le associazioni amiche di Israele, c’è chi esalta il nuovo governo come “il governo più inclusivo di sempre, con arabi, donne ed ebrei di colore che ricoprono ministeri vitali”, dice la Maggioranza Democratica per Israele, gruppo conservatore. E i sionisti liberali sono contenti perché i loro alleati in Israele, i partiti Meretz e Laburista, sono tornati al governo dopo anni, mentre i partiti ortodossi sono allo sbando, vero cambiamento nella cultura politica israeliana.
Daniel Sokatch, del New Israel Fund, definisce il nuovo governo “rivoluzionario” per la storica inclusione del partito palestinese Ra'am.
Ma non tutti i gruppi ebraici la pensano così. “Non celebriamo il governo Bennett-Lapid. Ancora apartheid!”, dice il giovane gruppo IfNotNow. “La scorsa notte Israele ha bombardato di nuovo Gaza”. Ken Roth di Human Rights Watch, conferma il punto dell’apartheid: “Se il nuovo governo di coalizione israeliano vuole davvero riparare i legami israeliani con il Partito Democratico degli Stati Uniti e la diaspora ebraica, potrebbe iniziare a smantellare l’apartheid nei Territori palestinesi occupati che il governo Netanyahu ha fatto tanto per costruire”.
Rashid Khalidi, storico palestinese americano, afferma che Israele deve affrontare un “futuro decolonizzato di uguaglianza”, oggi è anacronistico.
La domanda conclusiva è: riuscirà il popolo palestinese - a Gaza, a Gerusalemme Est, in Cisgiordania e nella diaspora - a sfidare Israele costruendo una solida unità che includa anche i palestinesi di Israele, dando un seguito politico alle non sopite rivolte di maggio?
(Le informazioni per questo articolo sono tratte da: Haaretz, Mondoweiss, +972 Magazine, Ispionline.it, progressiveisrael.org)