Una visione alternativa in Giovanni Mazzetti, “Contro la barbarie sulla previdenza” (pagine 139, euro 16, Asterios).
Le conquiste sindacali, come è noto, non sono un fatto acquisito per sempre: per molteplici fattori, attinenti alla stato dei rapporti di forza tra le classi, possono con il tempo addirittura essere cancellate. Paradigmatico in questo senso è il caso della riforma Brodolini della previdenza, promulgata nel 1969, che nell’ultimo ventennio è stata progressivamente svuotata dei suoi contenuti più che avanzati. Infatti, la controriforma Fornero del 2011, che ha previsto un generalizzato e drastico allungamento della vita lavorativa della forza lavoro e il progressivo innalzamento delle pensioni d’anzianità, è stata solo il colpo finale all’impianto della riforma del 1969, che meritoriamente aveva stabilito l’introduzione del calcolo retributivo a ripartizione ed il pensionamento d’anzianità. Con il fine - è bene ricordarlo - di superare i problemi relativi al dissesto finanziario derivante dalla svalorizzazione del precedente sistema a capitalizzazione.
Di fatto la regressione era decollata con le controriforme Amato del 1992 e Dini del 1995. Queste, in maniera concatenata, hanno determinato le condizioni per la reintroduzione del calcolo a capitalizzazione. Al quale, date le prevedibili conseguenze devastanti sul piano non solo monetario per le generazioni che hanno trovato un’occupazione dopo il 1980, si vuole porre un parziale rimedio mediante la tutt’altro che risolutiva proposta di una pensione contributiva di garanzia per i giovani.
Se siamo consapevoli di cosa ha significato la controrivoluzione liberista per le condizioni materiali, sociali e culturali di coloro che rappresentiamo, diventa essenziale comprendere per quali ragioni in quella stagione le politiche della concertazione si sono rivelate drammaticamente arrendevoli e controproducenti, e perchè la via del temperamento del liberismo, inaugurata dalle socialdemocrazie, si è dimostrata - nelle diverse varianti nazionali - fallimentare su scala europea. Una fondamentale disamina in questa direzione la compie Giovanni Mazzetti nel recente libro “Contro la barbarie sulla previdenza” (pag. 139, euro 16, Asterios) sistematizzando ulteriormente l’elaborazione che aveva condotto, controcorrente, nel 1995 nel pampleth “La controriforma delle pensioni”, successivamente nel 2003 attraverso l’eloquente “Il pensionato furioso” e infine nel 2013 tramite il poderoso “Dare di più ai padri per fare avere di più ai figli”.
Si è sviluppata, infatti, proprio con gli inizi degli anni ‘80, l’offensiva ideologica promossa dai serbatoi di pensiero del capitale, che dichiarando insostenibile sul piano economico la moderna previdenza , avevano veicolato il falso messaggio per cui i privilegi goduti dalle vecchie generazioni sarebbero ricaduti come costi sulle nuove generazioni. Purtroppo, questo messaggio ha fatto breccia, segnala Mazzetti, anche nella migliore sinistra, se si pensa che in una relazione introduttiva ad un convegno sul welfare e i processi di invecchiamento della popolazione, a metà degli anni ‘90, Bruno Trentin sostenne che le nuove generazioni sarebbero “nate per pagare”.
L’accettazione acritica di questa narrazione, mettendo in soffitta sia il Marx che indica nei “Grundrisse” come “l’incremento della produttività generale si presenta come dono naturale del lavoro sociale”, sia il concetto di “moltiplicatore della spesa statale” di Keynes, ha permesso, al di là della retorica dei tanto conclamati diritti di cittadinanza, che venisse individuata nella compressione dei diritti sociali la soluzione necessaria per affrontare la crescita del debito pubblico degli stati e la “tendenza strutturale al ristagno” tipica del modo di produzione capitalistico.
Sostanzialmente, il ritorno a politiche pre-keynesiane, combinate con l’acuirsi della crisi per via dello scoppio delle bolle provocate dalla speculazione finanziaria, non solo ci hanno proiettato nella dimensione della “stagnazione secolare”, ma hanno determinato un capovolgimento sociale di tipo regressivo, al punto che il conflitto tra generazioni ha sostituito nell’immaginario collettivo il conflitto di classe, come l’individualismo ha teso a prevalere sull’istanza collettiva.
L’arretramento sociale culturale è stato enorme, ma per quanti non hanno dismesso le armi della critica, l’originale approccio di Mazzetti alle tematiche della riproduzione della società e delle comunità umane, in forma non alienata, può essere certamente fecondo per un nuovo orientamento di classe del movimento operaio.