Nelle riflessioni per il lungo periodo, che dovremo fare dopo l’esito delle elezioni, c’è anche quella di pensare alla nostra storia, cosa utilissima sia per chi l’ha vissuta, sia per chi non la ricorda, e soprattutto per chi è nato dopo. Dei partiti di massa, dei sindacati che condizionavano la politica nazionale, degli schieramenti fondati su opzioni di fondo: il comunismo, il cristianesimo, la laicità, la guerra fredda, ecc. Dovremo farlo ricordando le biografie individuali e di gruppo, quelle che “hanno fatto la nostra storia”, per usare una espressione un po’ solenne ma, in definitiva, vera.

A partire da queste motivazioni voglio ricordare Domenico Jervolino, chiamato “Mimmo”. E’ morto il 28 febbraio, era nato nel 1946 a Napoli. Mimmo faceva parte di una famiglia notissima e tutta impegnata nel cattolicesimo democratico, la cugina sindaco di Napoli, entrambi gli zii ministri dell’epoca degasperiana. Le sue radici sono lì, ma la sua ricerca si è subito allontanata dalla comoda continuità con il senso comune intrinseco alla sua educazione.

Dall’inizio si impegnò nelle Acli, quando ciò significava una prima rottura. Era il periodo in cui esse mettevano in discussione il dogma dell’unità politica dei cattolici. Di lì nacque il Movimento Politico dei Lavoratori (Mpl) che ruppe con la Democrazia Cristiana proponendosi come alternativa da sinistra per il mondo cattolico impegnato nel sociale e nel sindacale.

L’Mpl non ebbe successo, ma si era aperta una strada che andò oltre questa sconfitta. Da allora Jervolino scelse di addentrarsi in un percorso sia ecclesiale che culturale e politico che portava l’area del dissenso nella chiesa a confrontarsi con la politica, con la sinistra, col marxismo, con la laicità. Alle spalle c’era il Concilio Vaticano II conclusosi nel 1965; esso aveva posto le premesse per cambiare la chiesa.

Di questo percorso Jervolino è stato uno dei leader. Quanto fosse accidentato lo ricordano quelli che, come lui, fondarono un movimento, quello dei Cristiani per il socialismo, che ebbe vita breve, sei-sette anni, ma che mise i piedi nel piatto: come si poteva accettare il marxismo (con quanto ciò comportava) senza abbandonare il proprio riferimento al Vangelo e non accettando la vulgata allora diffusa secondo cui la religione era destinata a evaporare qualora la società fosse radicalmente cambiata nella direzione della giustizia e del potere popolare? Questa la questione.

Una seconda questione era relativa al fatto che, per coerenza, bisognava essere militanti, cioè fare politica, stare in un partito, portarvi il proprio vissuto e il proprio impegno, senza i “se” e i “ma” che potevano venire da altro, dal lavoro, dalla famiglia, o magari dall’impegno nel sociale (molto omogeneo con la sensibilità di provenienza). Mimmo, dopo l’Mpl, continuò nella sinistra alternativa, prima nel Pdup, poi in Democrazia Proletaria (il piccolo partito che riuniva tante aree del dissenso politico nella sinistra). Mimmo fu consigliere della Regione Campania, fu anche assessore all’educazione del Comune di Napoli. Dopo Democrazia Proletaria continuò, senza dubbi sulla nuova strada, in Rifondazione Comunista, dove ebbe un ruolo dirigendo una rivista di riflessione teorica (“Alternative”), ma in cui le sue straordinarie capacità non furono valorizzate. La cosa lo fece soffrire e fu un danno per Rifondazione; ciò avvenne proprio nel momento in cui Rifondazione ebbe un ruolo importante nella politica nazionale.

Ma di Mimmo voglio ricordare altre due cose che lo fecero molto emergere, aldilà dei riconoscimenti formali, nell’area della sinistra critica. La prima: egli seppe unire questa presenza politica, di tutto rispetto e di grande impegno, con una carriera di professore universitario che si concluse con la cattedra di Filosofia del Linguaggio all’università di Napoli. Un intellettuale che, in quel contesto, sceglieva e si schierava. Fu discepolo (e poi amico personale) di Paul Ricoeur, forse il più eminente filosofo francese del secolo scorso. Quando andò in pensione la sua facoltà gli dedicò un volume di studi appositamente scritti.

La seconda cosa che voglio ricordare è la più importante. Mimmo fu, tra i tanti, quello che maggiormente analizzò ed elaborò la principale e fondamentale questione che si trovò di fronte: cosa cancellare e che ricchezza invece portare dalla storia dei cristiani del dissenso alla nuova area culturale e politica nella sinistra nei confronti della quale c’era stata per decenni una separazione al limite della completa incomunicabilità. Ora la situazione è diversa, ma queste grandi questioni sono sempre sul tappeto anche se si pongono in altro modo.

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