Cingolani e la tassonomia europea per gas e nucleare - di Mario Agostinelli

Il silenzio del governo sull’operazione sfacciata da parte della Ue di considerare “green” nucleare e gas, rivela ancora una volta la mancanza di autonomia dalle grandi lobby degli esecutivi tecnici (Dini e Monti ce lo ricordano…).

Lo squarcio aperto dallo sciopero generale del 16 dicembre ha espresso compiutamente una critica di fondo: oltre alla precarietà del lavoro, l’accrescimento delle disuguaglianze e l’insufficienza delle risorse poste a disposizione dei ceti più deboli, la politica economica ripercorre la strada di prima della pandemia. Ne è prova indiscutibile l’indifferenza verso il clima e l’ambiente che si ritrova nei Pnrr infarciti di turbogas, Ccs (cattura e sequestro del carbonio), e addirittura proiettati senza scandalo sul ritorno del nucleare.

La Cgil – lo dimostra la vicenda di Civitavecchia – coglie come ci sia ormai, dopo la globalizzazione in particolare, una incompatibilità tra il vivente e gli impieghi di fonti di energia troppo dense, come nel caso del metano e dell’atomo. Per di più, la sua rappresentanza nel mondo del lavoro ha radici così profonde da capire che siamo di fronte a un eccesso di capacità trasformativa delle risorse naturali rigenerabili, ad opera di un modello di crescita ingiusto e predatorio. Inizia cioè a considerare che quanto più densa è la fonte energetica, tanto più lungo e duraturo sarà il suo tempo di smaltimento in atmosfera, negli oceani e nei suoli, e tanto più diverrà rilevante la sostituzione di lavoro umano per fornire una certa quantità di manufatti.

Proprio per questo, fonti di energia, ambiente, occupazione e riduzione dell’orario sono strettamente collegati. Quanto più lontano nei milioni di secoli si sono formati l’uranio, il carbone, il petrolio e il gas, tanto più sarà rilevante il loro effetto istantaneo dovuto a combustione, fissione o fusione - che dir si voglia - ai giorni nostri.

In una società moderna, non da lume di candela, la scienza, la conoscenza e una tecnologia opportuna possono far sì che la convivenza e la sopravvivenza si possano avvalere di energie naturali e accumulabili anche se intermittenti - acqua, vento, luce, calore del sole – con l’obiettivo di una sufficienza nei consumi.

Il lavoro umano sul pianeta ha raggiunto nel giro dell’ultimo secolo una capacità assolutamente insostenibile, con un’estensione all’intera popolazione mondiale e con orari individuali assurdi, precarietà illimitata, con effetti sul salario e il welfare pesantissimi per oltre la metà degli occupati. L’impronta ecologica degli abitanti dei paesi industrializzati supera i margini annuali previsti già nel primo semestre dell’anno solare: l’orario di lavoro e lo spostamento dell’attività umana verso la cura e l’istruzione permanente è quindi indifferibile, come un marchio di progresso di civiltà cui le organizzazioni sindacali destinano il loro contributo.

La riconversione ecologica integrale richiederebbe il ridisegno e la riprogettazione radicale di tutti i componenti oggi impiegati come protesi di amplificazione della potenza, della velocità e dell’approvvigionamento alimentare degli umani più ricchi. Il “lentius, profundius, suavius” di Langer deve pertanto essere praticato nei territori e sostenuto da un ricorso alla educazione permanente, aggiornando l’organizzazione degli studi sotto forma interdisciplinare, e valorizzando il sapere e le conoscenze delle comunità con corsi di natura popolare.

Ma come potrebbe questa “svolta” necessaria, cosciente e partecipata, viaggiare sulle improvvisazioni di un ministro della transizione ecologica che punta al reimpiego del gas fossile e al ritorno del nucleare, che, pur di essere tenuti in vita, minacciano la vita vera: quella in grado di riprodursi, nascere e morire, assumendo energia non letale dall’ambiente esterno?

Veniamo ora alla minaccia dell’inserimento nella “tassonomia verde Ue” di metano e nucleare, contro cui si stanno sollevando avversioni e forti critiche non solo dal mondo ambientalista. Per quanto riguarda il metano verde (?!) si danno spesso solo dati vaghi: a parità di flusso termico, esso produce una quantità di anidride carbonica pari al 48% del carbone: ma, come avverte l’ultimo rapporto dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu), la maggiore apprensione è data dalle inevitabili perdite dirette di Ch4 (metano) nelle fasi di estrazione, lungo i gasdotti e nelle centrali, con effetti di 80 volte superiori a quelli della Co2 nei primi 20 anni di permanenza in atmosfera.

Per la prospettiva di un ritorno al nucleare le motivazioni contrarie non sono solo dovute al vincolo insormontabile di ben due referendum, ma anche all’impossibilità di eliminare rischi catastrofici come a Three Miles Island, o Chernobyl (dove, nonostante “il sarcofago” di tonnellate di cemento sabbia e boro, la fusione continua), o Fukushima (dove i valori di radioattività ancor oggi rilevati sarebbero così alti che, se un lavoratore lavorasse lì per otto ore al giorno durante un intero anno, riceverebbe una dose equivalente a più di cento radiografie del torace).

Si dice però che si potrebbe puntare alla fusione nucleare, che richiederebbe una temperatura dell’ordine di un miliardo di gradi dopo una compressione del plasma di idrogeno da parte di un sistema di laser di potenza e con un’enorme dispersione di corrente in supermagneti. L’edificio di contenimento non sarebbe inferiore a 8mila metri cubi, e i tempi di realizzazione sono ad oggi del tutto imprevedibili.

D’altronde c’è chi sogna piccoli reattori modulari a fissione dell’ordine di 300-400 megawatt, ma l’implementazione di nuovi progetti è troppo lontana per avere un impatto climatico tempestivo o benefico. Il problema delle scorie, infine, sarebbe ancora più preoccupante, vista la notevole disseminazione di impianti sull’intero territorio, e la mancanza di una soluzione praticabile per decontaminare e isolare definitivamente le scorie altamente radioattive.

Insomma: il metano non ci dà una mano in tempi in cui la brusca crisi climatica in corso diventa irreversibile, mentre il nucleare, addirittura, è per sempre!

Dopo 60 anni, l’industria dell’energia nucleare rimane fortemente dipendente dai sussidi, affronta sfide costose e irrisolte di smaltimento dei rifiuti, e lascia una lunga scia di responsabilità ambientali in corso.

Nel frattempo, le alternative come l’energia eolica e solare, i guadagni di efficienza e lo stoccaggio delle batterie sono ora più economiche della generazione nucleare e di qualunque fonte fossile con o senza cattura di Co2. Ma, soprattutto, le rinnovabili con accumulo (idrogeno o pompaggi) sono più vicine a un’idea di sostenibilità, che la pandemia e la crisi climatica ci suggeriscono di affrontare da specie vivente, anziché da incessanti creatori di superflui manufatti, di cui diventiamo proprietari a danno della socialità.

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