Il recente direttivo nazionale Cgil ha condiviso, pur con accentuazioni e diversità, l’impostazione politica della relazione del segretario generale Maurizio Landini, che ha sottolineato le novità positive, di metodo e di merito, del progetto di legge di bilancio, non nascondendo le insoddisfazioni e la scarsità delle risorse disponibili anche a causa dei vincoli cui il paese è soggetto.
Il quadro generale è nero: le tensioni geopolitiche, le guerre armate e dei dazi, l’assenza di prospettive di crescita e un’Unione europea che, sull’aggressione da parte di un paese della Nato al popolo curdo, come sul fenomeno epocale dell’immigrazione, mostra la sua preoccupante incapacità di decisioni comuni.
In Italia, crescita e sviluppo non ci sono, il tessuto produttivo è in preoccupante arretramento. La politica per anni ha pensato e guardato ad altro. E c’è ancora chi pensa ad altro di fronte alla mancanza di lavoro, ai 160 tavoli aperti di crisi industriali, dalla multinazionale Whirpool, alla grande distribuzione, da Alitalia alla Fincantieri. Paghiamo e subiamo le conseguenze delle mancate politiche e delle scelte sbagliate degli ultimi vent’anni.
Questo governo, già debole e costruito su alleanze fragili potrebbe non durare, sottoposto al “fuoco amico”. Il suo destino non è nelle nostre mani: a ognuno il suo mestiere e le sue responsabilità.
Il sindacato confederale, la Cgil può solo proseguire, con autonomia e coerenza, a sostenere anche con la mobilitazione la propria piattaforma unitaria. Non ci sono governi amici, e l’autonomia, mai indifferenza rispetto al quadro istituzionale, è fortificata da quanto conquistato nei tavoli di confronto su una legge di bilancio che però non è ancora scritta, ed è sottoposta a critiche strumentali e di destra, sulle quali convergono gli interessi particolari dei due leader di Italia Viva e del M5s. Entrambi pretendono di mettere il loro marchio, sono irresponsabilmente impegnati a consolidare la loro leadership, a minare la credibilità di un esecutivo in difficoltà favorendo la destra salviniana, con l’obiettivo di mettere in discussione gli indirizzi e alcuni contenuti della manovra, insieme al metodo del confronto aperto con il sindacato confederale.
Sono gli stessi che hanno praticato la disintermediazione, che pensano di essere oltre la destra e la sinistra, e che hanno come referenti sociali i piccoli imprenditori, le lobby, i poteri forti, i commercianti, gli interessi particolari e gli evasori, non più ladri di futuro ma “poveri tartassati”. Gli stessi che trasformano il lavoratore in consumatore, che contrappongono pensionati e giovani, ceti popolari e ceto medio, lavoratori e disoccupati, confondendo i diritti con i privilegi, ignorando i problemi del paese, le ingiustizie e le diseguaglianze che mettono in pericolo la stessa democrazia parlamentare e partecipativa.
La sinistra politica e il governo devono cambiare passo, devono indicare il blocco sociale di riferimento e un orizzonte alternativo alla destra, se vogliono avere un futuro.
Se la legge di bilancio subirà cambiamenti nell’iter parlamentare, con lo spostamento delle scarse risorse destinate al lavoro, allo sviluppo, alla previdenza, al sistema sanitario, al cuneo fiscale, se si metterà in discussione quota 100, se si attenuerà la lotta all’evasione e all’elusione, se la manovra non avrà un indirizzo sociale e di prospettiva, dovremo tornare in piazza con le nostre bandiere, le nostre proposte e la nostra rappresentanza sociale. Come faranno il 16 novembre i pensionati, in particolare per una legge di civiltà sulla non autosufficienza.
Occorre proseguire, qualificare la nostra mobilitazione confederale e categoriale, con la possibilità di giungere sino alla mobilitazione generale nella “nostra” piazza San Giovanni, deturpata dalle parole d’ordine di una destra reazionaria e pericolosa a cui occorre togliere gli spazi, le ragioni e l’egemonia con il merito, le idee e i progetti che abbiano al centro il lavoro, l’uguaglianza e i diritti per tutti.