Con la ricerca dello scorso anno, dal titolo “Il nostro mare lo salvi chi può”, abbiamo voluto aprire una finestra sul rapporto che intercorre tra l’attività di pesca e l’inquinamento dei nostri mari. Un problema poco conosciuto nella sua dimensione in quanto difficilmente visibile ad occhio nudo, ma che necessita di un intervento strutturato e immediato. Tutti ci indigniamo quando troviamo discariche abusive ai margini di un bosco oppure in strade di periferia, ma pochi di noi possono realmente vedere le immense discariche che si trovano in fondo ai nostri mari. Una situazione che ci deve allarmare, alla quale volontariamente o involontariamente contribuiamo tutti con le nostre attività quotidiane.
Tutto ciò che non finisce nelle discariche, inevitabilmente e con il tempo, lo ritroviamo in superficie ma soprattutto nei fondali marini. In mare si trova ogni cosa: elettrodomestici, sanitari, residuati bellici e parti meccaniche di ogni genere, rifiuti chimici e organici come tronchi, rami, tessuti, pellami e altro, ma soprattutto tanta plastica. Questa rimane l’elemento principale tra gli inquinanti dei nostri oceani, con numeri veramente impressionanti. Si stima che sulla superficie marina globale siano presenti circa 5,25 trilioni di pezzi di plastica; e si calcola che nel Mar Mediterraneo siano presenti in superficie tra mille e tremila tonnellate di accumulo di plastica, senza considerare la quantità di plastica che invece si trova sul fondale.
Anche questi numeri, di per sé spaventosi, non danno veramente il senso visivo del problema. Per capire di cosa stiamo parlando, è sufficiente mettere insieme un chilo di buste di plastica per rendersi conto del volume che producono e, di conseguenza, avere un’idea ovviamente approssimativa delle distese di plastica disperse sui fondali .
Questi argomenti sono stati al centro di molte assemblee fatte negli scorsi anni con i pescatori, stimolando poi la ricerca “Il nostro mare lo salvi chi può”. Con loro abbiamo parlato del quotidiano lavoro di cernita del pescato dalla plastica; dei danni che spesso vengono causati alle reti quando in esse finiscono oggetti di vario genere, dalla plastica al metallo, causando la rottura delle stesse e costringendo i pescatori a interrompere la battuta di pesca. Del malessere nel vedere questo scempio che continua inesorabile negli anni, ma anche della forte volontà di intervenire a tutela dell’ambiente e del mare.
Nelle diverse marinerie dove la ricerca ha avuto luogo, tutti i pescatori si sono dimostrati favorevoli alla possibilità di proporsi per recuperare i rifiuti marini e riportarli a terra dove, però, si materializza il vero problema: la mancanza strutturale in moltissime marinerie di un anello di congiunzione tra l’immondizia recuperata in mare e il sistema di riciclo solido urbano. Fatto che rende inutile qualsiasi buona volontà dei lavoratori. Da qualche anno è in discussione il decreto definito “Salva Mare” che dovrebbe mettere un po’ d’ordine su questo tema ma, in attesa di risposte, i pescatori continuano a lavorare. In alcuni casi portano a terra l’immondizia che trovano, in altri la ributtano in mare, continuando a manipolare prodotti di ogni genere con possibili problemi anche di incolumità personale.
In questo contesto si inserisce lo studio e la campagna di quest’anno dal titolo “Il pescatore di plastica”. Si tratta di un vademecum che vuole soprattutto sviluppare tra i pescatori la consapevolezza che non tutto ciò che viene pescato in mare può essere manipolato senza alcun rischio. Il vademecum suggerisce quali accorgimenti vanno attuati per evitare rischi per se stessi e per tutto l’equipaggio. Quali procedure attuare nel caso in cui l’imbarcazione trovi nelle reti del materiale esplosivo come ad esempio residuati bellici, oppure contenitori di prodotti chimici o rifiuti ospedalieri. Cerca di dare indicazioni utili per lo stoccaggio e la gestione dei rifiuti nell’imbarcazione. Suggerisce un percorso corretto di stoccaggio e riciclo una volta arrivati sulla banchina, con l’intento di indicare al settore un possibile percorso nel momento in cui si arrivasse a realizzare una filiera dello sbarco, che dalla barca arrivi alla discarica comunale.
Siamo convinti, come lo eravamo lo scorso anno, che l’apporto del settore possa essere di aiuto alla risoluzione del problema. Al tempo stesso vogliamo che il contributo dei pescatori sia il più possibile libero da rischi sulla loro salute e sicurezza, e la campagna di quest’anno deve essere utile a informare e formare i pescatori su questi temi.