Agnes Heller tra socialismo reale e adesione ai valori della democrazia liberale - di Giorgio Riolo

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Il filosofo tedesco Ernst Bloch, a suo modo marxista e comunista, lasciò nel 1961 la Ddr, in cui visse dopo la Seconda guerra mondiale, all’annuncio dell’erezione a Berlino del muro. Usava l’espressione, presa dalla storia del cristianesimo e della Chiesa (San Gregorio Magno), “Corruptio optimi pessima” (la corruzione della cosa migliore è la cosa peggiore) per indicare quello che avveniva nel socialismo realmente esistente. Il travisamento del socialismo come società di uomini e di donne liberi e uguali era devastante. L’arbitrio del potere di gruppi dirigenti e di burocrati dispotici e la creazione di nuove diseguaglianze (e nuove classi) non solo era ingiusto in sé, ma era il presupposto per l’abbandono del campo socialista di tanti uomini e tante donne di grande valore. Così è avvenuto nella vicenda umana, intellettuale e politica di Agnes Heller.

Nata a Budapest nel 1929, da famiglia della media borghesia ebraica, era scampata all’Olocausto e intraprese la propria via alla filosofia sotto l’influsso di una figura intellettuale del livello di György Lukács. Divenne allieva del grande filosofo soprattutto per il carattere etico e di “filosofia pratica” del pensiero del maestro. Gli studi della Heller sull’etica di Aristotele e sull’uomo del Rinascimento, oltre agli studi sui problemi dell’estetica, testimoniano questa fase.

Con il trauma della rivoluzione ungherese del 1956 si produsse una cesura. Nella storia politica dell’Ungheria, in particolare, e nel mondo dei comunisti e dei marxisti su scala internazionale, in generale.

Lukács, partecipante attivo nel governo Nagy, internato in un campo di concentramento in Romania, ripresa la libertà, si impegnò in un lavoro di lunga lena. Convinto della possibilità in essere, della possibile riformabilità del socialismo reale, si pose l’obiettivo di una ricostruzione filosofica del marxismo, quale uscita filosofica dallo stalinismo e quale riscoperta del nesso libertà-democrazia-socialismo, (l’“Estetica” prima e poi l’“Ontologia dell’essere sociale”, quale premessa e fondamento di un’“Etica” che però non riuscì mai a scrivere).

La Heller, seguendo il maestro, ma con un profilo sempre più autonomo, si impegnò nello studio della dimensione filosofica e antropologica della “vita quotidiana” (nozione mutuata dal maestro) e sulla “teoria dei bisogni”. “Sociologia della vita quotidiana” e la stesura del celebre e pioneristico suo libro “La teoria dei bisogni in Marx” testimoniano questa fase del suo sviluppo.

Questa ricerca le consentì di riscoprire e di valorizzare alcuni aspetti dei vari marxismi (Rosa Luxemburg, il rapporto tra marxismo e psicoanalisi, teoria critica della società della Scuola di Francoforte) dapprima trascurati e in questo cammino, assieme ad altri allievi di Lukács (Feher, Vajda, Markus, ecc.), giunse al distacco dal maestro. La cosiddetta “Scuola di Budapest” era questo sodalizio di intellettuali che progressivamente si convinsero che ormai il sistema era irriformabile. Anche, e soprattutto, a seguito della cruenta repressione della Primavera di Parga del 1968. Per loro Marx e marxismo rimangono validi nella spiegazione del presente, delle dinamiche del capitalismo, ma risultano fallaci quando prefigurano la società avvenire, la società postcapitalistica.

Allontanata dall’insegnamento e con la condanna ufficiale delle sue tesi, la Heller nel 1977 abbandonò l’Ungheria ed emigrò in Australia. Proseguì nel lavoro intrapreso in Ungheria e assieme ad altri esponenti della Scuola di Budapest elaborò la famosa teoria della “dittatura sui bisogni”, quale spiegazione della natura del socialismo reale. Si era ancora nella fase della ricerca di una sorta di “terza via” fra adesione ai valori liberalborghesi occidentali e giustificazione di detto socialismo.

Molto attenta ai movimenti sociali, si avvicinò vieppiù al pensiero di Habermas sulla centralità dell’agire comunicativo e della “comunicazione libera dal dominio”, sia all’Est che all’Ovest. Ha insegnato per molti anni alla New School for Social Research di New York e dopo il 1989 è tornata in Ungheria, viaggiando molto, invitata in tutto il mondo in varie università, per svolgere convegni e conferenze, ecc. Testimoniano il suo essere considerata una delle intellettuali più importanti a cavallo tra Novecento e terzo millennio le numerose interviste rilasciate a tanti media mondiali.

Negli ultimi anni il suo lavoro teorico si impegnò attorno alla filosofia morale, all’etica, alla giustizia in un confronto con le soluzioni proposte da Rorty, MacIntyre, Rawls. Ma il rovello costante è stato la morale, l’etica, la teoria della personalità, ecc. quale premessa di un’antropologia complessiva, dell’uomo e della donna più come individuo che come essere sociale (quest’ultimo il punto di partenza di Marx e del maestro).

La spiegazione per questa impostazione è da ricercarsi in ciò che è avvenuto. La fine dell’adesione al socialismo per la Heller, come per tanti disillusi a causa del socialismo reale, significa anche la fine della centralità della sfera collettiva, della dimensione collettiva, per guadagnare invece la centralità della dimensione quotidiana della persona, non come dimensione individualistica pura e semplice, ma come dimensione della personalità nell’agire sociale.

La “terza via” di cui sopra progressivamente è divenuta un’adesione, coerente e conseguente, alla democrazia liberale, al valore della democrazia europea e del “modello sociale europeo”, con le garanzie di stato sociale e di welfare di detto modello. In ciò resistendo e non soggiacendo piattamente al liberismo e all’americanismo. Tranne che nell’occasione della guerra Usa all’Iraq di Saddam nel 2003, convinta che il terrorismo islamista fosse nemico da combattere con tutti i mezzi. Su ciò fece in seguito autocritica.

Negli anni di Orban in Ungheria si è impegnata, fino alla scomparsa nel luglio 2019, a contrastare questa deriva autoritaria. Denominando, giustamente, lo “orbanismo” come “nazionalismo etnico”. Essendo le categorie della vulgata e del lessico manipolato contemporaneo fuorvianti. A destra e a sinistra, aggiungo personalmente, usare le categorie di “sovranismo” e di “populismo” confonde le menti. Ma non è il luogo per una disamina divenuta tanto necessaria nel nostro tempo. Su ciò si ritornerà.

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