Il Comitato Direttivo della Cgil, il 27 ottobre, discuterà del congresso nazionale e del suo sbocco. Intanto siamo impegnati su più fronti, dalla difesa dei diritti e della Costituzione, contro razzismo e fascismo, al contrasto a un Def inadeguato, a dare risposte ai problemi del paese. Fronti su cui si stanno organizzando unitariamente iniziative di confronto e di mobilitazione nei territori, nei luoghi di lavoro, e fra le pensionate e i pensionati.

La Cgil, forte della sua autonomia, della sua coerenza, delle scelte condivise verso questo come i precedenti governi, della radicalità di proposta, ha trovato una sintesi unitaria nel documento congressuale di maggioranza.

Non dobbiamo fare abiure né emulare altri modelli sindacali, ma proseguire sulla strada intrapresa, rinnovando la nostra capacità di rappresentanza del mondo del lavoro di oggi dentro il quadrato rosso, simbolo della nostra identità confederale. I nostri riferimenti strategici sono la Carta dei diritti universali e il Piano del lavoro.

Con le sue scelte autonome e radicali, dal voto del 4 dicembre 2016 ai referendum fino alle assemblee e alla raccolta di milioni di firme contro il jobs act, la nostra organizzazione ha ritrovato adesione, consenso e partecipazione, recuperando credibilità. Mettere in discussione quelle scelte, senza mai aver espresso dissenso sulla linea durante il confronto sul documento congressuale, non è rispettoso verso i nostri iscritti - testimoni di uno scontro incomprensibile sul nome del futuro segretario generale - e verso gli organismi dirigenti che usciranno dal congresso, cui spetta la titolarità della scelta.

Per noi di Lavoro Società - Per una Cgil unita e plurale, il segretario e la segreteria dovranno valorizzare la confederalità, l’autonomia, il pluralismo e la collegialità. E garantire coerenza e continuità con la linea condivisa e praticata in questi anni.

Le modalità con le quali il segretario generale ha formulato la proposta per la futura leadership della Cgil rispondono alle esigenze di chiarezza e sono rispettose delle nostre regole, coerentemente con l’Odg approvato nel direttivo del 29 maggio scorso. Dopo una consultazione del gruppo dirigente diffuso, la segreteria nazionale, su indicazione del segretario generale, si è espressa a maggioranza a favore sulla proposta di un autorevole dirigente. Questa è la legittima e diretta indicazione di chi ha guidato la Cgil in anni difficili, mantenendone integra la forza e la rappresentatività, senza offrire spazi a speculazioni e intromissioni nella nostra autonomia, della quale siamo gelosi.

Il nostro Coordinamento nazionale del 7 novembre prenderà una posizione collettiva, e faremo la nostra parte in un confronto che auspichiamo senza ipocrisie, improntato al senso di responsabilità e appartenenza verso l’organizzazione, unita e plurale.

“La linea politica è chiara, da anni. Chi si avvicina con prospettive umanitarie all’immigrazione, un fenomeno epocale e di portata mondiale, viene contrastato. E’ da tempo che in Italia, e in Europa, si sta agendo in dispregio dei trattati internazionali, con una logica solo emergenziale”. La fotografia scattata da don Alessandro Biancalani, subito dopo l’arresto di Mimmo Lucano, non è sfuocata. Non ci sono ritocchi photoshop della realtà in questa presa di posizione del parroco di Vicofaro, da giorni in “digiuno per la giustizia” contro un’ordinanza comunale che gli ha vietato l’utilizzo dei locali dove erano ospitati ottanta migranti. Il governo, che passo dopo passo sta finendo il trasloco da Palazzo Chigi al Viminale, offre una ulteriore conferma della sua linea politica, smantellando il “modello Riace”. Nel mirino ci sono gli strumenti di politica amministrativa che hanno fatto della piccola ma già celebre cittadina calabrese, la casa dei meravigliosi Bronzi, un modello di riferimento nel mondo. Ci sono i bonus e le borse lavoro, che sono fondamenta dell’integrazione. Poi c’è l’attacco politico, diretto, all’accoglienza dei richiedenti asilo più vulnerabili. Troppi, secondo il Viminale, che così intende chiudere del tutto il progetto Sprar. Buttando in mezzo alla strada donne con figli a carico, anziani, malati.

Qual è stato il peccato di Mimmo Lucano? Don Biancalani lo conosce: “E’ stato quello di reagire, e disobbedire, ad un sistema punitivo e marginalizzante. Ha cercato di non lasciare la gente per strada, anch’io farei carte false per dare una speranza ai miei ragazzi”. Ma la visione politica messa in pratica a Riace, sia pur elementare, sul macrotema complesso e però ineludibile dell’immigrazione, è quanto di più lontano dalla linea del governo e dei suoi elettori.

La Ue ha torto, ma la Nota del governo non rilancia l’economia - di Alfonso Gianni

Sulla Nota di aggiornamento al documento di Economia e Finanza (Nadef) si è acceso lo scontro fra la Commissione europea e il governo pentaleghista. Ma sarebbe errato parteggiare per l’uno o per l’altra. Alla Commissione europea non è bastato il vistoso arretramento del governo che in prima battuta aveva previsto un 2,4%, nel rapporto deficit/pil, per un triennio, e poi ha deciso di diminuirlo al 2,1% per il 2020 e al 1,8% nel 2021. Quindi è partita subito una lettera firmata dai commissari Dombrovskis e Moscovici, nella quale si lamenta una “significativa deviazione dal percorso fiscale raccomandato dal Consiglio”.

I toni non sono quelli perentori della famosa lettera di Trichet e Draghi, inviata al governo italiano il 5 agosto del 2011, che tracciò di fatto il programma politico dei governi che succedettero a quello di Berlusconi. Ma sono ugualmente minacciosi. Le autorità della Ue entrano a piedi giunti nel dibattito della sessione di bilancio prima ancora che inizi. Non solo, ma la pubblicità data alla lettera è un assist alle agenzie di rating, che dovranno esprimersi a fine mese sull’affidabilità dello Stato italiano. Come sappiamo, da questi giudizi dipende il costo dell’indebitamento e l’andamento dello spread, nonché la possibile fuga di investitori stranieri. Infine quella lettera è l’inizio di un’escalation, che può portare all’apertura di una procedura di infrazione.

L’intervento europeo si basa su Trattati come quello di Maastricht, e norme successive come il Fiscal Compact, che andrebbero o aboliti (il secondo) o riscritti (il primo), perché le politiche rigoriste si sono dimostrate una pessima terapia per uscire dalla crisi. Infatti ci siamo ancora dentro, come si può vedere dal rallentamento della crescita persino nei maggiori paesi, come la Germania, e lo stato nel quale verte il nostro paese, ove disoccupazione, precarietà e aumento della povertà riempiono le rilevazioni dell’Istat.

Proprio per questo la Nota del governo non è accettabile. Essa vuole rispettare le promesse elettorali di Lega e 5Stelle mettendo insieme l’impossibile, ovvero riduzione delle tasse (flat tax) con aumento della spesa. In realtà non si intravede affatto la sagoma di un Keynes quanto piuttosto quella di Milton Friedman, ovvero di un capitalismo (non troppo) caritatevole.

Infatti il reddito di cittadinanza tale non è, ma si tratta semplicemente dell’ampliamento del reddito di inclusione già esistente. E’ condizionato alla accettazione da parte del disoccupato di una delle tre prime proposte di lavoro fatte dai Centri per l’impiego, la cui dotazione finanziaria è stata ridotta della metà, cioè a un miliardo rispetto alle promesse iniziali. Inoltre quel reddito, o quella integrazione che dir si voglia, dovrebbe essere speso solo in generi non voluttuari, e per acquistare prodotti italiani. Siamo allo “Stato etico”, l’anticamera di un regime. Ancora: sarebbero previsti, secondo Di Maio, ben sei anni di prigione per chi fa dichiarazioni non veritiere sulla propria condizione economica. Al contrario si promette un nuovo condono fiscale per chi ha evaso, senza pagare né pena né dazio.

Se guardiamo al tema pensioni, scopriamo che nella Nota c’è addirittura un elogio degli effetti benefici delle leggi Dini e Fornero sul bilancio, avendo “migliorato …la sostenibilità del sistema pensionistico…garantendo una maggiore equità tra le generazioni”. Evidentemente i ministri (tranne forse Tria) non hanno letto la Nota prima di licenziarla! Del resto la famosa quota 100 è diventata mobile all’insù, dal momento che salendo l’età e rimanendo fisso il numero degli anni di contribuzione a 38, diventa 101,102, ecc. Inoltre solo due anni di contributi figurativi possono essere utilizzati, con grave penalizzazioni per precari e donne, cioè per i segmenti più deboli del mercato del lavoro. Se poi si passasse al calcolo contributivo integrale, gli assegni pensionistici subiranno una pesante riduzione.

Ma il punto più debole della Nota sta nell’assenza di un politica di investimenti, cui Tria cerca di porre rimedio chiedendo aiuto ai manager delle aziende pubbliche. Già i dati dell’ultimo trimestre ci parlano di una caduta della produzione industriale. Infatti le cifre fornite dal governo sulla crescita non sono credute, né in Europa né da noi, vista la stroncatura dell’Ufficio parlamentare di bilancio, una authority indipendente creata qualche anno fa. Questa manovra provoca qualche rimescolamento di redditi in basso, mentre chi sta in alto se la gode, aspettando che la flat tax, in realtà a tre aliquote, possa aumentare ancora di più le diseguaglianze, mentre abbatte il welfare per lasciare spazio alla sua privatizzazione.

E' stata una giornata importante quella che si è svolta sabato 6 ottobre a Napoli. Si sono riuniti, nel secondo incontro nazionale, tutti i comitati e le reti che hanno avviato nei propri territori percorsi di indagine (audit) pubblica e indipendente sulla situazione finanziaria e debitoria dei propri enti locali, al preciso scopo di mettere in discussione la narrazione dominante, che pone i vincoli finanziari come priorità sulla garanzia dei diritti fondamentali e la difesa dei beni comuni delle comunità locali.

Da Torino a Napoli, passando per Genova, Parma, Livorno e Roma, sono alcune decine i comitati che hanno concretamente avviato il lavoro di audit, e altrettante sono le realtà in procinto di farlo. Tutti accomunati da un filo rosso: rompere la narrazione della trappola del debito significa interrompere l’automatismo per cui, se da una parte si continua a dire che “c’è il debito e non ci sono i soldi”, dall’altra se ne consegue che “se i soldi non ci sono, prima gli italiani!”. Mettere in discussione la premessa diviene assolutamente necessario per smascherare le conclusioni. E, non a caso, la giornata si è aperta con un applauso di solidarietà a Domenico Lucano, in connessione diretta con la manifestazione nazionale antirazzista che nello stesso giorno si è tenuta a Riace.

L’analisi affrontata ha rimesso al centro le comunità locali, oggi direttamente sotto attacco delle politiche liberiste e di austerità, al preciso scopo di metterle con le spalle al muro per favorire la messa sul mercato del patrimonio pubblico, dei beni comuni e dei servizi pubblici.

Due dati rendono concreto l’attacco: a) quasi tutte le misure, imposte con il patto di stabilità e con il pareggio di bilancio, sono state scaricate sugli enti locali, nonostante il concorso di questi ultimi al debito pubblico nazionale non superi l’1,8%; b) nonostante i Comuni nel periodo 2010-16 abbiano aumentato le imposte locali per 7,8 miliardi, le risorse complessive di cui disponevano nel 2016 erano di 5,6 miliardi inferiori a quelle detenute nel 2010. Di conseguenza siamo di fronte ad un gigantesco processo di espropriazione delle comunità locali, giunto al punto di mettere seriamente in discussione la loro funzione pubblica e sociale.

Tre gruppi di lavoro hanno scandito il confronto della giornata: sul dissesto degli enti locali (oltre 800 i Comuni in acuta crisi finanziaria negli ultimi 30 anni); sui derivati (ancor oggi, dieci anni dopo il divieto, sono 174 i Comuni con in pancia i titoli tossici), e sulla finanza locale (scomparsa, dopo la privatizzazione nel 2003 di Cassa depositi e prestiti, Cdp).

Le proposte uscite dal confronto collettivo sono state molto concrete. Sul versante del dissesto, si vuole aprire una battaglia comune per modificare la legge vigente che scarica sui cittadini le sanzioni relative, proponendo l’istituzione, mutuata dalla normativa privatistica, della figura degli enti locali in “sovraindebitamento”, che ne eviti il dissesto e le relative conseguenze. Sul versante dei derivati, si è deciso l’avvio di una campagna comune per il loro annullamento, anche a fronte della Decisione del 04/12/2013 della Commissione europea, che ne permette la contestazione e la relativa richiesta di risarcimento dei flussi negativi addebitati ai Comuni. Per quanto riguarda infine la finanza locale, si è deciso di lavorare ad una proposta di legge di iniziativa popolare, con l’obiettivo della socializzazione e della gestione decentrata e partecipativa della Cdp.

Sono obiettivi importanti che richiedono, accanto al lavoro dei comitati territoriali, il diretto coinvolgimento degli enti locali più attenti e interessati. Da questo punto di vista non è stata casuale la scelta di Napoli per ospitare l’assemblea: Napoli è non solo la prima città che ha deliberato, in accordo con i movimenti, l’istituzione di una “Consulta pubblica di audit sulle risorse e sul debito della città”; è anche il Comune che, grazie alla presenza nella plenaria di sabato del sindaco Luigi De Magistris e dell’assessore Carmine Piscopo, si è direttamente impegnato a convocare un’assemblea degli enti locali in dissesto entro fine novembre, al fine di costituire una “Rete dei Comuni” che apra una vertenza, parallela a quella praticata dai movimenti, nei confronti del governo e dei vincoli imposti dall’Ue, e in difesa dei diritti delle comunità locali.

Questo perché liberare le città dal debito diviene l’unica possibilità di uscire dal campo di gioco predefinito, che prevede una finta battaglia fra chi si schiera con l’establishment finanziario, e chi vi si oppone in nome di un sovranismo che non mette in alcun modo in discussione i medesimi vincoli, modificandone semplicemente le sedi di comando.

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