Il diritto al lavoro è un diritto costituzionale: dobbiamo chiedere la stabilizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori dei servizi pubblici al lavoro, per restituire loro dignità e ridurre le diseguaglianze tra le persone.
è tornata alla ribalta in queste settimane la discussione sul reddito e la pensione di cittadinanza che tanti voti ha portato al Movimento 5 Stelle e, ancora oggi, viene utilizzato insieme ai presunti e mirabolanti risultati del decreto Di Maio (“dignità”) per raccontarci del mercato del lavoro e delle misure di politica attiva che dovrebbero sostenerlo. In realtà non è così, perché di fatto siamo tornati statisticamente ai livelli occupazionali pre-crisi ma continuano a mancare circa un milione di ore di lavoro a causa di rapporti di lavoro discontinui e poveri (part time involontari, contratti a chiamata, etc.).
Il tema di rafforzare il ruolo, la gestione e il coordinamento fra i diversi soggetti pubblici che si occupano di programmare e monitorare i servizi al lavoro e le politiche attive del lavoro e della formazione, nonché di garantire i livelli essenziali delle prestazioni, è ormai centrale da anni. Nel 2015 la riforma del mercato del lavoro (jobs act) ha creato l’Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro (Anpal), in cui sono confluiti l’Isfol e il Dipartimento mercato del lavoro del Mise, il ministero del lavoro e dello sviluppo economico. Attraverso l’Anpal, il ministero e le Regioni coordinano gli interventi di politica attiva, sovraintendendo all’attività dei servizi per l’impiego. Contestualmente Anpal Servizi (ex Italia Lavoro) è diventata l’agenzia in house dell’Anpal, cioè il suo braccio operativo.
La questione, quindi, di garantire servizi pubblici al lavoro che possano coordinare in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale le politiche attive del lavoro e i livelli essenziali delle prestazioni (decreto legislativo 150/2015) è stata, ed è, tema attuale. Non si intravede, infatti, una reale volontà politica di mettere i servizi pubblici nelle condizioni di essere efficaci, nell’attuare le politiche definite a livello legislativo.
Questa stratificazione di norme che vede insieme ministero e Regioni a legiferare sulla materia, a causa della mancata modifica del titolo V della Costituzione, ha generato forti contraddizioni e condizioni lavorative disomogenee (tempo indeterminato, tempo determinato, collaborazioni), e spesso precarie, delle lavoratrici e dei lavoratori.
Oggi in questa filiera abbiamo sia lavoratori dei Centri per l’impiego (Cpi) che dipendono dalle Regioni, dagli enti strumentali regionali, e dalle Province a statuto speciale, sia lavoratori di Anpal e Anpal Servizi. In Piemonte gli stessi operatori dei Centri per l’Impiego dipendono in parte dalla Regione, in parte dall’ente strumentale regionale (Agenzia Piemonte Lavoro).
In questo quadro si inserisce la partita dei cosiddetti navigator. Questi 3mila lavoratori saranno inseriti con contratti di collaborazione fino ad aprile del 2021, con funzione di supporto tecnico agli operatori dei Centri per l’impiego per gestire il reddito di cittadinanza. E le contraddizioni si esasperano, sia per i lavoratori che per i destinatari delle politiche attive, spesso le persone più fragili nella composizione sociale dei disoccupati.
Il rischio concreto è che questa misura non incida positivamente né sul mercato del lavoro né sulla condizione delle persone in difficoltà, che difficilmente potranno uscire dallo stato di povertà, poiché la presa in carico sarà frammentata tra un percorso di politica attiva e un percorso dei servizi sociali. Inoltre lo Stato non opera il necessario investimento pubblico su questa funzione costituzionale, non solo in termini di supporto strumentale ed informatico, ma soprattutto nel rafforzamento qualitativo delle lavoratrici e dei lavoratori del comparto: tremila nuovi precari che si sommano ai più di 600 precari storici di Anpal Servizi. Precari pubblici che dovrebbero aiutare i disoccupati, la versione contemporanea dell’esercito industriale di riserva!
Se è vero che il diritto al lavoro è un diritto costituzionale, dobbiamo chiedere con ancora più forza la ricomposizione contrattuale e la stabilizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori che operano nei servizi pubblici al lavoro, non solo per restituire loro dignità, ma anche per ridurre le diseguaglianze tra le persone.