Le primarie presidenziali Usa sono cominciate sul serio il 3 febbraio con gli ora famigerati caucus dello Iowa (https://en.wikipedia.org/wiki/2020_Iowa_Democratic_caucuses), Stato occidentale con una popolazione di poco più di 3 milioni di abitanti. Circa l’85% sono bianchi – diffilmente rappresentativi degli Usa nel loro insieme, ma ancora questo è il luogo dove inizia il voto ogni quattro anni per nominare i candidati democratico e repubblicano. E’ un processo di migliaia di riunioni locali tenute in giro per lo Stato dove i votanti affluiscono insieme come “comitato elettorale” (“caucus”) per i candidati da loro scelti. Mentre la maggior parte degli Stati ha semplici seggi elettorali, il sistema dello Iowa sceglie sulla base di una formula complicata di “voti di allineamento iniziale” e “voti di allineamento finale”, usati per determinare il numero totale “dei delegati equivalenti” alla Convenzione democratica, che per lo Iowa sono 41.
Una cosa è chiara: il democratico socialista Bernie Sanders ha vinto il voto popolare con 42.672 prime scelte, circa 6mila voti in più di Pete Buttigieg, ex sindaco di South Bend Indiana. Invece il sistema bizantino dei caucus ha assegnato 13 delegati a Buttigieg e solo 12 a Sanders.
La forte esibizione di Sanders in Iowa è stata seguita da una stretta vittoria l’11 febbraio nelle primarie del New Hampshire – un altro Stato piccolo e non rappresentativo in termini di composizione multiculturale – ma un importante campanello dei sentimenti dei votanti nella strada della nomination. Sanders ha vinto con il 25,7% dei voti, Buttigieg è arrivato secondo al 24,4%, seguito da un sorprendente forte terzo posto per la senatrice del Minnesota Amy Klobuchar al 19,8% (https://www.nytimes.com/2020/02/11/us/politics/bernie-sanders-new-hampshire-primary.html?action=click&module=Top%20Stories&pgtype=Homepage). Il triste quarto posto della senatrice Elizabeth Warren del vicino Massachusetts al 9.2% sconcerta la sinistra, perchè lei e Sanders rappresentano l’ala anti-corporations del campo elettorale.
Il sostegno a Sanders sta crescendo con una forte base di elettori giovani e della classe operaia. Sorprendentemente più di 1,5 milioni di persone hanno donato per la sua campagna, con una media di soli 18 dollari per donazione. Diversamente da altri candidati che contano sui grandi donatori di Wall Street e dell’America delle grandi imprese, gli sforzi della base di Sanders hanno frantumato ogni record precedente, raccogliendo oltre 121 milioni di dollari, 25 milioni solo nello scorso gennaio (https://www.wsj.com/articles/bernie-sanders-raised-25-million-in-january-11580986800).
Nonostante i suoi successi iniziali, molti democratici hanno sollevato dubbi sul fatto che Sanders sia il miglior candidato per battere il presidente repubblicano Donald Trump il prossimo 3 novembre. Sconfiggere Trump richiederà un “fronte unito” di elettori, che potrebbero non essere pronti a sostenere le proposte più “socialdemocratiche” di Sanders. Ad esempio Sanders sostiene “Medicare per tutti” e l’istruzione universitaria gratuita, politiche per lungo tempo praticate in Europa ma viste come fortemente radicali negli Usa.
Il sistema elettorale americano dei collegi “chi vince prende tutto” non si presta a costruire sostegno elettorale al proprio candidato preferito, e quindi costruire alleanze per formare un governo dopo le elezioni. Nel caso Usa, è richiesta una vasta unità dietro un candidato democratico per poter sconfiggere Trump.
Mentre i media controllati dalle corporation stanno costantemente sminuendo le possibilità di Sanders, c’è un forte argomento a favore del fatto che sia il candidato migliore per formare la vasta coalizione necessaria a battere Trump. In una battaglia testa a testa con Trump, Sanders è il miglior candidato per togliere gli elettori della classe operaia bianca, che aiutarono l’elezione di Trump nel 2016 mossi dal disgusto per la neoliberista Hillary Clinton, e per ispirare un movimento di base per la giustizia sociale ed economica, insieme alla passione ed energia dei millennials che è essenziale sul campo, per una mobilitazione porta a porta e per andare particolarmente bene in Wisconsin, Pennsylvania e Michigan – tre Stati vinti da Trump nel 2016 con un margine di poco più di 80mila voti.
La candidatura di Sanders – e la prospettiva che divenga presidente – minaccia seriamente il regime neoliberista di Wall Street e il complesso militare industriale, che hanno così pienamente approfittato dello sfrenato “capitalismo di frontiera” americano. Per questa ragione l’apparato del partito Democratico non si ferma davanti a niente per impedire la sua nomination.
Dopo la debacle della Convenzione democratica del 2016, quando i non eletti “super delegati” portarono il voto alla Clinton nel primo round del voto dei delegati, il partito Democratico è stato forzato a impedire loro il primo voto nel 2020. Comunque i funzionari del partito consentiranno ancora a questi delegati non eletti di votare nel secondo e in ogni successivo round in una convenzione “negoziata”, dove questi delegati probabilmente sfilerebbero la nomination a un candidato progressista. Ma il processo della nomination è ancora alle sue fasi iniziali, e molto può accadere prima della Convention del 13–16 luglio a Milwaukee, Wisconsin.
Il giorno più grande delle primarie è il “Super Tuesday” (super martedì), il 3 marzo, quando 14 Stati, inclusa la California, voteranno per 400 delegati (https://en.wikipedia.org/wiki/Super_Tuesday#2020). Bernie Sanders probabilmente manterrà un sostegno tra il 20% e il 30% per la sua lunga storia di posizioni di principio sulle questioni che più importano alle famiglie operaie. Con molti candidati in campo potrebbe avere il maggior numero di delegati, ma non abbastanza per la maggioranza al primo voto della Convention. Una vittoria al primo voto richiede 1.990 dichiarazioni di delegati – eletti in primarie o caucus. Se il voto dei delegati porterà a un secondo round, Sanders probabilmente perderà in favore di un candidato più moderato in virtù dei voti da parte dei 771 super delegati non eletti. Questo riaccenderebbe le accuse verso un partito che, ancora una volta, manipola la nomination, e può distruggere la necessaria unità post-Convention per battere Trump. Che scenario deprimente!
Questo è il dilemma dei Democratici: senza un consenso al primo voto, il partito può soffrire una brutta e profonda divisione. Con l’apparato democratico filo-corporation così determinato a fermare Sanders e la trasformazione del partito con ogni mezzo, si può determinare un disastroso risultato a novembre, e l’incubo di altri quattro anni di Trump.
Questo è un esito inaccettabile. Nei mesi che rimangono dobbiamo costruire un determinato movimento di massa di democratici progressisti, indipendenti (elettori non inquadrati) e delle emergenti tendenze socialiste, per aiutare Sanders a vincere nel primo voto, o trovare un candidato di consenso che unisca gli americani di buona volontà che vogliono salvare la democrazia e sconfiggere Donald Trump. Questa non è una elezione in cui consentire ad una presuntuosa purezza di offuscare la necessità di una grande rivolta politica, per impedire a Trump di assicurarsi un potenzialmente disastroso secondo mandato.