Si è svolto in videoconferenza il 18 e 19 novembre scorsi l’ormai consueto incontro europeo del Tune - Trade Unionist Network Europe (Rete dei sindacalisti in Europa) e del Gue/Ngl – il gruppo parlamentare europeo dei partiti comunisti, socialisti, di sinistra e dei verdi nordici. La pandemia ha impedito che i circa settanta partecipanti confluissero a Bruxelles, nella sede del Parlamento europeo, dove d’abitudine si svolge la conferenza.
La rete sindacale Tune, promossa ormai trent’anni fa come “Forum Europa Sociale” da sindacalisti di Alternativa sindacale Cgil, tedeschi della IgMetal e della Dgb dell’Assia, spagnoli della sinistra delle Comisiones Obreras e francesi della Cgt, ha assunto più recentemente la nuova denominazione e si è allargata a sindacalisti e sindacaliste di altri Paesi europei, a partire dai danesi, che ora svolgono il ruolo di coordinamento.
Fino a un paio di anni fa l’organizzazione delle riunioni ha mantenuto una sostanziale autonomia rispetto al gruppo parlamentare; negli ultimi anni si è fatta più sentire la presenza del Gue/Ngl. Se questo ha connotato ancor più chiaramente a sinistra il Tune, al tempo stesso ne ha “istituzionalizzato” la funzione, creando un rapporto con gli uffici della Ces e dei sindacati europei di categoria, e rallentando il confronto di merito tra sindacalisti di “sinistra sindacale” che costituiva solitamente il tema della seconda giornata. Ora prevalgono il confronto sull’agenda politica, lo scambio di informazioni, il confronto seminariale.
Così è stato in questo incontro a distanza, centrato, nella prima giornata, sul tema del salario minimo europeo e della Direttiva in preparazione da parte della Commissione. Dopo i saluti di benvenuto del co-presidente del Gue/Ngl Martin Schiderwan e di Heinz Bierbaum del coordinamento del Tune, la parlamentare europea Ozlem Demirel ha moderato una tavola rotonda tra la vicesegretaria della Ces Ester Lynch, il ricercatore dell’Etui (centro studi della Ces) Thorsten Muller, Johan Lindholm, presidente del sindacato degli edili svedese e Enrico Somaglia, vicesegretario dell’Effat, la federazione europea dei lavoratori dell’alimentazione e del turismo.
Il panel – e gli interventi di alcuni eurodeputati nordici nel breve dibattito– hanno confermato la contraddizione, evidente nella Ces, tra l’insieme del sindacalismo europeo e i sindacati scandinavi contrari ad un intervento legislativo dell’Unione sul salario, in nome della contrattazione collettiva.
Come noto, l’Italia, insieme agli Scandinavi, è tra i cinque Paesi europei a non avere un salario minimo, regolando i salari proprio attraverso la contrattazione collettiva nazionale. Ma, contrariamente ai nordici, il sindacato italiano non si oppone alla Direttiva europea sul salario minimo, e si è battuto in sede Ces perché vi si inserissero anche norme a sostegno della contrattazione collettiva. Equilibrio che, stando all’illustrazione dello stato dell’arte da parte di Lynch, Muller e Somaglia, si è finora trovato nel confronto/consultazione tra Ces e Commissione. Naturalmente bisogna vigilare, e continuare a fare pressioni in un iter di formulazione-approvazione della Direttiva istituzionalmente e politicamente assai complesso.
Nella mattinata successiva, oltre ad una veloce carrellata degli eurodeputati Marc Botenga, Leila Chaibi, Ozlem Demirel e Nikolaj Villumsen su provvedimenti di natura sociale in discussione al Parlamento europeo, il piatto forte è stata la discussione sulle conseguenze della pandemia da Covid 19 sull’iniziativa sindacale.
Un’ampia e condivisibile introduzione è stata svolta da Hans Jurgen Urban dell’esecutivo della Ig Metall. Secondo Urban, il Covid non ha fatto che riacutizzare la preesistente crisi del capitalismo neoliberista europeo e globale. Ad essa bisogna rispondere con alternative strutturali che rilancino il ruolo diretto dello Stato in economia, combattano le diseguaglianze e la precarietà del lavoro, e ridisegnino il modello di economia, a partire dalla necessaria riconversione ecologica e dalla centralità degli investimenti in welfare e salute. Le misure economiche e sociali che l’Unione europea ha cominciato a prendere non devono essere temporanee ma una svolta definitiva rispetto all’austerità e al patto di stabilità, per ora solo sospeso.
Nel nostro intervento abbiamo ricordato l’iniziativa del sindacato italiano, con l’importante ruolo per la definizione del protocollo sulla sicurezza, per il blocco dei licenziamenti e la tutela del reddito di tutti i lavoratori. Anche per noi è fondamentale che la fase in corso – con il Recovery Fund e l’intervento della Bce – determini una svolta strutturale dell’Europa e dei governi nazionali.
Al di là delle difficoltà dovute alla riunione in remoto e ai tempi strettamente contingentati, l’esperienza del Tune e del confronto con il Gue/Ngl rimane senz’altro utile. Bisognerà continuare nello sforzo di sempre maggior coinvolgimento di sindacalisti rappresentativi di un numero più ampio di Paesi.