Siamo un paese lacerato, diviso e pieno di rancore, disprezzo e diffidenza verso la politica e i partiti che hanno finora governato. Il qualunquismo diffuso e la rottura di antiche solidarietà rischiano di portare l’Italia a spezzarsi come il ponte Morandi di Genova: un evento tragico che non è stato una fatalità. Sono ormai chiare le responsabilità della concessionaria Autostrade per l’Italia e dello Stato per la mancata manutenzione, per i controlli non effettuati e le sottovalutazioni di allarmi lanciati da tempo da vari organismi tecnici. Il crollo ha innescato un dibattito politico sulle privatizzazioni e sulle concessioni di beni pubblici e asset strategici avvenute in passato ad opera dei vari governi.
Il crollo ha messo a nudo un sistema di privatizzazioni risalente agli anni ‘90, costruito sulla svendita da parte dello Stato ai privati di monopoli naturali e di beni pubblici strategici, tra i quali infrastrutture come le autostrade. I vari governi, di centrosinistra prima e di centrodestra poi, in una fase di entrata del paese nell’euro, sono ricorsi alle privatizzazioni.
Per fare cassa si sono fatte scelte fallimentari, si sono svenduti i “gioielli di famiglia” consegnando a gruppi privati, alle lobby e alle famiglie del capitalismo italiano poteri e condizioni favorevoli e guadagni miliardari sicuri. Il sistema privatizzato ha determinato molti utili, poca manutenzione e pochi investimenti in tutti i settori. Molte concessioni - si stimano in circa 30mila, molte delle quali in scadenza - sono intestate a nomi noti e a lobby di potere vecchie e nuove, dai Benetton al gruppo Gavio, da Berlusconi a Garrone, da Zoppas a Baroli-Drago (Lottomatica).
L’ubriacatura del “privato è bello”, dell’ideologia del mercato salvifico, sembra essere alle nostre spalle anche nella percezione dell’opinione pubblica. Ora - fermo restando che siamo di fronte a un governo pericoloso, con tendenze xenofobe e neofasciste, che agisce spesso in spregio alle istituzioni e ai dettati costituzionali, un governo da contrastare sulla deriva valoriale razzista, in difesa della Costituzione - è necessario anche verificare le scelte reali che si faranno in campo economico, fiscale, industriale e sui diritti sociali, con l’autonomia e la coerenza della nostra Cgil.
Oggi una parte del governo, in contrasto con la parte più liberista della Lega, ha messo all’ordine del giorno la verifica di tutte le concessioni e la revoca di quella delle autostrade al gruppo Benetton, con l’obiettivo, per ora solo dichiarato, di far ritornare Autostrade nelle mani dello Stato.
La ri-statalizzazione e la verifica delle concessioni non sono una passeggiata e non si possono affrontare con superficialità, incompetenza o demagogia. Si mettono le mani in un sistema complesso, si incrociano interessi e profitti corposi di neocapitalisti e gruppi di potere, lobby e famiglie che, in questi decenni e anni di crisi, si sono arricchite spostando risorse nel mercato finanziario a discapito degli investimenti nel lavoro, pronte a scatenare lotte feroci, ritorsioni e campagne ideologiche in difesa dei loro interessi di classe.
Il ritiro della concessione al gruppo Benetton deve essere il primo passo per la ri-pubblicizzazione del sistema autostradale e per un profondo ri-orientamento del sistema logistico italiano a favore del ferro e delle autostrade del mare, in una visione integrata e intermodale, senza più aprioristici cedimenti alla retorica avvelenata delle “grandi opere”. I criteri dovranno fondarsi sulla distinzione tra opere utili (e per chi) o dannose, non sulle concentrazioni di denaro e cemento che smuovono.
Questo, assieme alla ri-pubblicizzazione del sistema dei servizi pubblici locali in un’ottica di beni comuni, ci pare una coerente, concreta traduzione del Piano del Lavoro della Cgil e delle scelte indicate nel documento congressuale sulla creazione di “un nuovo strumento pubblico di governo delle politiche di sviluppo industriale, una nuova Iri o agenzia per lo sviluppo industriale, dove le scelte strategiche della politica possano trovare un luogo progettuale, programmatorio e operativo di governo - dove abbia un ruolo centrale la Cassa depositi e prestiti - da tradurre in un vero e proprio Programma nazionale di Sviluppo…”.
Un monopolio naturale genera sempre una rendita per chi lo gestisce. Il punto è decidere chi e come debba utilizzare questa rendita. Noi dovremmo riaffermare un pensiero alternativo a quello neoliberista: lo Stato e tutti i cittadini nella stessa misura, utilizzando i proventi in funzione anticiclica e per il bene collettivo, non privato. Negli anni ‘50 e ‘60 lo Stato, le partecipazioni statali, l’Iri furono il motore di eccellenze, di ricerca, di innovazione e di sviluppo del paese, determinando quello che è stato definito il “miracolo italiano”.
Restituire Autostrade allo Stato deve essere una scelta politica anticiclica, sostenuta da una nuova responsabilità sociale e da una visione strategica alternativa di paese. In sintesi questo è il dibattito sulla nazionalizzazione che la sinistra tutta deve affrontare cambiando rotta, se vuole ricostruirsi e ritornare a rappresentare gli interessi del mondo del lavoro, superando i pregiudizi ideologici di questi decenni sull’inadeguatezza progettuale del pubblico rispetto al privato.
In questa direzione la nazionalizzazione degli asset strategici va sostenuta: è un’occasione per ricostruire ed equilibrare le relazioni, le funzioni e i poteri tra pubblico e privato, cambiare rotta rispetto alla svalutazione e all’immiserimento del ruolo e della funzione sociale, economica e politica dello Stato.
La nazionalizzazione degli asset strategici è anche una straordinaria opportunità per il rilancio industriale e occupazionale, per la costruzione di politiche strategiche per il bene collettivo contro il profitto dei privati, per la qualità dello sviluppo eco-ambientale, per la sicurezza dei territori, delle popolazioni, delle persone. Questo rende facile capire in quale direzione debba mobilitarsi la nostra organizzazione, a partire dalla valorizzazione del disatteso referendum popolare sulla ri-pubblicizzazione dell’acqua.
La nazionalizzazione dei monopoli naturali è per noi una scelta coerente e da sostenere. La Cgil in passato ha contrastato le privatizzazioni, le svendite di autostrade e di Telecom che hanno determinato la chiusura e il ridimensionamento di aziende storiche nel campo delle telecomunicazioni, delle reti, delle infrastrutture, e la perdita di saperi, di professionalità e di eccellenze. Il capitale, da produttivo alla ricerca del profitto, è diventato parassitario, non ha investito nel miglioramento della produttività, nella ricerca, nell’innovazione di prodotto e di sistema.
Questo ci dimostra, nell’analisi del capitalismo nazionale, il drammatico crollo del ponte di Genova. Quando il calo del saggio di profitto si fa più forte, una delle risposte del capitalismo (insieme alla riduzione dei salari, all’aumento dello sfruttamento della forza lavoro, allo sfruttamento di mercati del terzo mondo e allo spostamento dei capitali all’estero) è l’investimento parassitario garantito da prezzi di monopolio. E’ quanto accaduto con le autostrade e non solo. I Benetton si sono progressivamente spostati dal settore manifatturiero, dove la competizione era più accesa, verso la rendita di monopolio. Il libero mercato è una finzione. L’unica libertà è dei detentori di capitale di appropriarsi, per facile profitto privato, dei beni pubblici e dei monopoli naturali.
Nel definire il ruolo dello Stato e le scelte della politica, il conflitto sindacale socialmente connotato, nella società e nei luoghi di lavoro, è la benzina per il motore dello sviluppo, perché costringe il capitale a sviluppare le forze produttive senza poter comprimere oltre misura salari e diritti, né rifugiarsi nella rendita improduttiva. La Cgil nel proprio documento congressuale prevede, con la costituzione di una nuova Iri, un rinnovato intervento pubblico nell’economia: sarebbe ben singolare che a qualcuno tremasse la mano di fronte alla ri-pubblicizzazione di Autostrade, o avesse tentennamenti su acqua, infrastrutture, rifiuti e reti.
Crediamo che il Congresso Nazionale della Cgil debba e possa esprimersi con nettezza su questo, riprendendo e precisando appunto quanto già presente nel documento congressuale e nel contenuto strategico del Piano del Lavoro, cogliendo il rigetto della politica di privatizzazioni che ha spossato lavoratori, utenti e sistema paese, e indicando altresì percorso e modalità per il raggiungimento dell’obiettivo.