“Niente di questo mondo ci risulta indifferente”, a cura di Daniela Padoan, pagine 287, euro 15, edizioni Interno4.
Nel 2015 la pubblicazione da parte di Papa Francesco dell’Enciclica “Laudato si’”, rivolgendosi ad “ogni persona che abita questo pianeta” e assumendo i migliori frutti della ricerca scientifica, ha lanciato un messaggio di inestimabile valore rispetto al deterioramento globale dell’ambiente e della qualità della vita, indicando nella proposta di una ecologia integrale, coniugante giustizia climatica e giustizia sociale, l’antidoto all’impossibilità di generalizzare un modello di sviluppo insostenibile, perché fondato sul principio della massimizzazione del profitto. Se aveva destato una certa sorpresa che la guida alla lettura dell’Enciclica fosse stata affidata a Carlo Petrini, presidente e fondatore di Slow Food, quella scelta inaspettata ha invece generato molti proseliti anche nel mondo dei non credenti. Tanto che, con un percorso iniziato il 4 novembre 2015 a Milano, all’Auditorium della Società Umanitaria, è sorta l’Associazione Laudato si’, Un’Alleanza per il clima, la Terra e la giustizia sociale.
Ora il lavoro collettivo sviluppato in questo quinquennio è stato raccolto nel libro “Niente di questo mondo ci risulta indifferente” a cura di Daniela Padoan, a cui di deve anche l’introduzione “Al tempo del contagio”, ove giustamente insiste sulle dicotomie emerse durante la pandemia tra vite degne e vite di scarto, tra morti inevitabili e morti evitabili, nonché tra morti accettabili e morti inaccettabili. Il libro è stato pensato con una precisa metodologia didattica, in quanto è composto da diciotto capitoli che focalizzano le tematiche trattate con una scansione assai fruibile, poiché ad una analisi puntuale sul piano della documentazione, ad esempio sul clima, il lavoro o gli stili di vita, le proposte di risoluzione vengono successivamente indicate in forma decisamente sintetica.
Quali sono le modalità con cui è possibile contrastare un modello produttivo ‘ecocida’ e predatorio, che esaltando la ragione tecnica fa prevalere l’interesse economico sul bene comune e le comunità dei viventi: questo è l’obiettivo che percorre ambiziosamente la riflessione collettiva.
Se da un lato, sulla scorta dell’elaborazione teorica di Luigi Ferrajoli, è fondamentale la costituzione di una sfera pubblica sovrastatale per tutelare l’abitabilità del pianeta, al contempo la riconversione ecologica delle produzioni industriali e agricole è la sola strada praticabile per ridare dignità al lavoro, superando nuove e vecchie alienazioni. Nella consapevolezza che purtroppo l’atomizzazione della condizione lavorativa ha “offuscato la coscienza di un interesse comune” dentro e fuori i luoghi di produzione. La riconversione deve investire anche il complesso militar-industriale, che produce il 15% delle emissioni di gas climalteranti; emissioni che però non vengono contabilizzate dal Protocollo di Kyoto, per via della pressione esercitata in sede di ratifica sui negoziatori da parte degli esponenti degli Stati Uniti, che poi, comunque, decisero di non sottoscriverlo…
Altresì, proprio perché sono cresciute le diseguaglianze, incrementando le vite da scarto e i lavori poveri ed informali, il problema storico della presa di coscienza si lega inevitabilmente al discorso educativo delle grandi masse popolari. Il mondo apparentemente iper-connesso ha prodotto sia un iper-individualismo narcisista e consumista, sia un nuovo analfabetismo funzionale alla sottomissione di estese masse agli interessi del capitalismo della sorveglianza, poiché impossibilitate a decodificare il vero dal falso. Il rilancio della pedagogia degli oppressi, inaugurata dal magistero di Paulo Freire, ha molto a che vedere con la sentita esigenza di una rigenerazione degli spiriti e la coltivazione di una ecologia interiore, in grado di conciliare la sobrietà con la disposizione a nuovi stili di vita.
Infine, che sia una associazione a misurarsi con le tematiche che attengono al vivente in tutte le sue declinazioni, con un taglio non contingente e dall’approccio universale, è indicativo di come la politica possa essere rifondata e vissuta di nuovo in prima persona, a partire dalla centralità accordata alle “questioni ultime”.