Il congresso della Cgil è iniziato. E’ il momento più alto della vita e della prospettiva dell’organizzazione. Non può essere vissuto come un appuntamento burocratico o un di routine. Mai come oggi, a fronte di uno scontro globale tra capitale e lavoro, dinanzi ai cambiamenti politici e sociali avvenuti in Europa, a fronte di una sconfitta di dimensioni storiche della sinistra italiana in favore di una destra xenofoba, razzista e sovranista che ha conquistato il consenso sociale e il voto di una parte consistente del mondo del lavoro, abbiamo bisogno di un congresso innovativo, partecipato, capace di coinvolgere gli iscritti e i delegati, facendoli sentire protagonisti in un’organizzazione democratica, dove il pluralismo delle idee e il confronto programmatico sono risorse vitali. Un patrimonio - pratico, teorico e di regole - che esalta e non mortifica il confronto, e valorizza i processi unitari senza falsi unanimismi o burocratismi.
Com’è nella storia della sinistra sindacale, Lavoro Società - Per una Cgil unita e plurale ha contribuito a costruire il documento congressuale “Il lavoro è”, attraverso il contributo firmato da oltre 700 iscritti e con gli emendamenti consegnati alla commissione politica, sentendo coerentemente come propri il forte profilo autonomo della Cgil, la sua linea politica e le scelte di questi anni. Affrontiamo il congresso con spirito unitario, riconoscendoci nel documento nazionale, consci delle mediazioni e delle sintesi in esso contenute, e della necessità di approfondire questioni centrali: pensioni, salario, sanità e welfare contrattuale, Stato sociale, fisco.
La Cgil si fonda sui principi e i valori della Costituzione, vive della partecipazione militante dei suoi iscritti e dell’esercizio della contrattazione. E’ la risposta collettiva, non corporativa, ai bisogni, alle ansie, alle condizioni materiali di milioni di persone, alle speranze per rimettere al centro il lavoro. Perché è la perdita di connessione tra sinistra e lavoro, la distanza dalle condizioni materiali dei lavoratori, degli operai, che ha prodotto la sconfitta storica cui assistiamo.
Noi non ci rassegniamo all’imbarbarimento della società, all’indifferenza di fronte alla morte di migliaia di migranti in mare tra cui i bambini, non accettiamo la criminalizzazione delle Ong, la chiusura dei porti e la guerra tra poveri.
La Cgil è un presidio di democrazia, di solidarietà e di coesione. Tanto più importante ora che, con l’aumento delle diseguaglianze, sta montando un’onda nera da contrastare su tutti i fronti: politici, valoriali e sociali. La Cgil è il luogo di rappresentanza sociale del lavoro, dove le diverse generazioni possono incontrarsi e sentirsi a casa, un collettivo di donne e uomini che mettono a disposizione il loro impegno per costruire un domani migliore per tutte e tutti.
Su questo numero di Sinistra Sindacale si racconta una manifestazione contro razzismo e fascismo, nel corso della quale Marcello Gostinelli, operaio che la multinazionale Bekaert vuole licenziare con 317 compagni, ha detto papale papale: “Smettiamo di avere paura del diverso, del migrante, dello straniero, del povero. Io ho paura di questi ricchissimi che in trenta minuti mi hanno chiuso lo stabilimento. Non sono i migranti che mi rubano il lavoro”.
In un recente articolo su “il manifesto”, lo storico Ignazio Masulli ha fatto due conti: “Dal 1990 al 2017 lo stock di immigrati nati all’estero e censiti nei 27 paesi Ue è cresciuto di 25,2 milioni. Ma di questi solo il 35% proviene da paesi del sud del mondo. Ciò significa che gli africani, asiatici e latino-americani, di cui si cerca di popolare i nostri ‘incubi’, sono stati 8,8 milioni in 27 anni: una media di 327mila all’anno”. In un continente dove vivono quasi 500 milioni di persone.
Masulli è uno studioso vero, non da talk show: “Chiunque confronti gli indici della disoccupazione con quelli dell’immigrazione, negli Usa e nei maggiori paesi europei, vedrà che non c’è alcun rapporto tra i due andamenti. Disoccupazione e precarietà dipendono dalle strategie di massimizzazione dei profitti fatte dai gruppi economici dominanti”. I meccanismi sono quelli della delocalizzazione produttiva, dell’automazione spinta, della finanziarizzazione del capitale.
Infine i costi. “Sono quelli voluti dai governi che detengono gli immigrati e li sottopongono a lunghe procedure per stabilire se hanno diritto a chiedere asilo o devono essere ‘rispediti a casa’. Se e quando si permette loro di lavorare legalmente, i contributi che versano al fisco eccedono del 60% tutto ciò che lo Stato spende per loro in materia di edilizia convenzionata, sanità, pensione, istruzione e quant’altro”.
Lotta sociale e lotta al razzismo marciano di pari passo. Un buona partecipazione alla manifestazione di Firenze del 27 giugno scorso.
Il 27 giugno scorso si è tenuta a Firenze una manifestazione antirazzista promossa dal presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, e dal sindaco di Firenze, Dario Nardella. Hanno aderito fra gli altri Arci, Anpi, Cgil Toscana e nazionale assieme alla Camera del Lavoro di Firenze, molte associazioni di volontariato e delle comunità straniere, rom e sinti. Molti sindaci, una presenza più che dignitosa, i compagni e le compagne da sempre impegnati e sensibili contro le discriminazioni – erano i giorni del censimento dei rom gridato dal ministro dell’Interno e della chiusura dei porti. Molta Cgil, un po’ di delegati, qualche studente.
Una manifestazione difficile, fra la definitiva consapevolezza – per molti anche se non per tutti – che anche in Toscana, un tempo “rossa”, un ciclo politico e valoriale era definitivamente finito, dopo anni di progressivo logoramento e scoloritura. Una manifestazione partecipata, segno della consapevolezza di quanto fosse importante che non fallisse, nonostante le ragioni di chi segnalava la mancata coerenza del sindaco di Firenze a farsi alfiere dell’accoglienza, viste le posizioni rispetto al campo rom del Poderaccio – per molti troppo simili a quel che propaganda la Lega – e all’assurda proposta della “scala mobile della toscanità” per attribuire punteggio per l’assegnazione delle case popolari in base agli anni di residenza nella Regione, quando la stessa attuale legge regionale richiede almeno cinque anni di residenza continuativi per poter partecipare al bando.
Una manifestazione positiva, soprattutto per la grande verità urlata dal compagno della Fiom Cgil Marcello Gostinelli, della ex-Pirelli di Figline Valdarno, ora Bekaert, che rischia il licenziamento: “Smettiamo di avere paura del diverso, del migrante, dello straniero, del povero. Io ho paura di questi ricchissimi che in trenta minuti mi hanno chiuso lo stabilimento. Non sono i migranti che mi rubano il lavoro”. Perché questo è il punto, e su questo si misura la coerenza e l’efficacia della battaglia antirazzista: tenere assieme valori e principi con la materialità delle condizioni del mondo del lavoro.
L’abolizione della legge Fornero e l’adeguato finanziamento della sanità pubblica sono battaglie antirazziste, perché smontano la compagna dei penultimi contro gli ultimi. Sì, perché la Lega e il governo “gialloverde” sono illiberali, liberisti e securitari: proprio perché non prevedono politiche redistributive prendendo le risorse ai primi, mettono in competizione ultimi e penultimi. E non avendo intenzione di migliorare le condizioni dei penultimi, concedono loro di prendersela con gli ultimi.
Allora, assieme a una battaglia per la revisione del trattato di Dublino, per i corridoi umanitari e la possibilità di poter arrivare in Italia e in Europa legalmente e nella pienezza dei diritti, occorre migliorare le condizioni materiali di tutti gli esclusi e sconfitti dalla globalizzazione. E la battaglia contro il fiscal compact rende ancor più credibile quella per l’abolizione del reato di clandestinità e per la cittadinanza ai nati in Italia anche nella forma dello “ius soli”, molto temperato, in discussione nella scorsa legislatura.
Soprattutto bisogna non legare più permesso di soggiorno e contratto di lavoro: non sono i lavoratori stranieri che premono sugli autoctoni a indebolire le condizioni complessive del lavoro, ma i governi liberisti e i padroni che, togliendo diritti a una parte dei lavoratori e lavoratrici, puntano a toglierli a tutti. La battaglia per l’articolo 18, e il permesso di soggiorno per i lavoratori stranieri che denunciano le forme di grave sfruttamento lavorativo, sono due facce della stessa medaglia.
Alla manifestazione di Firenze questo afflato si respirava: necessità della coerenza da parte della politica, valori, principi, proposte. C’è molto da fare, ma non ci sono né scorciatoie né alternative alla mobilitazione e alla proposta contro il razzismo e per l’unità di lavoratrici e lavoratori, indipendentemente dal loro paese di nascita.
Il Consiglio europeo, diviso su tutto, unito solo contro migranti e Ong.
Mentre il ministro dell’Interno rilancia da Pontida l’ennesimo attacco contro le Ong, che non vedranno più “neanche in cartolina” i porti italiani, e mentre tre navi umanitarie sono bloccate nel porto de La Valletta, nelle acque del Mediterraneo centrale si continua a morire nell’indifferenza di molta parte della popolazione italiana, schierata con chi promette che, chiudendo i porti e le vie di fuga ai migranti da soccorrere in mare, le condizioni di vita degli italiani potranno migliorare.
Si tratta di una tragica illusione. Semmai, il vero pericolo per tutti, oggi, viene dalla costituzione di un fronte sovranista e identitario europeo – vero vincitore dell’ultima riunione del Consiglio europeo - che vorrebbe cancellare lo stato di diritto e la democrazia rappresentativa. E già oggi attacca pesantemente i diritti umani e i diritti sociali e civili.
Si ripetono attacchi continui contro gli operatori umanitari e si rilancia la macchina del fango contro le Ong, accusate di tutti i possibili reati, per il solo fatto di salvare vite umane in mare. Si vogliono eliminare tutti i testimoni dell’ecatombe nel Mediterraneo.
La tragica conta dei morti, che si allunga giorno dopo giorno, deriva direttamente dalla eliminazione delle navi umanitarie e dall’arretramento di quelle militari italiane ed europee che in passato, anche se si verificavano terribili stragi, riuscivano a garantire interventi di soccorso più solleciti.
Anche l’Unhcr ha espresso la sua preoccupazione per la diminuzione della presenza di navi in grado di operare interventi di soccorso nelle acque del Mediterraneo centrale. Secondo l’Oim negli ultimi giorni sono annegate oltre 400 persone, una serie di stragi ignorate dall’opinione pubblica e nascoste dai politici. La strage quotidiana in mare rappresenta la cifra morale del governo Salvini-Di Maio.
Nelle prime settimane di insediamento del nuovo governo, e in vista del Consiglio europeo del 28-29 giugno scorsi, il ministero dell’Interno e quello delle Infrastrutture hanno disposto in modo informale la chiusura dei porti e il divieto di ingresso nelle acque territoriali per le navi delle Ong che avevano effettuato soccorsi nelle acque internazionali davanti alle coste libiche.
Così sono state ritardate le operazioni di sbarco di centinaia di persone, soccorse da unità militari (come la nave statunitense Trenton) o commerciali (come il cargo Alexander Maersk), che solo dopo lunghi giorni di attesa hanno potuto trasbordare i naufraghi che avevano a bordo e proseguire la loro rotta. Si sono trasferite le responsabilità di coordinamento dei soccorsi alle autorità libiche, ignorando le stesse dichiarazioni della Commissione Europea sulle condizioni disumane di detenzione dei migranti nei centri libici.
L’allontanamento delle Ong e la istituzione unilaterale di una zona “SAR” libica, oltre alla posizione di blocco imposto dalle autorità maltesi, riducono la presenza dei mezzi di soccorso nel Mediterraneo centrale, e hanno già comportato un aumento esponenziale delle vittime. La creazione fittizia di una zona “SAR” libica, che sembra sia stata notificata anche all’Oim, sta legittimando gli interventi più frequenti della Guardia costiera di Tripoli, che arriva a minacciare gli operatori umanitari impegnati negli interventi di soccorso in acque internazionali. Interventi di soccorso sempre monitorati dalle autorità militari italiane ed europee, che però non intervengono con la stessa tempestività del passato.
Dal Consiglio europeo è arrivato anche il supporto alla chiusura contro le Ong, anche se non si è tradotto in normative vincolanti. Tutte le politiche europee sull’immigrazione, anche i respingimenti, avverranno “su base volontaria”.
Contro la scelta di chiudere i porti e di interdire l’ingresso delle navi delle Ong nelle acque territoriali, sia per sbarcare naufraghi che per effettuare rifornimenti e cambi di equipaggio, occorre rilanciare una forte iniziativa sul piano sociale, politico e legale. Questo per affermare il diritto alla vita, un diritto incondizionato che non può essere piegato a finalità politiche, e battere quell’ondata di disinformazione, di indifferenza e di mal indirizzato rancore sociale che sta disintegrando il tessuto umano della nostra Repubblica, e la stessa Unione europea. Di fronte a tutto questo, la resistenza è un dovere.