Ridimensionare il perimetro e la responsabilità pubblica è stato l’obiettivo neoliberista di gran parte dei governi europei, già prima della crisi del 2008, nella prospettiva di una rottura del patto sociale in nome della ragione di mercato. Ciò vale anche per il nostro paese. La campagna politica di svalorizzazione del lavoro e dei servizi pubblici è servita a giustificare le soluzioni proposte ed attuate dai diversi governi: il blocco dei contratti del pubblico impiego, la sospensione del turn over, la diminuzione delle risorse per la spesa pubblica, definita improduttiva. Sacconi ne ha ben illustrato il senso nel suo “libro bianco”. Uno “Stato leggero” che delega gran parte della propria azione alla famiglia/comunità e disinveste sulle istituzioni del welfare, a partire dal servizio sanitario e dalla previdenza pubblica consegnandole all’iniziativa privata.
Sono misure che hanno aumentato le disuguaglianze sociali, la povertà, le precarietà diffuse. La riduzione degli organici ha costretto al ricorso a forme di lavoro atipico per le attività indifferibili, aumentando la spesa complessiva, così come con le esternalizzazioni. L’età media dei pubblici dipendenti è arrivata ad essere tra le più alte d’Europa (ben oltre i 50 anni). Inadeguati investimenti nell’innovazione tecnologica e strumentale hanno messo a rischio la qualità dei servizi e delle prestazioni ai cittadini.
In questo quadro desolante, l’accordo del 30 novembre 2016 che avvia la trattativa sul rinnovo dei contratti pubblici apre una fase importante. Riconosce le lavoratrici e i lavoratori quali soggetti portatori di competenze e di professionalità determinanti per attuare la riforma della pubblica amministrazione, e riequilibra i pesi tra legge (Brunetta) e contratto.
Dopo sette anni di blocco della contrattazione si torna finalmente a parlare di relazioni sindacali quale strumento necessario per agire sull’organizzazione del lavoro, determinare condizioni utili al miglioramento dei livelli di produttività e di qualità delle prestazioni, aumentare i diritti e le tutele di tutti, cittadini e lavoratori. Le proposte per i rinnovi contrattuali di sanità, funzioni centrali e funzioni locali si fondano su questa premessa: liberare la contrattazione - in particolare di secondo livello - per produrre vera innovazione, per un sistema all’altezza dei bisogni di una società in profonda trasformazione. Il rinnovo contrattuale porta con sé una serie di istanze che non è possibile ignorare: il tema delle professioni, il “life work balance”, gli organici dedicati ai nuovi servizi per renderli in grado di dare risposte di qualità ai bisogni delle persone.
L’invecchiamento della popolazione, le patologie croniche, la scarsa natalità e la bassa occupazione femminile e dei giovani, le nuove tecnologie, l’aumento delle povertà e delle vulnerabilità, la difficoltà all’accesso alle cure, sono solo alcuni degli elementi su cui non è più rinviabile una visione di sistema. Che deve contare su adeguati investimenti. La legge di bilancio 2017 prevede invece un taglio di 500 milioni sul fondo sanitario nazionale, portandolo sotto la soglia minima che ne garantisce la tenuta e rende esigibili i Lea (livelli minimi di assistenza). Non solo: servono finanziamenti anche per ridare salari dignitosi a chi da sette anni non ha avuto incrementi contrattuali e spesso ha visto ridurre, per gli automatismi dei decreti legge, il proprio salario. Le pubbliche amministrazioni non sono un costo, ma una risorsa per il presidio del territorio, per la legalità e la democrazia, per la tutela dei diritti di cittadinanza, per lo sviluppo e la coesione sociale.
Si tratta di una risorsa che deve essere adattata alle diverse realtà locali. Per questo servono formazione, revisione dei processi, delle funzioni e delle attività. Serve avviare, usando la leva contrattuale, la ricomposizione delle filiere costituite da chi eroga funzioni pubbliche ma proviene da contratti privati. Aumentare l’efficacia dell’azione pubblica. Non si tratta solo dell’incremento economico (che fa riferimento a un aumento contrattuale di 85 euro medi mensili per il triennio 2016-2018) né della soluzione che garantisca aumenti contrattuali efficaci per tutti senza incidere sul bonus degli 80 euro.
La partita è molto più importante. Le mobilitazioni sindacali, l’incessante pressione delle delegate e dei delegati, delle Rsu, delle lavoratrici e dei lavoratori per riconquistare questo spazio di democrazia, per riprendere parola sulle proprie condizioni di lavoro hanno avuto la meglio. La sentenza della Consulta del 2015 che impose lo sblocco dei contratti del pubblico impiego ha ridato fiato alle loro legittime rivendicazioni. Si è aperta così una prospettiva nuova alla volontà di protagonismo dei lavoratori per ricostruire un’alleanza con i cittadini. E’ la sfida di questo rinnovo contrattuale, e di quelli che seguiranno.