Lo sciopero della scuola dell’8 giugno - Raffaele Miglietta

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Si rivendicano investimenti e garanzie per la ripresa delle lezioni a settembre in presenza e in sicurezza. 

La proclamazione dello sciopero dell’8 giugno è stata una scelta obbligata. Troppa la distanza tra quanto necessario alla scuola pubblica per garantire la ripartenza a settembre in presenza e in condizioni di sicurezza, e quanto assicurato dalla ministra Azzolina. A fronte del rischio che le scuole non possano riaprire, o riaprano in condizioni di emergenza, il sindacato ha voluto lanciare un allarme a tutto il Paese.

In realtà lo sciopero era stato già proclamato per lo scorso 6 marzo, prima del lockdown. La motivazione di fondo era l’assenza di adeguati investimenti nel settore in grado di garantire, a partire dalla stabilizzazione dei precari e dal rinnovo contrattuale, condizioni di lavoro e di funzionamento del nostro sistema scolastico che fosse comparabile agli standard di qualità europei. Poi il diffondersi dell’epidemia e la chiusura di tutte le attività in presenza – compresa la scuola - aveva fatto annullare lo sciopero di fronte alla prioritaria esigenza di far fronte all’emergenza sanitaria.

Senonché le ragioni alla base dello sciopero del 6 marzo non sono state cancellate dall’emergenza sanitaria ma anzi, se possibile, sono risultate amplificate in questi lunghi tre mesi che hanno travolto le condizioni di vita e di lavoro delle scuole. Come noto, le attività didattiche in presenza sono state sospese fino alla fine di quest’anno scolastico, ad eccezione degli esami di Stato. Ciò che più preoccupa è la ripartenza delle attività scolastiche a settembre se, come è giusto, devono riprendere in presenza (in ragione dell’andamento epidemiologico), rinunciando alla didattica a distanza che ha rappresentato una soluzione emergenziale ma che non può proseguire ulteriormente, stante i disagi e le diseguaglianze che determina per gli alunni, specie per i più svantaggiati, come ormai tutti riconoscono.

Parafrasando Calamandrei, si potrebbe dire che la scuola è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare. Infatti non sono mancate in queste settimane prese di posizione pubbliche e anche manifestazioni di piazza da parte di associazioni di famiglie che hanno chiesto a gran voce il ripristino delle attività didattiche in presenza. Ma il diritto costituzionale all’istruzione va necessariamente contemperato con un altro diritto costituzionale, quello alla salute, per cui è fondamentale che le lezioni riprendano in presenza, ma è altrettanto necessario che ciò avvenga in condizioni di massima sicurezza per tutti.

Il Comitato tecnico scientifico della Protezione civile ha già indicato quali debbano essere le misure organizzative da applicare per assicurare le condizioni di sicurezza nelle scuole; si basano essenzialmente sul principio del distanziamento fisico. Senonché tra alunni e personale scolastico sono quasi 10 milioni le persone che quotidianamente frequentano gli oltre 40mila edifici scolastici del Paese, le cui condizioni già prima del lockdown erano spesso inadeguate o addirittura non a norma per garantire la sicurezza ad alunni e lavoratori.

A maggior ragione oggi è impensabile assicurare il distanziamento e la sicurezza in aule scolastiche spesso sovraffollate o comunque non sufficientemente capienti. Secondo alcuni studi tecnici, lo spazio necessario per garantire la sicurezza dovrebbe essere non inferiore a quattro metri quadrati per persona, pertanto per ospitare una classe di 20 alunni (senza considerare gli arredi) servirebbe un locale di 80 mq! Occorrerebbero allora ingenti e immediati investimenti: per riadattare gli ambienti scolastici e reperire nuovi locali in cui poter distribuire gli alunni in gruppi ridotti; per potenziare l’organico sia docente che ausiliario per consentire la riorganizzazione delle attività didattiche e la frequente pulizia dei locali; per stabilizzare il personale precario e assicurare fin dal primo settembre la presenza a scuola.

Il ministero con il “decreto rilancio” ha stanziato per la scuola circa 1,4 miliardi di euro, una cifra già insufficiente prima della crisi epidemiologica, figurarsi ora che i problemi e i bisogni sono moltiplicati in modo esponenziale. L’emergenza sanitaria ha fatto emergere, accentuandole, le fragilità già presenti nel nostro sistema scolastico funestato da anni di tagli e disinvestimenti. Il governo in carica deve allora decidere se segnare o meno una discontinuità con il passato, se la scuola deve essere parte e condizione della ripartenza del Paese, come crediamo necessario, o ne deve restare esclusa.

Lo sciopero dell’8 giugno, nonostante il momento difficile con le scuole ancora chiuse, è una scelta di campo ben precisa, dalla parte dei lavoratori e degli studenti, per una scuola sicura e di qualità. Perché la scuola pubblica diventi una risorsa strategica per un diverso modello di sviluppo. Perché nulla sia come prima.

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