Quando è morto se la sono cavata con frasi fatte: cantore del movimento, menestrello dell’impegno, simbolo del ‘68, icona del ‘77. Titoli composti in fretta in una sera d’estate, quando le redazioni sono semideserte e arriva in zona Cesarini una notizia improvvisa. Se Claudio Lolli avesse assistito alla scena gli sarebbero tornati in mente gli orchestrali di Piero Ciampi che riponevano gli strumenti dopo aver suonato senza amore, “... e Piero è lì, con un bicchiere in mano, e sa che avrà da fare ancora con il vento...”.

Una firma blasonata di un blasonato quotidiano milanese è riuscito a scrivere che “Ho visto anche degli zingari felici” è “probabilmente l’unica canzone in difesa dei rom mai scritta da un cantautore”. Gli zingari erano in realtà “centomila ragazzi della mia età”, che un Lolli diciassettenne vide dal gradino più alto di San Petronio, “e cinquantamila bandiere rosse da sventolare in un bel cielo azzurro (...) In quel momento ho capito tutto quello che avevo studiato: l’agorà non era più un concetto astratto, Marx non era più un simpatico vecchietto con la barba troppo lunga, la voglia di fare a pugni col mondo non era più solo un film di Marco Bellocchio...”.

Parecchi anni dopo, Lolli scriverà: “Non so se siano felici oggi, ma sono sicuro che ancora si muovono”. Chissà se l’avrebbe sottoscritto anche in questa fine estate. Cantautore, scrittore, professore di liceo. Aveva 68 anni ed è sempre vissuto a Bologna. Una lunga malattia. Era nato il 28 marzo del ’50. Non è stato il biografo degli anni ’70, anzi ha sempre cercato di smarcarsi dall’etichetta di cantautore militante senza abiurare nulla, senza rinnegare, pentirsi, senza ancheggiare all’industria dell’intrattenimento di cui s’è fatto beffe fino all’ultimo, cantando e scrivendo quello che gli pareva in una ricerca continua di senso, interagendo con compagni di strada come Paolo Capodacqua, Roberto Soldati, Danilo Tomassetta, Nicola Alesini, Giampiero Alloisio (con cui partecipò all’invenzione del “teatro-canzone”), Giancarlo Cesaroni del Folkstudio, i Gang, il Parto delle Nuvole Pesanti, Flavio Carretta, Gianni D’Elia, Stefano Tassinari, Claudio Piersanti, Roberto Roversi, Erik Toccaceli (e Guccini, gli Stadio, ecc…), sottraendosi alla tentazione di celebrare se stesso, di lasciarsi consumare come un simbolo, o un mito.

Eppure, suo malgrado, un simbolo lo è stato. Su un muro del quartiere romano di San Lorenzo c’è una scritta: “Il poeta sei tu che leggi”. Dopo il disco delle cinquemila lire, Aspettando Godot, seguirono Un uomo in crisi, Canzoni di rabbia, e la suite degli Zingari felici, poi Disoccupate le strade dei sogni ed Extranei a chiudere gli anni ‘70. Dopo, un po’ più rarefatti, lavori meno noti ma amatissimi da chi non lo ha perso di vista durante il riflusso (il disco con il lupo e l’agnello in copertina del 1988, Antipatici Antipodi cinque anni prima con la copertina di Andrea Pazienza, le Intermittenze del cuore, del ‘96, e altri fino a Il Grande Freddo (realizzato grazie al crowdfunding) che gli ha fatto vincere il Premio Tenco nel 2017 nella categoria “Miglior disco dell’anno in assoluto”.

Certo che era un compagno, e sempre dalla parte del torto, così si intitola un suo disco del 2000, ma preferiva gli assalti laterali rispetto alle ritualità inconcludenti ma rassicuranti degli assalti frontali. Per andare a fondo, c’è un bel libro di Jonathan Giustini per Stampa Alternativa, una lunga intervista oppure un volume collettivo pubblicato da un editore di Perugia, “Dalla finestra sbagliata”, ci sono i suoi romanzi (Giochi crudeli, L’inseguitore Peter H.) probabilmente introvabili eccetto le intense Lettere matrimoniali, da poco ripubblicate grazie a Flavio Carretta (una vita in Fiom).

E poi c’è Disoccupate le strade dai sogni, volume che raccoglie tutti i testi, Grande Freddo compreso. “Io alla mia età non posso far altro che questo - diceva - mandare nell’aria con molta ironia note e parole che gettano perplessità nel mondo, con canzoni che per fortuna, o meglio purtroppo, sono ancora molto attuali. Se fossimo in un mondo migliore sarei contento di stare zitto”.

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