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Nota del Coordinamento nazionale di Lavoro Società CGIL sul confronto con Confindustria sulle relazioni industriali e sulla contrattazione collettiva

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In questi giorni dovrebbe entrare nella fase finale il confronto con Confindustria sull’accordo relativo alle linee guida per le relazioni industriali e la contrattazione collettiva, un confronto che, aperto dal testo iniziale irricevibile, presentato da Confindustria, ha finora prodotto importanti passi in avanti sui temi generali delle relazioni, facendo assumere alla controparte la necessità di una riduzione delle disuguaglianze attraverso la crescita dei salari, e la conferma dei due livelli di contrattazione, con l'impegno a estendere il secondo livello.

Inoltre, elemento di valore è non solo la conferma del Testo Unico sulla rappresentanza, ma l’estensione della misurazione anche alla parte datoriale che si era sottratta nel Testo unico del 2014.

Infine, altri temi che riguardano le relazioni industriali e la contrattazione, come la conferma della centralità del welfare pubblico e la natura integrativa di quello contrattuale, la formazione e la sicurezza sul lavoro, sono certamente elementi che qualificano il complicato confronto svoltosi fino ad ora.

Restano, invece, ancora aperti temi molto insidiosi e pericolosi che, se non rimossi o modificati, rischiano di cambiare il segno e il giudizio sull’accordo stesso.

Confindustria continua a ritenere necessario che i CCNL regolino le clausole e le procedure di raffreddamento, e le conseguenze dell'inadempimento contrattuale che secondo noi vanno respinte e stralciate.

Il punto più pericoloso che resta sul tavolo sta nella definizione degli aumenti salariali e nella salvaguardia dell’autonomia delle categorie nel determinare gli stessi.

Se da un lato si asserisce che la leva degli incrementi salariali debba essere un importante strumento per redistribuire la ricchezza, dall'altro non si può lasciare l'incremento del trattamento minimo (minimi tabellari) solo all'applicazione dell'IPCA depurata e a non meglio definiti “trattamenti economici” che comprendono anche eventuali forme di welfare. Ciò comporterebbe il pericolo che si determini, nella trattativa del CCNL, una restrizione degli spazi e dell’autonomia categoriale per determinare gli incrementi salariali.

Per noi i salari crescono se, a livello nazionale si può negoziare e redistribuire anche la quota di produttività di settore che tiene conto degli andamenti del comparto produttivo e di altri fattori.

Mentre al secondo livello va garantita la possibilità di redistribuire la quota di produttività del sito e/o del gruppo industriale. In questo schema non è mai esistito, né esiste, il “pericolo” di discutere del medesimo trattamento al primo e al secondo livello.

Bisogna, pertanto, allargare quegli spazi, che già ci sono nella bozza, per liberare la contrattazione dai vincoli della sola IPCA e del Welfare, riconsegnando alle categorie l’autonomia negoziale che hanno conquistato negli anni, in un quadro di regole certe che rende esigibile anche la contrattazione per le categorie più deboli, perché questo è elemento dirimente nella prospettiva di un accordo.

Inoltre, sempre restando alla definizione dei salari, riteniamo che vada respinta la richiesta di Confindustria di applicare gli incrementi salariali, calcolati con i criteri sopra esposti, solo sui minimi tabellari. Anche in questo caso si andrebbero a ledere le autonomie negoziali delle singole categorie, alcune delle quali hanno normato nei propri CCNL di settore il calcolo degli incrementi salariali sul cosiddetto “valore punto” e non sui minimi tabellari. Essendo il “valore punto” un montante più consistente dei minimi, risulta chiaro che la stessa percentuale contrattata, applicata ai soli minimi, genera aumenti salariali più bassi. Si raggiungerebbe un'uguaglianza ma al ribasso verso quei CCNL che non hanno il “valore punto”.

Infine, riteniamo che sia utile proseguire il confronto, sarà il direttivo nazionale CGIL a dover decidere la posizione, per verificare le condizioni per modifiche necessarie, sapendo che il nodo vero che è rimasto da sciogliere riguarda il salario, cioè la possibilità non solo di far crescere i redditi dei lavoratori per rilanciare la domanda interna e quindi l'economia del Paese, ma anche per consentire alla contrattazione di redistribuire la ricchezza prodotta. Tema, questo, ancora più importante in una fase di timida ripresa dell'economia, perché parla di equità e giustizia sociale.

Roma, 20 febbraio 2018

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