L’amore per il lavoro nella tempesta del post fordismo è un filo rosso che unisce le fabbriche della penisola. Da Treviso a Palermo, da Napoli a Milano passando per Cagliari, i racconti di chi manda avanti il paese sono fotografie - non ritoccate, non truccate con fotoshop - dell’Italia di oggi. Un naturale melting pot di culture diverse come succede nelle città di mare, da Genova a Livorno.
Italian Graffiti di questo tempo, drammatico e talvolta terribile. Il lavoro nell’epoca della crisi è l’ingegnere neo laureato che ringrazia la sua buona stella per essere stato assunto come commesso in un supermercato. E che fa il suo vero mestiere quando improvvisamente si rompe l’impianto di aria condizionata del punto vendita. Il lavoro al tempo della crisi è la ragazza trentenne, con la dotazione di serie che oggi comprende laurea e master, che finisce per lavorare in una catena di abbigliamento come finta imprenditrice di se stessa. Poi ci sono gli operai, quelli come ce li immaginiamo, con la tuta blu (o bianca, o gialla) da lavoro e i turni alle catene di montaggio. Più tecnologiche di un tempo, ma sempre con l’obbligo di tempi di produzione via via più stretti. Aziende in salute e aziende quasi decotte, fabbriche che viaggiano a pieno regime e fabbriche occupate per impedire il trasloco dei macchinari.
Un mondo che è stato un piacere e un onore raccontare attraverso la lente di ingrandimento di chi non è solo lavoratore ma anche delegato sindacale, sempre in produzione. Nel segno di quella antichissima massima - l’unione fa la forza - che è alla base del movimento operaio fin dai tempi della rivoluzione industriale. Tante voci per lanciare anche un messaggio d’amore al lavoro, che può essere faticoso, stressante, noioso, anche alienante. Troppo spesso mal pagato, quasi sempre precario. Ma che fa parte della vita di ciascuno di noi. Così la fabbrica, il laboratorio, l’ufficio, il negozio diventano altrettanti luoghi dove si fa politica, si difendono i diritti, si cerca di migliorare la vita nelle sei, otto, dieci ore che quotidianamente dedichiamo a fare andare avanti una società sempre più frammentata e difficile. Un caleidoscopio di testimonianze che guardano a un settore industriale sempre più in affanno, dimenticato dalla politica e diventato sempre più gracile e malato. Autentica cartina di tornasole della decadenza di un paese che negli ultimi vent’anni non ha voluto pensare e progettare per tempo il suo futuro