Nella piana di Gioia Tauro il giovane maliano Soumalya Sacko cercava di sopravvivere nella disperata e fatiscente tendopoli di San Ferdinando, un ammasso di baracche e tende di fortuna che pochi mesi fa era stato parzialmente distrutto da un incendio, costato la vita a una ragazza, Becky Moses.
A San Ferdinando trovano un precario riposo i tantissimi migranti che lavorano, pagati cifre miserevoli e senza diritti né tutele, nelle piantagioni e negli agrumeti della zona. Un inferno in terra, dove Sacko cercava di dare un minimo di dignità ai suoi fratelli africani, impegnandosi nell’attività sindacale di base, avendo tutti i documenti in regola. Dopo il rogo, nei piani della Prefettura il ghetto di San Ferdinando doveva essere sgomberato, e i braccianti trasferiti in un nuovo insediamento, con almeno i servizi igienici e logistici più elementari per accogliere migliaia di uomini e donne che si guadagnano a stento il pane. Invece tutto era rimasto come prima.
Così Sacko stava cercando, da sindacalista e con un paio di amici, di recuperare del materiale utile per costruire baracche in una vicina fabbrica abbandonata. Lì dove ha trovato, a soli 29 anni, la morte, colpito da una fucilata a pallettoni sparata da Antonio Pontoriero, che si sentiva il padrone di quell’area. Dopo l’omicidio la Flai Cgil, con gli altri sindacati dell’agroalimentare, ha chiesto al governo che intenda fare di fronte alla vergogna di San Ferdinando, e come pensa di combattere lo sfruttamento di migliaia di persone costrette a lavorare sotto il giogo dei caporali e dei proprietari terrieri. I migranti avranno una risposta civile, e un minimo di giustizia sociale? Ne dubitiamo, visto che, mentre vengono sfruttati, sono anche accusati di essere “il” problema nazionale dallo stesso governo che dovrebbe in teoria difenderli.