“Il lungo cammino della Palestina 1917-2017”, a cura di Alessandra Mecozzi, edizioni Q, euro 10.
“Questo libro è utile: documenta, in modo semplice e chiaro, i dati che lungo tutto un secolo stanno al fondo del ‘problema israelo-palestinese’”. Così inizia la prefazione di Wasim Dahmash, saggista, docente e traduttore palestinese, al libro curato da Alessandra Mecozzi. “È utile – continua Dahmash - anche perché ha il merito di non fornire informazioni precostituite: … gli autori hanno adottato un punto di vista che non è quello della classe politica palestinese né, come è ovvio, quello delle élite sioniste, ma si attengono all’esposizione di fatti e fenomeni”.
“Il volume – spiega a sua volta la curatrice Mecozzi - è frutto di un lavoro, durato oltre un anno e mezzo, che ha coinvolto diverse persone. L’idea è nata da una pubblicazione, ‘La Palestine dans tous ses états’, redatta e stampata a Bruxelles dall’Association Belgo-Palestinienne, che ha autorizzato a tradurre e pubblicare i testi in italiano. Le schede realizzate a Bruxelles si fermavano al 2007 e gli autori italiani hanno proceduto ad aggiornamenti, in parte inviati dall’Association Belgo-Palestinienne, in parte inseriti da me”.
I testi arrivano all’inizio del 2017; nelle tabelle dei dati e nelle mappe, a cui si accede tramite link, vengono riportati gli anni di riferimento. Le fonti sono citate nelle note. La pubblicazione, in 17 schede, corredata da un’ampia cronologia iniziale, è sembrata un buon modo per ricordare che il 2017 ha segnato 100 anni dall’occupazione della Palestina e dalla Dichiarazione di Balfour, 70 anni dalla partizione della Palestina votata dall’Onu, 50 dalla guerra dei sei giorni e dall’occupazione dei territori palestinesi che dura ancora oggi.
Gli autori si augurano che possa essere uno strumento utile, in particolare per giovani che poco o niente conoscono della storia della Palestina – non fa parte dei programmi scolastici – e per tutti coloro che hanno interesse a conoscenze che vadano oltre la stretta attualità. In effetti non si può non constatare che, sulla Palestina e la lotta per l’autodeterminazione del popolo palestinese, sia calato un assordante silenzio, rotto solamente dai pianti di coccodrillo nell’immediato indomani di una delle sempre più numerose stragi, ad opera dell’esercito israeliano, di uomini, donne, bambini che cercano di far sentire la loro voce dalla prigione a cielo aperto di Gaza, o dalla Cisgiordania assediata dal muro e dai check point eretti da Israele.
Ancora Dahmash nota che “l’opacità che circonda la vicenda palestinese, e che questo libro contribuisce a chiarire con efficacia, dipende da una politica internazionale precisa, a cui i mass-media si accodano, opacità che tende a celare i fatti, o misfatti, per la semplice ragione che quei fatti sono indifendibili, sotto qualsiasi aspetto, legale e giuridico, storico e morale”. Infatti, “quando nessuna giustificazione può essere addotta per rendere accettabile la brutalità che contraddistingue qualsiasi atto d’aggressione del più forte contro il più debole, si cerca semplicemente di nasconderlo, per quant’è possibile, oppure si tenta di far sì che i modi di agire dell’aggressore sembrino accettabili in quanto giustificati come ‘giuste’ pratiche di ritorsione”.
Per Dahmash, la situazione della Palestina “è un caso di colonialismo di insediamento”. Il colonialismo in Palestina – scrive infatti nella prefazione – “sopravvive nella sua forma tradizionale, senza trionfare e senza soccombere: la popolazione autoctona non è riuscita, in un lungo secolare percorso annunciato dal titolo di questo libro, a respingere l’aggressione coloniale che pretende di sostituirsi a essa. Nello stesso tempo nemmeno la potente forza coloniale sionista è riuscita nel suo intento, nonostante le immani sofferenze che infligge tuttora ai palestinesi”.
Il territorio palestinese è sotto il controllo militare israeliano, mentre continua sempre più intensa l’appropriazione delle terre palestinesi e la costruzione di nuovi insediamenti di coloni israeliani. E’ dal 1917 – come dimostrano gli autori - che la politica della potenza britannica occupante è tesa a conseguire l’obbiettivo di sostituire la popolazione palestinese con coloni provenienti dall’Europa. Un obiettivo che si sviluppò con rapidità nel corso del periodo del Mandato, e che ancora oggi si reitera con lo Stato d’Israele. Questa politica coloniale in Palestina ha creato un sistema di apartheid. Eminenti sudafricani che subirono e combatterono la discriminazione razziale nel loro paese, tra cui l’arcivescovo Desmond Tutu, nel visitare la Palestina sono stati colpiti dal modello dell’apartheid israeliano: secondo loro, persino più ‘scientifico’ e feroce di quello sudafricano.