L’ospedale fiorentino di Careggi è una città nella città, il più grande policlinico della Toscana, uno dei più conosciuti e apprezzati in tutto il paese. Un’istituzione, al pari della stazione di Santa Maria Novella, dei grandi palazzi, degli splendidi monumenti della città. Nel continuo via vai dei pazienti, dei loro familiari e del personale sanitario che affolla l’enorme area del policlinico, quasi tutto quel che accade ha le caratteristiche dell’urgenza. “Anche una finestra che non chiude bene, nella stanza di un degente, diventa un problema da risolvere al più presto”, spiega Leonardo Sgatti, che da diciotto anni lavora a Careggi
“Sono entrato come ausiliario nel 2001 - racconta - tre anni dopo sono diventato operatore tecnico, e successivamente, nel 2006, assistente tecnico, quando ancora i concorsi prevedevano sviluppi di carriera”. Cinque giorni di lavoro a settimana, trentasei ore indicative, in un piccolo mondo dove la complessità è la regola. “Abbiamo orari molto differenziati ed elastici, da un minimo di 6 ore giornaliere, a necessità di impegni ben superiori, anche festivi e notturni. L’ospedale non chiude mai, 24 ore su 24, per 365 giorni l’anno”, puntualizza Sgatti.
È la vita quotidiana di un ospedale, descritta da famosissime serie televisive. Se poi il complesso sanitario ha le dimensioni della cittadella ospedaliera di Careggi, 74 ettari, dove lavorano più di 5mila addetti, è facile capire come le emergenze siano all’ordine del giorno. “Quando sono entrato a lavorare qui - ricorda Sgatti - c’erano gli operai interni, fabbri, elettricisti, idraulici, muratori, giardinieri, tappezzieri, cuochi. Sono stato testimone della progressiva esternalizzazione dei servizi. Qualcuno dei vecchi lavoratori è andato in pensione, altri sono stati assegnati a ruoli amministrativi. C’è chi si è giustamente sentito demansionato. Perché, ad esempio, un giardiniere che di Careggi conosceva ogni albero, ogni pianta, deve finire dietro una scrivania? Ancora non so darmi una risposta”.
Anche, soprattutto per questo Leonardo Sgatti ha deciso di diventare un sindacalista della Cgil, Funzione pubblica, e di candidarsi alle elezioni per la Rsu. “In aperto contrasto con esternalizzazioni che non tengono conto delle persone, ma solo di discutibili logiche di utilizzo delle gare di appalto”. Un sindacalista combattivo, che non per caso ama indossare camicie rosse, nel ricordo di Giuseppe Garibaldi e dei suoi Mille. Pagine di storia che Sgatti conosce a menadito, visto che l’antica passione giovanile si è trasformata in una ricerca culturale che è ben più di un hobby.
“Il compito degli assistenti tecnici - sottolinea - è quello di verificare che le ditte in appalto facciano un buon lavoro, contabilizzare l’opera svolta, vigilare sulle interferenze che vari interventi o cantieri possono creare con le funzioni ospedaliere”. Careggi dipende dalla Regione Toscana. Una Regione che negli ultimi vent’anni ha investito moltissimo sul policlinico, rivoluzionandone la struttura e facendone un complesso all’avanguardia. Con ironia tutta toscana, Sgatti rileva come questa lunga fase di ristrutturazione stia stata accompagnata da disagi piccoli e grandi, soprattutto per chi a Careggi lavora e per gli utenti disorientati da spostamenti e cantieri. “È un po’ come ristrutturare casa continuando ad abitarci. Siamo abituati a vedere circolare alternativamente le ambulanze e i camion che trasportano cemento”.
Gli ospedali moderni sono una grande macchina ad altissima tecnologia, che necessita di progettazione accurata e piani manutentivi sostenibili. Per rispondere a queste esigenze è impossibile non fare ricorso a ditte esterne. Ma, contestualmente, esistono quotidiane necessità manutentive ordinarie, spicciole, come piccoli lavori idraulici, elettrici, che ormai vengono assolti utilizzando ditte esterne scelte tra gare, adesioni Consip, Estar, spesso al massimo ribasso. “Si scontrano esigenze operative con imperscrutabili logiche algoritmiche delle assegnazioni - riflette Sgatti - disgregando di fatto una componente stabile e sindacalizzata che erano gli operai interni, divisi adesso da contratti diversi”.
Gli assistenti e gli operatori tecnici sono più o meno una cinquantina. “Pochi i giovani assunti a tempo indeterminato, molti solo con un contratto a convenzione, magari inquadrati come metalmeccanici, che già li differenzia da noi colleghi con il contratto del pubblico impiego”. L’ultimo interrogativo che si pone, e ci pone, Sgatti, riguarda ancora una volta la ‘filosofia’ alla base delle esternalizzazioni: “Ma siamo sicuri – si chiede retoricamente - che per mantenere qualità ed efficienza non sarebbe stato meglio conservare la vecchia struttura ‘fordista’ dell’ospedale? Sono convinto che non sarebbe costato di più rispetto a quanto spendiamo, e sono soldi della collettività, per tenere in vita tutto questo sistema degli appalti”.