Il 20 e 21 settembre siamo chiamati a votare sul drastico taglio di deputati e senatori al referendum confermativo, per il quale non è necessario nessun quorum.
Tagliando da 630 a 400 i deputati e da 315 a 200 i senatori si alimenterà ancor più la dittatura degli esecutivi sui parlamenti, la penalizzazione della rappresentanza di interi territori, e l’innalzamento di uno sbarramento implicito, escludendo partiti con milioni di voti. Ci vorranno molti più votanti della media europea per eleggere un parlamentare.
Verrà ulteriormente sancito che solo ricchi e benestanti, libero professionisti e affini, calcheranno le aule parlamentari, alla faccia del sogno del giovane Peppino Di Vittorio che le voleva piene di cafoni del Sud e di operai del Nord. Siamo già di fronte ad una debolissima rappresentanza politica del mondo del lavoro e all’assenza di operai, precari, impiegati tra chi fa politica nelle assemblee elettive. Confindustria è scatenata per fare il pieno delle risorse europee per la ricostruzione post covid, senza un’idea di Paese che non sia la voracità dei propri meschini interessi. Per riprogettare democraticamente l’Italia, per una svolta ecologista attenta alle condizioni sociali, ci vuole un Parlamento rappresentativo dell’intera società italiana, territori e classi sociali. Ci vuole una legge elettorale proporzionale e il ripristino delle preferenze. Non meno rappresentanti del popolo, ma migliori e meno subalterni all’ideologia neoliberista.
La lunga stagione di sovversivismo delle classi dominanti ha introdotto una torsione autoritaria. Il primato della governabilità sulla rappresentanza (governi in realtà deboli di fronte a multinazionali e finanza globalizzata, proprio perché privi di legittimazione popolare), l’esclusione di intere culture politiche attraverso sistemi maggioritari e spinte bipolari, l’accettazione del primato della tecnica sulla politica, e del “non ci sono alternative” di thatcheriana memoria.
Chi ne ha fatto le spese è stato il lavoro, la sua rappresentanza politica, i lavoratori e le lavoratrici in carne ed ossa, precari, disoccupati, sottoccupati. Non di meno ma di più democrazia abbiamo bisogno. La svalorizzazione del Parlamento si porterà dietro inevitabilmente, se vincerà il “Sì”, una fortissima spinta presidenzialista.
Dietro la svalorizzazione della politica come capacità collettiva di cambiare le cose ci sta il primato insindacabile dell’impresa e del mercato, del profitto e del pareggio di bilancio. L’abolizione dell’articolo 18 fa il paio con lo svilimento delle istanze rappresentative. Il Parlamento non è una “casta”. Ridare valore e prestigio al Parlamento deve andare di pari passo col ridare dignità al lavoratore e alla lavoratrice a partire dal posto di lavoro, al precario a partire da un lavoro stabile, al disoccupato a partire da una buona occupazione.
Noi della Cgil abbiamo tutte le carte in regola per dire “No” al taglio dei parlamentari, perché diciamo sì ai diritti dei lavoratori.