L’Argentina senza Maradona. Tra Fondo monetario e bisogni popolari - di Vittorio Bonanni

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Neanche la morte del Pibe de oro è stata l’occasione per le forze politiche argentine di sotterrare l’ascia di guerra. Yamil Santoro, leader dei Repubblicani Uniti, una forza politica di opposizione, ha accusato il presidente Alberto Fernandez, subentrato al posto di Maurizio Macri alla Casa Rosada il 10 dicembre 2019, di violazione della Costituzione. Questo perché il Capo dello Stato avrebbe ignorato le norme anticovid, permettendo a migliaia di persone di accalcarsi per rendere omaggio a Maradona, non rispettando così la distanza di sicurezza. E di aver permesso ai familiari del famoso calciatore di organizzare una veglia diversa da quella riservata a qualsiasi altra famiglia argentina.

Non sta a noi giudicare decisioni così particolari in un momento difficile per tutti da affrontare. Resta il fatto che questa terribile pandemia viene utilizzata dalle forze politiche per un proprio tornaconto. Ma tant’è. Restano i problemi di un Paese il quale, malgrado le velleità da nazione europea, ha conosciuto e conosce gli stessi problemi degli altri paesi del continente, come le dittature militari, le pesanti e sanguinose ingerenze degli Stati Uniti, e sacche importanti di povertà endemica, con una inflazione sempre a due cifre. Nodi mai risolti dai veri e differenti governi che si sono succeduti.

A cercare di dirimere questa matassa di problemi che affliggono il più grande paese latino-americano di lingua spagnola è appunto Fernandez, rappresentante della coalizione “Juntos por el cambio”, un’alleanza peronista di stampo socialista, vincitrice contro il presidente uscente Maurizio Macri, le cui politiche liberiste hanno ulteriormente impoverito la popolazione. Malgrado i precedenti dissidi, la vicepresidente è Cristina Fernandez de Kirchner, moglie del defunto Nestor, alle cui politiche sociali e di non allineamento alle regole del Fondo monetario internazionale (Fmi) si ispira Fernandez.

Detto questo la sfida che si è presentata, e si presenta tuttora al nuovo Capo dello Stato, fa tremare i polsi. La prima è quella di coniugare le aspettative della popolazione con quelle, appunto, del massimo organismo economico del pianeta, responsabile tra le tante delle drammatiche condizioni in cui vivono le popolazioni dei paesi più poveri. Tuttavia gli investitori che in un primo momento avevano temuto la vittoria di Fernandez si sono dovuti ricredere. Il nuovo leader ha infatti rassicurato gli investitori, manifestando l’intenzione di rinegoziare il debito in modo graduale. La stabilità del peso e una leggera diminuzione della inflazione, sotto il 50%, fanno il resto.

In questo contesto Fernandez, sempre con l’intenzione di mantenere buone relazioni con il Fmi, ha deciso di rinunciare allo Sba, uno strumento finalizzato ad aiutare i paesi in difficoltà, puntando invece ad una crescita delle esportazioni al fine di aumentare l’ingresso di valuta estera. Insomma Fernandez si muove cercando da un lato di evitare lo strangolamento, e dall’altro di soddisfare le esigenze della popolazione, evitando così le possibili rivolte sociali come già successo in alcuni paesi latinoamericani.

Al riguardo lo scenario continentale è variegato e a macchia di leopardo, con governi reazionari sostenuti dagli Stati Uniti e altri, differenti l’uno dall’altro, interessati alla propria autonomia. Oltre a Cuba, i cui rapporti economici con Buenos Aires sono molto stretti, ottime sono anche le relazioni con il Messico e il suo presidente Andres Manuel Lopez Obrador. Pessimi con il populista brasiliano di estrema destra Jair Bolosaro, peggiorati dopo l’incontro successivo alla scarcerazione dell’ex presidente Lula. L’Argentina tuttavia non può fare a meno di mantenere rapporti economici con il Brasile, principale partner commerciale del Paese. Per non parlare della Bolivia, il cui presidente Evo Morales ha trovato ospitalità a Buenos Aires fino al suo ritorno in patria dopo la vittoria del Mas, il partito di sinistra che rappresenta la maggioranza india del Paese andino. Mentre per quanto riguarda il Venezuela, Fernadez ha fatto uscire il suo Paese dal gruppo di Lima che sostiene apertamente il “presidente” dell’opposizione Juan Guaido, appoggiando invece l’idea di un negoziato, il quale sembra tuttavia più difficile visto il boicottaggio delle elezioni venezuelane.

Chiudiamo questo quadro del Paese del tango e del mate con il problema più drammatico che sta interessando l’intero pianeta, ovvero il coronavirus. Fino a pochi mesi fa l’Argentina aveva superato il milione di casi con oltre trentamila morti. Insomma una sfida in più, che questa volta non conosce confini e classi sociali.

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