Nonostante fosse già praticata in diverse scuole, è con la legge 107/15 che l’alternanza scuola lavoro diventa parte integrante e obbligatoria del percorso scolastico delle scuole superiori. L’obbligo viene così esteso a tutte le scuole per un minimo di 200 ore nei licei e di 400 negli istituti professionali e tecnici e riguarda oltre la metà degli studenti delle superiori in tutta Italia: le classi terze, quarte e quinte.

A quasi tre anni dall’approvazione della legge, sono opportune alcune osservazioni. La prima riguarda la difficoltà da parte di molte scuole, in particolare in aree con strutture produttive scarse o assenti, di realizzare per intero il percorso formativo. Avevamo espresso al governo le nostre perplessità in proposito, suggerendo che ogni scuola potesse scegliere il proprio percorso e la relativa durata.

La seconda osservazione è relativa alla percezione dell’alternanza da parte di studenti e insegnanti: un’attività che in molti contesti viene percepita in modo estraneo al tradizionale percorso scolastico, un’ulteriore incombenza burocratica per il lavoro di insegnanti e segreterie, che sottrae tempo allo studio per gli studenti.

Anche il recente monitoraggio effettuato dalla Fondazione Di Vittorio (insieme a Cgil e Flc) su quasi duecento aziende evidenzia alcune problematicità: la difficoltà delle scuole nella progettazione autonoma di percorsi di alternanza; uno scarso coinvolgimento del collegio docenti; la delega della progettazione a una sola figura; una comunicazione burocratica alle famiglie.

Ne consegue la tendenza a delegare la realizzazione dei percorsi a soggetti esterni, acquistando “pacchetti” preconfezionati da enti e società con fini meramente speculativi: percorsi standardizzati e ripetuti in maniera identica in più scuole, senza attenzione alle particolarità della singola scuola e dei singoli studenti. In alcuni casi con un esborso economico da parte delle famiglie (ad esempio per le spese di viaggio), nonostante lo stanziamento annuale da parte del ministero di risorse economiche specificamente destinate.

Il rischio è quello che le esperienze di alternanza vengano demandate al caso o all’iniziativa spontanea di qualche docente, e che non si riesca a garantire agli studenti la certezza di compiere nel triennio percorsi realmente formativi. In maniera ancora troppo diffusa, infatti, gli studenti in alternanza vengono assegnati a strutture dequalificate, non coerenti con il percorso di studio, o confinati in mansioni ripetitive o scarsamente formative. Sembra prevalere la preoccupazione da parte delle scuole di trovare una qualsiasi “sistemazione” agli studenti, pur di completare il monte ore obbligatorio. Occorre invece una radicale inversione di tendenza che rimetta al centro la figura dello studente, personalizzando il percorso di formazione e coinvolgendo nella sua costruzione tutti i soggetti interessati (studenti, docenti, famiglie, soggetti ospitanti). Occorre costruire relazioni ampie e durature con i soggetti sul territorio; vanno coinvolte le amministrazioni e gli enti pubblici, soprattutto nelle realtà in cui è più debole la presenza di soggetti privati Va valorizzato il ruolo insostituibile delle organizzazioni rappresentative dei genitori e degli studenti e potenziato (anche con interventi legislativi) l’aspetto progettuale del collegio docenti. Occorre inoltre porre al centro della formazione il ruolo centrale della sicurezza come elemento principale che caratterizza un lavoro dignitoso e di qualità. Va implementata ulteriormente anche la formazione dei tutor di scuola e dei tutor aziendali, obiettivo non facile, dato che circa la metà delle imprese partecipanti ha una dimensione inferiore ai dieci dipendenti.

Infine va sgombrato il campo da due equivoci molto diffusi: la concezione secondo cui l’alternanza sarebbe uno strumento utile per imparare un mestiere, e l’idea che l’alternanza rappresenti uno strumento che, aggirando le norme di legge, possa fornire manodopera gratuita alle imprese. Visioni grette e riduttive, tanto più superate oggi, quando le competenze specifiche e i saperi tradizionali invecchiano rapidamente e si richiedono competenze trasversali e capacità di formazione durante tutto l’arco della vita. Va ribadito con chiarezza che l’alternanza è un percorso didattico, uno dei tanti possibili, per portare gli alunni (possibilmente tutti) a raggiungere con strumenti diversi gli obiettivi propri del percorso scolastico.

Auspichiamo che nei prossimi anni, a differenza di quanto accaduto finora, il ministero dell’istruzione apra un confronto serio con tutti gli attori interessati (scuole, famiglie, parti sociali, amministrazioni pubbliche, imprese) al fine di migliorare l’impianto complessivo dell’alternanza scuola lavoro. L’obiettivo è quello di fare dell’alternanza un’occasione per acquisire ulteriori competenze e uno strumento per poter cogliere opportunità formative in contesti e in tempi diversi.

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