La Consulta corregge la giunta lombarda - di Massimo Balzarini e Nando Di Lauro

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Regione Lombardia condannata a cancellare dal regolamento per l’accesso agli alloggi pubblici il vincolo della residenza di 5 anni in regione, e l’obbligo per gli stranieri di presentare documenti del paese di origine sull’assenza di proprietà. 

La vicenda nasce dalla legge regionale n.16 dell’8 luglio 2016 “Disciplina regionale dei servizi abitativi”, avviata dall’ultima giunta Maroni e poi gestita di fatto nella giunta Fontana.

Il Dipartimento regionale “politiche abitative” della Cgil Lombardia, insieme al Sunia, ha prodotto decine di osservazioni di merito per dimostrare che l’architettura legislativa avrebbe prodotto discriminazioni senza apportare alcun beneficio agli inquilini preesistenti, e non ampliando l’offerta per i nuovi richiedenti.

Abbiamo sempre sostenuto che è stata una riforma senza forma né sostanza. Una di quelle leggi targate politicamente, ideologicamente orientata a creare condizioni difficili a tutti “i fuori regione”, con particolare accanimento nei confronti dei cittadini extra comunitari. Come se il fabbisogno abitativo riguardasse non tanto chi ha la necessità primaria di disporre di un alloggio per sé ed eventualmente per il suo nucleo familiare, essendo persona titolare di diritti in armonia con le leggi dello Stato, ma chi ha prioritariamente requisiti di cittadinanza regionale, al punto da stabilirne un punteggio in funzione degli anni di residenza in Lombardia. E per enfatizzare l’atteggiamento discriminatorio, la legge regionale ha fatto leva anche sulle condizioni di possesso del patrimonio immobiliare nel paese di provenienza, per i cittadini extra Ue.

Il ricorso alla giustizia, attraverso la richiesta di intervento del giudice ordinario del Tribunale di Milano, promosso dalla Cgil Lombardia, ha permesso di ottenere due importantissimi interventi di merito. Il primo della Corte Costituzionale, su sollecitazione di quel giudice di Milano, che nel marzo scorso con la sentenza n. 44 ha dichiarato incostituzionale, quindi illegittima, la norma riguardante il requisito dei 5 anni di residenza in Lombardia per l’accesso alla domanda di alloggio.

Il secondo prodotto direttamente dal giudice del Tribunale di Milano, che ha esaminato anche il requisito dei documenti aggiuntivi richiesti agli stranieri. Anche questa previsione è stata ritenuta illegittima e discriminatoria dal Tribunale, perché la documentazione da presentare per dimostrare l’assenza di proprietà all’estero (basata sull’Isee) deve essere la stessa sia per gli italiani che per gli stranieri, restando poi l’obbligo di verifica in capo alla autorità fiscali.

Insomma, come dire che la furia ideologica contro “i fuori regione” non ha nulla a che vedere con le necessità vere di persone che vivono e lavorano in Lombardia in ossequio delle leggi, anche se residenti da poche settimane. Giustizia è fatta.

La conseguenza di queste sentenze risponde anche alla elevata mobilità delle giovani coppie in cerca di occupazione, e di tutti coloro che si trovano ad avere necessità abitative, trasversalmente alla cittadinanza di chi vuole esercitare questo diritto. La residenza protratta non può essere il parametro di misura dello stato di bisogno in cui versano le persone per l’assegnazione di un alloggio.

Ora ci aspettiamo che la giunta Fontana assuma le debite conseguenze, per decidere di rimettere in discussione l’intero impianto, che ha messo in difficoltà non solo i nuovi richiedenti, ma anche molte amministrazioni comunali (a partire da quelle più piccole) e i molti operatori Aler impegnati nella valutazione delle domande presentate nei bandi pubblicati tra la fine del 2018 e il 2019.

Emergenza abitativa significa carenza di alloggi, necessità di riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente, ma più in generale una conciliazione efficace delle infrastrutture e dei trasporti, un ripensamento complessivo al rapporto fra alloggio e i luoghi del lavoro, affrontare con coraggio e determinazione la rigenerazione urbana e la riqualificazione delle periferie.

Serve un approccio complessivo serio, in cui la politica ascolti seriamente le parti sociali, fuori da ogni strumentalizzazione politica, cosa su cui Regione Lombardia sembra ancora molto lontana.

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