Le nuove sfide che abbiamo di fronte rendono necessaria una discussione profonda sui modi di pensare e di fare sindacato che abbiamo avuto negli ultimi anni. È indispensabile, anche al nostro interno, rompere gli steccati, favorire il confronto aperto delle idee e delle esperienze, produrre una cultura nell’agire sindacale in grado di coinvolgere e far crescere le delegate e i delegati. Occorre contrastare le tentazioni e le pratiche leaderistiche, rinvigorire la collegialità sulle decisioni e rafforzare l’unità e il senso di appartenenza, innovare l’organizzazione rafforzando la sua natura confederale e plurale, al fine di riunificare e rappresentare di più e meglio gli interessi del mondo del lavoro di ieri e di oggi. Il pluralismo delle idee, delle opinioni e delle posizioni sindacali rimane imprescindibile e vitale per un’organizzazione democratica e di massa come la CGIL, forte di quasi sei milioni di iscritti, e ne costituisce risorsa e ricchezza fondamentale. Il rafforzamento dei percorsi unitari – che vogliamo confermare nella preparazione e nella realizzazione del XVIII° congresso – trova nuova linfa dal permanere di una dialettica tra posizioni e culture sindacali diverse, organizzate in ambito confederale, ai sensi dello Statuto. La storia della CGIL, dal positivo e necessario superamento della dialettica per componenti di partito – sovente ingessante, “predeterminata” e priva di reale autonomia – si è sviluppata nel confronto tra aree o aggregazioni programmatiche, con una dialettica tra maggioranza e minoranza/e, non necessariamente sfociata in un rapporto “maggioranza/opposizione”. Sia quando ci sono state aree programmatiche congressuali, sia, dopo il 2006, con articolazioni programmatiche nelle maggioranze, e finanche quando ci si è misurati (ultimo congresso) con mozioni contrapposte – nate alla fine del percorso congressuale – una positiva dialettica interna ha consentito “gestioni unitarie”, salvaguardando al contempo il pluralismo delle posizioni. Al di là del suo concreto andamento nel corso di questo oltre quarto di secolo, la dialettica programmatica ha consentito alla CGIL di mantenere vivi il confronto, il pluralismo – che non si esaurisce nel “dissenso” dalle scelte maggioritarie – e la dialettica democratica, favorendo la partecipazione degli attivisti, dei delegati, dei dirigenti a tutti i livelli dell’organizzazione. Un patrimonio – pratico, teorico e di regole – che esalta e non mortifica i processi unitari e che non può mai venire sacrificato all’unanimismo o a un’idea monolitica e burocratica di organizzazione. Un pluralismo delle idee, delle culture sindacali, delle visioni del mondo e delle posizioni sindacali che, proprio perché “confederale”, si intreccia con i pluralismi “strutturali” della confederazione: territori, categorie, genere, generazioni, cittadinanze. Il pluralismo è uno schema, un metodo, un’idea di relazioni basato sul rispetto reciproco, sul riconoscimento delle diversità, delle sensibilità, della dialettica interna e del confronto tra posizioni con il fine di raggiungere una sintesi condivisa.
Ma come sappiamo non basta definire il pluralismo in linea di principio.
Una grande organizzazione democratica deve dotarsi di strumenti, di regole per governare la sua vita interna, per garantire il suo pluralismo e l’articolazione dialettica politica tra le diverse “sensibilità” e tendenze, tra le diverse culture che convivono e si riconoscono nella CGIL, soprattutto nella stessa dimensione di maggioranza derivante dal riconoscersi negli assi portanti dell’iniziativa dell’organizzazione, a fronte di un contesto inedito sia sul piano sociale che politico.
Nella lunga storia della CGIL, nella quale tutti ci riconosciamo, ci sono pagine tra loro diverse, ci sono culture diverse, rivoluzionarie e riformiste, tradunioniste e classiste, comuniste e socialiste, ma basta la storia recente, quella che diventa cronaca col passare dei giorni, a definire pluralità di orientamenti e di vocazioni strategiche.
Nel 1984, dopo la stagione di lotta degli autoconvocati e l’esaurirsi della vecchia “sinistra sindacale”, si è affermato in CGIL un pluralismo basato sulle differenti opzioni programmatiche. La Cgil ha dichiarato la fine delle componenti di partito nel 1990 e ribadito, in più occasioni, non riproponibile. Con il congresso del 1991, dopo il formale scioglimento delle componenti di partito, si è avviata la fase delle aree programmatiche.
Con le varie denominazioni assunte a partire dal congresso del ’91, si è data continuità ad un’aggregazione programmatica nelle forme più significative, portando un utile e importante contributo alla dialettica e al confronto delle idee. Questa tendenza organizzata in aree programmatiche – prima tra tutte Democrazia Consiliare nel 1984 e poi Charta 90 e, successivamente, in aree programmatiche congressuali con Essere Sindacato, Alternativa Sindacale e Lavoro Società-Cambiare Rotta – ha contribuito al confronto e alla ricostruzione e rivisitazione della linea politica dell’organizzazione. Nomi e definizioni organizzate collettivamente che hanno corrisposto a passaggi di natura programmatica - avendo come riferimento il merito sindacale, l’articolazione di idee e di culture - e di allargamento delle soggettività coinvolte.
Preferiamo la trasparenza di un’area strutturata alle cordate informali tra i dirigenti, basate sugli affidamenti reciproci o su patti di gestione, a una regolazione e a un pluralismo nella costruzione del gruppo dirigente basati sulla dialettica per strutture, cioè a uno schema di rapporti centrato su alleanze e contrapposizioni tra strutture di categoria o confederali, territoriali o nazionali. La Confederazione perderebbe il suo valore e significato, le strutture diventerebbero “fazioni” e i capi delle strutture “capi-cordata”. Questo ci renderebbe troppo simili ai nuovi partiti leggeri e alla CISL in quanto rimarrebbe l’unica reale forma di aggregazione e di pluralismo carsici in assenza di un riconosciuto pluralismo organizzato.
Riconoscere che le aree sono lo strumento ordinario per regolare la dialettica interna alla CGIL non significa che questa scelta sia ripetibile in forma immodificata, che non incorra anch’essa in devianze burocratiche o tendenze all’autoreferenzialità e alla cristallizzazione.
Ne siamo consapevoli e proponiamo il confronto su come ridefinire, riconoscere il pluralismo delle idee e delle pratiche, la costituzione e la scelta dei gruppi dirigenti, degli esecutivi. Su come rappresentare i pluralismi fondativi e riconosciuti statutariamente o le articolazioni e le sensibilità che possono determinarsi anche in un congresso unitario – o fra un congresso e l’altro – nel quale non c'è misurazione della rappresentatività su tesi contrapposte o su mozioni.
Il pluralismo e la democrazia in una grande organizzazione sociale come la CGIL possono essere solo strutturati in forme organizzate, e assunti politicamente come un valore e definiti coerentemente nelle regole di vita interna o non lo sono.
Il pluralismo delle idee e la formazione e la costituzione di aree non negano altri pluralismi, né le articolazioni e la pluralità delle strutture in cui è strutturata l’organizzazione.
Siamo per un sindacato generale e unitario! Un sindacato nel quale il confronto e la discussione investano tutta l’organizzazione, con analoghe modalità in tutte le strutture. Un sindacato messo al riparo dal rischio di diventare un drago dalle molte teste. Vogliamo avere tanti cuori, tante anime, tante articolazioni, ma essere vaccinati – anche nelle modalità di discussione – da rischi di separazione che passino per pratiche tra loro antagoniste delle federazioni di mestiere.
La confederalità è stata in tutta la lunga storia della CGIL il valore che ne ha garantito unità e coesione democratica anche nei passaggi più difficili e divisivi.
La deriva, di fatto corporativa, della frammentazione categoriale è dal punto di vista organizzativo il pericolo principale per questa capacità della CGIL, della Confederazione di affrontare con la sua autonomia lo scontro generale e il confronto con il padronato e i governi.
La CGIL è un grande sindacato anche perché promuove la partecipazione a tutti i livelli e rifiuta un leaderismo basato su un consenso da espletarsi sporadicamente in primarie o in semplici referendum che chiamano i lavoratori ad esprimersi su singole questioni o a restare altrimenti passivi. Collegialità e militanza attiva sono due concetti che ci sono cari e devono rappresentare il modo di agire di una rinnovata pratica sindacale che voglia diffondersi in tutta l'organizzazione.
Per questo, dobbiamo mantenere una riflessione sulla figura e sul ruolo del “segretario generale”, dei segretari e delle segreterie – così come sancito dal nostro Statuto – e ridefinire regole e comportamenti che rafforzino la collegialità dei gruppi dirigenti, a tutti i livelli, superando l’anomalia di costanti riunioni di segretari generali che, di fatto, esautorano gli organismi dirigenti statutari.
Una organizzazione con la nostra storia dovrebbe avere la forza e i mezzi per evitare scontri tra strutture e/o derive personalistiche, mentre va difesa e valorizzata la dialettica interna, perché la linea politica generale si costruisce in base al confronto e all’apporto di tutti sull’analisi della realtà esterna con la quale siamo chiamati a misurarci e alla capacità collettiva di individuare una linea e soprattutto un'iniziativa e una pratica sindacale chiara e coerente con essa e capace, mobilitando attivamente il mondo che vogliamo rappresentare, di ottenere i risultati e gli obiettivi prefissati. Lo scontro polarizzato su singole individualità, infatti, non consente mediazioni e sintesi, ma produce schieramenti nominalistici e non programmatici.
La definizione programmatica, le scelte politiche, sociali, rivendicative e contrattuali saranno il terreno sul quale si determinerà la qualità del congresso, ma le scelte organizzative dovranno essere coerenti con l’impianto del Congresso stesso e con la natura programmatica della CGIL.
Per questo, a partire dalla definizione dei documenti congressuali e dalle regole del congresso stesso, consideriamo la riforma dell’organizzazione introdotta con il riconoscimento e la formalizzazione delle aree e la conquista del pluralismo programmatico, delle idee e delle pratiche, nella composizione degli organismi dirigenti e la regolazione delle norme per il governo unitario dell’organizzazione e anche quelle che regolano l’ipotesi di un rapporto tra maggioranza e opposizione come una conquista a cui la CGIL non può rinunciare.
La CGIL del futuro può essere solo unitaria, plurale e democratica.
Lo Statuto della CGIL riassume oggi i valori, la storia e la cultura di organizzazione di massa, plurale per sua natura e storia. Senza ricorrere a una lettura rigida e formalistica dello Statuto non sfuggono le contraddizioni di pratiche sistematiche che evidenziano lo scarto tra lo statuto materiale e formale. Sta a noi tutti applicarlo con coerenza superando quelle contraddizioni presenti nella nostra pratica quotidiana.
L’assoluta titolarità di possibili modifiche, che pure auspichiamo, appartiene al congresso. Tuttavia riteniamo che l’attuale Statuto non possa subire stravolgimenti rispetto al suo modello di democrazia e di pluralismo.
Mentre il regolamento con il quale si avvieranno e si determineranno i tempi e le modalità di svolgimento del congresso – una volta discusso nella commissione già istituita e approvato dal Comitato Direttivo – deve contenere elementi innovativi – soprattutto in tema di pieno coinvolgimento di iscritte/i, lavoratrici/lavoratori – tali da prefigurare un congresso unitario, dialettico, partecipato e di confronto democratico reale all’altezza della situazione.
Il problema, pensiamo, non è come si vota ma come si coinvolgono gli iscritti in un percorso di democrazia compiuta, come si discute e ci si confronta, e come si individuano coloro che andranno a costituire la platea congressuale. Se siamo in grado di organizzare il confronto congressuale senza trasformarlo in una conta, come talvolta nel passato, e di coniugare la massima unità programmatica con la massima rappresentazione a tutti i livelli dei pluralismi presenti nell'organizzazione.
28 settembre
I Componenti del Direttivo Nazionale CGIL, della Commissione nazionale regolamento congressuale e della Commissione di garanzia nazionale:
Giacinto Botti, Maurizio Brotini, Cecilia Casula, Roberto Giordano, Sally Kane, Merida Madeo, Giovanni Mininni, Elena Petrosino, Rossano Rossi, Leopoldo Tartaglia