Il 7 maggio ricorrevano vent’anni dalla fondazione di “Nuove Identità di Lavoro”, e lo abbiamo voluto ricordare con un evento cui abbiamo invitato Carlo Ghezzi, all’epoca segretario della Cgil responsabile dell’organizzazione, Cesare Minghini, primo coordinatore di NIdiL, e i segretari generali che si sono succeduti (Emilio Viafora, Filomena Trizio e il sottoscritto). Con l’attenta e a volte ironica sollecitazione di Massimo Franchi, abbiamo ripercorso questi anni, ragionato su come NIdiL li abbia vissuti, e come si presentino – a vent’anni di distanza – le sue prospettive. Questa discussione collettiva si è svolta davanti a un uditorio molto interessato, visto che si trattava della gran parte di segretari generali e dei responsabili NIdiL, e in coincidenza con l’apertura del prossimo congresso confederale.

Inizierei con dei dati di fatto: oggi NIdiL non è più un’ipotesi, ma un pezzo dell’organizzazione: 103.771 sono infatti gli iscritti a fine 2017, unica categoria degli attivi, assieme alla Filcams, a segnare incrementi significativi e continuativi nel corso degli anni, tanto da ‘schiodarsi’ dall’ultimo posto (e anche dal penultimo) nella graduatoria delle categorie per numero di iscritti.

Questo ci dice due cose: la prima è che, con tutta la fatica che richiede, un insediamento della Cgil nel mondo del lavoro precario c’è, e questa è la migliore risposta a quanti pontificano sulla supposta impossibilità del sindacato confederale di rappresentare il mondo del lavoro post-novecentesco; la seconda, drammatica, è che la nostra rappresentanza del lavoro riflette proprio il dato della sua progressiva precarizzazione e fragilità, con tutte le conseguenze organizzative ed economiche che ciò comporta.

Acquisito che NIdiL è un elemento del panorama confederale non transitorio, e messo quindi definitivamente alle spalle l’estenuante e noioso refrain “Ma NIdiL resterà oppure no?”, la discussione fra i protagonisti presenti e passati si è misurata con le diverse accentuazioni che in questi vent’anni anni hanno caratterizzato la storia della categoria, a partire dallo stesso concetto di “categoria” che non da tutti era accettato, immaginandosi NIdiL più come un luogo di “alfabetizzazione sindacale” che soggetto di rappresentanza e contrattazione.

Il tema ha in effetti attraversato l’intera storia di NIdiL, nata (come ha ricordato Ghezzi) fra discussioni accese tra chi sosteneva che l’entrata in vigore del pacchetto Treu, e la di poco antecedente creazione della gestione separata Inps per i “parasubordinati”, determinavano un nuovo assetto del mondo del lavoro che rendeva necessario – per la Cgil – un “contenitore organizzativo”, e quanti invece sostenevano la possibilità per la Filcams di allargare la propria rappresentanza a questi soggetti che operavano essenzialmente nel terziario.

Ma il punto decisivo, sottolineato pur con diverse angolazioni da Viafora e Trizio, è stato il progressivo trasformarsi della condizione soggettiva delle persone che NIdiL doveva rappresentare: ciò che nel 1998 si pensava come “transitorio” è divenuto condizione stabile per migliaia di persone, e quindi anche la funzione si è dovuta trasformare in azione sindacale vera e propria, con i conseguenti aspetti prioritari rappresentati dalla triade “organizzare, rappresentare, contrattare”.

Costante nei vent’anni è stata la sfida per NIdiL di avvertire prima di altri il mutare delle condizioni del mondo del lavoro: come i canarini nelle miniere, che sentono prima degli altri il grisou, abbiamo potuto sperimentare sulla pelle delle persone che si rivolgono a noi gli effetti delle “riforme” che in questo lungo arco di tempo hanno precarizzato il lavoro, fino a destrutturare l’impresa quale luogo dell’unità del lavoro, e fino alla sfida del lavoro svolto tramite le piattaforme, che comunicano via app le disposizioni lavorative, ne monitorano lo svolgimento, e a seconda delle recensioni degli utenti possono interrompere per via informatica la relazione lavorativa.

Se questi sono i nodi, è evidente che il futuro di NIdiL è lo stesso del sindacato confederale: o si riuscirà a ri-costruire, nelle forme e nei modi adeguati, l’unità del mondo del lavoro, ri-costruendo il ciclo produttivo e ri-unificando ciò che la tecnologia, ma soprattutto la politica hanno separato, oppure la deriva corporativa sarà sempre in agguato. Il che obbliga tutti, NIdiL per primo, a trovare pervicacemente i terreni d’azione insieme alle altre categorie della Cgil, per praticare diffusamente la contrattazione inclusiva. Il prossimo congresso, a cominciare dalle modalità con cui si svolgerà, sarà un banco di prova decisivo. Per questo le assemblee congressuali di sito non dovrebbero più essere un’eccezione ma la prassi della Cgil, adeguata alle sfide del XXI secolo. Buon lavoro!

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