Sta per concludersi un anno orribile, caratterizzato dalla pandemia di Covid-19, con 70 milioni di contagiati e oltre un milione e mezzo di morti nel mondo. L’Italia non ha retto bene: è tra i Paesi con il numero più alto di vittime in rapporto a malati e popolazione. La Cgil si è battuta con ogni mezzo per la vita e la salute delle persone. E per contrastare le pesantissime conseguenze sociali della crisi economica indotta dalla pandemia, la più grave del dopoguerra, innestatasi su quella che dura dal 2008-2009. Protocollo su salute e sicurezza, blocco dei licenziamenti, ammortizzatori e reddito di emergenza: conquiste importanti, anche se insufficienti.
Il 2021 porta tremende sfide e opportunità. Deve essere l’anno dei vaccini. Ma la sfida è non solo sull’efficacia, ma sull’universalità e gratuità. Vuol dire vaccini per tutta la popolazione mondiale, a partire dai più poveri e vulnerabili, mentre ad oggi grandi quantità sono acquistate solo dai paesi più ricchi. Le multinazionali del farmaco, finanziate in modo ingente dagli Stati, devono rinunciare a brevetti e profitti. Vaccinare tutto il mondo è una misura di giustizia e diritto. E la condizione per la salute di tutti. Alla faccia dei sovranisti, la pandemia è inesorabilmente globale e va affrontata globalmente.
Sarà l’anno del Next Generation Eu. La possibile “nuova” Europa – che sospende il patto di stabilità e il divieto di aiuti di Stato e lancia un programma illimitato di acquisto di titoli pubblici da parte della Bce – convive con la vecchia Europa neoliberista dell’austerità. La riforma del Mes – su cui si compatta la maggioranza di governo – appartiene alla vecchia Europa: consegna a governi e banche dei Paesi forti e “rigoristi” il controllo dei Paesi deboli e più indebitati. Il contrario dell’Europa sociale e solidale che serve per uscire dalla crisi: eurobond, mutualizzazione (e cancellazione, come propone Sassoli) del debito, Bce vera Banca centrale, fine del patto di stabilità.
È strumentale lo scontro aperto da Renzi sul Recovery plan. Certo, la moltiplicazione delle task force è paradossale quando si taglia il numero dei parlamentari e si agisce al di fuori di un apparato pubblico via via depauperato dai tagli di bilancio. Il sacrosanto sciopero del 9 dicembre aveva proprio al centro il rilancio della pubblica amministrazione, a partire dal necessario piano di assunzioni.
Governo e maggioranza devono aprire subito il confronto col sindacato. Il Recovery plan deve creare lavoro, diffuso, stabile e qualificato, deve rilanciare la sanità pubblica ben oltre gli annunciati 9 miliardi, deve affrontare le sfide della riconversione ecologica, della disoccupazione giovanile e della fine del blocco dei licenziamenti, anche con politiche di riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario.
Grazie a delegate e delegati delle categorie, attiviste e attivisti dello Spi, la Cgil e le altre confederazioni sono in campo in un periodo così difficile e drammatico, e saranno ancora protagonisti nel difficile ma cruciale anno che verrà.