I nostri referendum sociali sul jobs act sono entrati di peso nello scontro politico. La Cgil ha avuto ragione a presentarli a sostegno della Carta dei diritti, in continuità con le mobilitazioni generali e di categoria.
Ora si è insediato il nuovo governo, costituzionalmente legittimo in una democrazia parlamentare. Ma, a partire dalla sua composizione, rappresenta un’arrogante operazione di continuità, un fac-simile del precedente, in disprezzo al voto referendario. Se non darà risposte al malessere sociale, al sud, alle nuove generazioni, alle crescenti diseguaglianze, alla povertà, alimenterà la frattura con il paese e la distanza dal sentire comune di quel popolo del No che ha dato anche un giudizio inequivocabile sul governo e sul suo supponente e irresponsabile presidente.
In primavera il popolo italiano tornerà a votare. La Corte Costituzionale è convocata l’11 gennaio e, dopo il suo via libera ai quesiti, si potrà votare una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno. Per il voto referendario il governo dovrebbe indicare la prima data possibile, domenica 16 aprile, e favorire contemporaneamente l’avvio del dibattito parlamentare sulla Carta dei diritti, evitando improponibili escamotage per sfuggire al voto.
Dalle dichiarazioni del ministro Poletti e del presidente di Confindustria, sembra che la lezione del 4 dicembre sia già stata rimossa. Tende a prevalere la miseria di certa politica e di certo capitalismo italiano. La bocciatura del jobs act, dopo quella della riforma costituzionale, sarebbe certo un colpo mortale alla strategia del triennio renziano a sostegno di impresa e mercato, contro i diritti nel e del lavoro. Fronte padronale e politico tenteranno di tutto per non farci arrivare al voto o far mancare il quorum. Sarà un duro scontro politico.
Per questo dobbiamo promuovere alleanze a sostegno della campagna referendaria e dell’obiettivo primario di una legge che recepisca la nostra “Carta dei diritti universali”: una vera e propria rivoluzione nella legislazione sul lavoro.
Con i referendum vogliamo abrogare la liberalizzazione dei licenziamenti economici, ripristinando la reintegra in tutte le imprese da cinque dipendenti in su; cancellare i voucher, nuova forma dilagante di sfruttamento, e riaffermare la responsabilità del committente in caso di violazioni nei confronti del lavoratore negli appalti. La nostra iniziativa riporta al cuore del confronto politico la questione sociale e la centralità del lavoro. Il referendum è uno strumento non più solo nostro ma di tutti coloro, associazioni, movimenti, sinistra politica e sociale, che vogliono migliorare e riprogettare il paese, ponendo fine alle fallimentari politiche liberiste finora praticate.