Lo facciamo chiedendo di rinnovare il nostro contratto. Cos’altro dovremmo fare?
Abbiamo fatto funzionare le amministrazioni pubbliche anche quando i governi hanno tagliato risorse e privatizzato i servizi ai cittadini. E ora, anche chi di noi è in smart working e con propri mezzi, siamo sempre a disposizione dei cittadini e delle imprese, in sanità, nei servizi educativi, nell’assistenza ai cittadini. Garantiamo la loro sicurezza, ci stiamo prendendo cura del Paese rischiando in prima persona.
Però è in atto una campagna tesa a fare del pubblico impiego il capro espiatorio delle difficoltà economiche cui la nazione è andata e sta andando incontro. “I lavoratori pubblici sono sul divano e percepiscono lo stipendio”. Poi invece, se il sindacato dichiara lo sciopero, allora si dice che vuole “bloccare l’Italia e mettere a rischio la già fragile tenuta sociale”.
Nonostante sia stato proprio il settore pubblico a reggere il nostro Paese nella prima fase pandemica, si ritorna a fomentare lo scontro tra lavoratori, anziché puntare il dito contro quelle categorie sociali ed economiche che realmente detengono i privilegi in Italia.
I pubblici hanno da sempre dovuto scontare un peccato originale, quello di essere un po’ più garantiti degli altri lavoratori. Ma non è togliendo diritti a chi ce li ha che si garantiscono a chi invece non ce li ha. Non è che, se non si riconoscono gli aumenti salariali ai dipendenti pubblici, quei soldi vengono dati ai lavoratori privati. È proprio il contrario, la storia ce lo insegna. Se lo Stato non garantisce i contratti ai propri lavoratori, come fa a chiedere a Confindustria di farlo? Lavoratori pubblici e lavoratori privati devono essere uniti, per rivendicare il diritto al contratto.
Vogliamo una Pubblica amministrazione efficiente, che risponda sempre di più alle esigenze dei cittadini e delle imprese. Ma nei prossimi due anni usciranno 500mila persone. È urgente una grande campagna di assunzioni nei servizi pubblici, per continuare a garantire i diritti di cittadinanza. La mancanza di personale in sanità è sotto gli occhi di tutti. Ma anche nei comuni, e negli uffici territoriali di tanti ministeri, che entro pochi anni chiuderanno per mancanza di personale, la media di età è di 58-59 anni.
Non è possibile che si continui ad assumere personale precario, sono migliaia nella Pubblica amministrazione. Il cosiddetto personale “Covid” in sanità è quasi tutto precario. E poi c’è la sicurezza, mancano i guanti in tanti ospedali, e le mascherine Fpp2 nei servizi educativi. Applicare i protocolli di sicurezza negli enti pubblici spesso è veramente difficile, i lavoratori non si sentono per niente garantiti. In alcuni tribunali – proprio dove si dovrebbe garantire il rispetto della legge - mancano anche i presidi minimi, mancano i controlli degli accessi.
Ma c’è anche un problema di salario. Sono quindici anni che il salario di noi pubblici perde potere di acquisto, abbiamo patito blocco salariale e precarizzazione selvaggia attraverso violente esternalizzazioni, mentre tutti subivano il blocco del turnover con meno servizi e meno diritti. Si tagliavano le risorse alla sanità e a tutta la Pubblica amministrazione, e nel contempo non si rinnovavano i contratti: un attacco ai lavoratori che è andato sempre più intensificandosi.
Le risorse presenti oggi nella legge di bilancio non garantiscono neanche in media 30 euro lordi di aumento salariale. I 107 euro di cui parla la stampa forse sono gli aumenti per i magistrati e per i medici, non per un infermiere o per un lavoratore di un comune.
Vogliamo riorganizzare la Pubblica amministrazione; siamo stufi di fare da capro espiatorio per le inefficienze. Bisogna investire nella digitalizzazione e nella sicurezza. Per quanto tempo ancora possiamo chiedere a medici, infermieri, tecnici di laboratorio di saltare riposi e raddoppiare i turni, per garantire il diritto alla salute?
Assunzioni, lotta al precariato, sicurezza e rinnovi contrattuali: per questo io sciopererò: lo farò per “i diritti, per il mio sindacato, per il lavoro e per la libertà”, e vorrei farlo, insieme a tutte le altre lavoratrici e agli altri lavoratori, per un’amministrazione pubblica che difenda i diritti dei più deboli, che se ne prenda cura, e che lo faccia essendo presidio di legalità.