Per analizzare un fenomeno globale serve una visione d’insieme. Con l’intento di fornire uno sguardo il più possibile completo sulla pandemia da Covid-19, l’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo ha lavorato ad una panoramica globale sull’evoluzione del virus, e soprattutto della risposta di Paesi, governi, continenti, persone. Il Piccolo atlante di una pandemia è una pubblicazione mensile, visibile sul sito www.atlanteguerre.it, che ha scandagliato i mesi di pandemia di marzo, aprile e maggio con tre maxi-dossier. I testi sono analizzati, suddivisi per aree, e sono redatti da uno staff di giornalisti ed esperti collegati al progetto dell’Atlante delle guerre.
La pandemia è un fatto globale: ogni decisione che viene presa da un governo, da un Paese, ha una ricaduta diretta e tangibile sulla distribuzione dei diritti e della ricchezza fra le persone che vivono in quel Paese e, più in generale, sugli equilibri che regolano la vita fra gli Stati. Capire come agiscono i governi, ipotizzare il riposizionamento degli eserciti, come ripartono le economie, significa tracciare il profilo del Pianeta del dopo Covid-19.
Le organizzazioni internazionali prevedono una caduta netta del Prodotto interno lordo mondiale. La decrescita è stimata fra il meno 1% e il meno 3%. Ci rimetteremo tutti, ma le conseguenze peggiori riguardano e riguarderanno i quasi due miliardi di persone che oggi vivono grazie alla cosiddetta “economia informale”. Venditori ambulanti, gente di mercato, piccoli artigiani di strada, che soprattutto (ma non solo) in India, America Latina e Africa sono stati costretti al fermo senza poter contare su nessun tipo di ammortizzatore sociale. In Africa, ad esempio, si avrà la prima recessione economica degli ultimi 25 anni, mentre per fornire un dato sanitario sul continente ci sono in media due medici ogni 10mila abitanti, e i posti letto ospedalieri sono cinque ogni milione di persone. La pandemia, tra le altre cose, ha poi infranto i sogni di potenza dei principali attori internazionali. Gli Stati Uniti (il Paese, al 3 giugno, più colpito dalla pandemia) sono in chiara difficoltà e in evidente declino. Vista la difficoltà Donald Trump ha riposizionato le proprie flotte, per controllare i mari e rilanciare la grandezza degli Usa. Momento critico anche per la Russia, dove la disoccupazione incontrollabile seguita alla chiusura delle fabbriche, e il crollo del prezzo del petrolio, hanno bloccato l’espansione economica e politica. Non se la passa meglio la Cina: anche la sua corsa verso l’egemonia economica (e non solo) verrà rallentata, secondo gli esperti, dalla crisi economica mondiale.
Accanto all’economia arretrano anche i diritti. Da Viktor Orban, che in Ungheria si è dotato di leggi speciali che permettono di dichiarare “nemico” chiunque lo critichi, alla Turchia di Recep Tayyip Erdogˇan, che prosegue il cammino verso l’eliminazione dell’opposizione e che incarcera i giornalisti che mettono in dubbio i suoi dati sul virus, fino ai casi dell’Arzebajan, del Myanmar, dell’India, e altri in Cina e Russia. Un altro esempio ci porta in Palestina. Israele, nonostante il momento, ha premuto sull’acceleratore per l’annessione della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e della Valle del Giordano prevista nel “Piano del secolo” presentato da Trump nel gennaio 2020.
Ancora. Secondo una valutazione di Freedom House, ong di Washington che ogni anno misura lo stato di salute delle democrazie nel mondo, Ungheria, Polonia e Slovenia, grazie all’epidemia e alla “necessità di controllarla”, stanno scivolando verso il punto più basso della democrazia negli ultimi 25 anni.
Il Covid-19 inoltre non è riuscito a placare la guerra. La tregua globale richiesta il 23 marzo dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, e ripresa da Papa Francesco il 28 dello stesso mese, ha collezionato pochissime aperture, tutte unilaterali. Praticamente nella quasi totalità dei teatri di guerra si è continuato a combattere, mettendo ancora più in difficoltà popolazioni e sistemi sanitari distrutti da anni di conflitti.
Un’altra conseguenza del coronavirus, se non si interviene, sarà poi l’annullamento degli ultimi trent’anni di lotta alla fame nel mondo. Secondo il rapporto del 20 aprile 2020 del World Food Programme (Wfp), l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare, in almeno trenta paesi del mondo potrebbero scatenarsi carestie a causa del coronavirus. Il numero di persone che soffrono la fame passerebbe così da 135 a 250 milioni. Alla fame e alla povertà, come è noto, si reagisce in vari modi, tra cui, senza dubbio, migrando. Quella stessa migrazione, che per molti Stati occidentali è stata considerata “il problema” dell’ultimo decennio.