Alla fine di ottobre è stato presentato il 30° Dossier sull’immigrazione curato dal Centro Studi e Ricerche Idos in partenariato con il Centro Studi Confronti.
I dati si riferiscono al 2019, ed è per questo che non può dirci come la pandemia da Covid19 impatterà sulla realtà dell’immigrazione e della presenza di cittadini stranieri nel nostro Paese.
Sarà per questo di grandissimo interesse la ricerca del prossimo anno. I dati consolidano una dinamica di lungo periodo: l’Italia non è più da tempo una terra privilegiata per l’immigrazione, non solo perché non si può sostanzialmente venire regolarmente per motivi di lavoro; non siamo “invasi” dagli sbarchi, come non lo eravamo prima delle criminali e criminogene misure dei Decreti Salvini; si consolida, e questo è il dato più significativo, il processo di territorializzazione dei cittadini stranieri residenti nel nostro Paese.
Alcuni dati: a fine 2019 gli stranieri residenti risultano 5.306.500, ai quali occorre aggiungere 600mila non comunitari irregolari, aumentati dalle misure dei Decreti Salvini per almeno 100mila unità e temporaneamente ridotti per le 220mila domande circa della recente regolarizzazione parziale e temporanea. Una prima considerazione è come sia risultata una decisione parziale ed una occasione persa aver proposto un processo di emersione del lavoro nero riguardante esclusivamente il lavoro agricolo e soprattutto domestico. A fronte del crollo dei migranti forzati, che persiste e si stabilizza (11.471 nel 2019 a fronte dei 23.370 del 2018 e ai 119.369 del 2017), ed alla seconda ondata della pandemia si rende assolutamente necessaria - ed utile anche dal punto di vista sanitario oltre che sociale - una sanatoria per tutti i cittadini stranieri irregolari presenti sul territorio nazionale. Anche in questo caso i numeri sarebbero ben inferiori alla sanatoria fatta dal governo di centrodestra anni or sono. La misura va accompagnata dal ripristino delle modalità legali per l’ingresso nel nostro Paese per motivi di lavoro.
Non c’è mai stata un’invasione, seppure tutto sia stato gestito con una logica di emergenza e di ordine pubblico: occorre rilanciare la proposta di togliere a Ministero dell’Interno, Prefetture e Questure la titolarità in materia di immigrazione ed assegnarla al sistema delle autonomie locali individuando il Ministero più adeguato.
Come dicevamo l’elemento maggiormente rilevante è il processo di radicamento territoriale e sociale dei cittadini stranieri, accompagnato tuttavia a crescenti evidenze di fragilità ed emarginazione. Non è purtroppo difficile ipotizzare che, a fronte di mancati interventi correttivi da parte del pubblico, la pandemia da covid19 incrudelirà maggiormente su questo segmento della popolazione, proprio perché collocato in prevalenza entro quella terziarizzazione povera che ha caratterizzato il processo di deindustrializzazione del nostro Paese. Le stesse competenze ed abilità linguistiche ottenibili attraverso la frequentazione in presenza andranno a colpire, con la didattica a distanza, proprio i figli di cittadini stranieri o chi arriva da minore da noi, scontando condizioni abitative e di accesso alla rete più complicate di chi vive una situazione agiata.
Nell’anno scolastico precedente gli alunni stranieri sono stati 858mila, il 10% dell’intera popolazione scolastica e ben 553mila, pari al 64,5% del totale, sono nati in Italia. Nati in Italia, frequentanti le scuole ma non cittadini italiani per le assurde ed inaccettabili modalità con le quali ottenere al momento la cittadinanza italiana.
Sebbene gli stranieri che nel 2019 hanno acquisito la cittadinanza italiana siano 127mila, 14.500 in più dell’anno precedente, tra loro sono ancora esclusi i 63mila nuovi nati in Italia da coppie straniere.
Questi dati confermano che la società è più avanti delle scelte della politica in materia di integrazione e che occorre avanzare di nuovo parole nette e di verità: i nuovi italiani nascono nel maggior numero dei casi in Italia da genitori stranieri con un lungo percorso di presenza nel nostro Paese e compiono per la gran parte dei casi l’intero ciclo di studi fianco a fianco con i ragazzini italiani per legge. Si voti finalmente una legge che introduca non dico lo ius soli ma uno ius culturae meno rigido ed assurdo delle proposte fin qua avanzate, velocizzando altresì i tempi e togliendo gli appesantimenti vessatori per il resto dei cittadini stranieri che, scegliendo come luogo dove vivere l’Italia, ne vogliano ottenere da adulti la cittadinanza.
E soprattutto: si dia il diritto di voto attivo e passivo, sia per le elezioni amministrative che per quelle politiche ai cittadini stranieri che indipendentemente dalla cittadinanza risiedono e vivono stabilmente nel nostro Paese e nelle nostre comunità. Dove nostre, per noi è l’uguaglianza del sudore, del colore del sangue, del lavoro, dei sogni e dei desideri.