Il percorso legislativo, che ha portato all’approvazione dell’ipotesi di modifica costituzionale, è stato caratterizzato da una discussione parlamentare a tratti compulsiva, con accelerazioni continue e un eccessivo condizionamento del Governo, tutti tratti che mal si conciliano con la sensibilità democratica richiesta da interventi sulla Carta fondamentale. L'impropria polarizzazione che ha dominato il dibattito in Aula (e fuori) ha raggiunto il suo apice con la dichiarata volontà di fare del referendum confermativo un banco di prova per l'operato complessivo del Governo. Una polarizzazione, questa, in totale contraddizione con lo spirito che dovrebbe caratterizzare ogni intervento di modifica della Costituzione, che è la base delle regole comuni che una collettività si da e come tale deve essere sottratta alla contingenza di un dibattito politico determinato nel tempo, per appartenere alla dimensione storica che le è propria.
Il risultato di tale eccessiva e inopportuna polarizzazione della modifica costituzionale ha provocato l'assenza di un dibattito che affrontasse il merito delle proposte in discussione, oscurato da una sterile contrapposizione tra innovatori e conservatori, fiduciosi e disfattisti, che nulla ha a che vedere con l'intento di aggiornare l'architettura istituzionale della Repubblica.
La CGIL, condividendo la necessità di aggiornare con disposizioni mirate la seconda parte della Costituzione per rafforzare le istituzioni pubbliche, fin dalla prima stesura del disegno di legge costituzionale, ha valutato le disposizioni in esso contenute, esprimendo criticità per l'impianto generale e chiedendo, quando necessario, le specifiche modifiche. Purtroppo, dobbiamo constatare che la maggior parte delle considerazioni espresse non hanno trovato adeguato riscontro nel testo finale.
L'apprezzabile e auspicabile obiettivo di superare il bicameralismo perfetto (e in questo senso apprezzando la possibilità che sia la sola Camera dei Deputati a votare la fiducia al Governo), che anche la CGIL richiede da tempo, istituendo una seconda camera rappresentativa delle Regioni e delle Autonomie locali, e di correggere le criticità della riforma del 2001, si è tradotto in un'eccessiva centralizzazione dei poteri allo Stato.
Il nuovo Senato, per composizione e funzioni, non potrà svolgere l'auspicato e necessario ruolo di luogo istituzionale di coordinamento fra Regioni e Stato, essenziale a conciliare le esigenze autonomistiche con quelle unitarie. Al Senato, infatti, non è attribuita adeguata facoltà legislativa in tutte le materie che hanno ricadute sulle istituzioni territoriali e la sua stessa composizione, a prescindere dalla modalità di elezione (diretta o indiretta), non garantisce l'adeguata rappresentanza e rappresentatività di Regioni e autonomie. In questo quadro, infine, in cui avremo un Senato le cui modalità di composizione sono rimandate a una legge ordinaria da approvare, con una funzione legislativa non corrispondente all'obiettivo di farne una camera rappresentativa delle istituzioni territoriali, e una irragionevole moltiplicazione dei procedimenti legislativi del Parlamento, al Governo è attribuita la facoltà di dettare l'agenda parlamentare, potendo porre in votazione a data certa i provvedimenti ritenuti essenziali senza vincoli quantitativi né di oggettività.
Un superamento del bicameralismo perfetto così delineato (unitamente al radicale mutamento del procedimento legislativo e alla centralizzazione delle competenze) attribuisce alla sola Camera dei Deputati e, quindi, al Governo, espressione del partito di maggioranza relativa, una facoltà di determinare le politiche pubbliche che avrebbe richiesto l'introduzione di adeguati bilanciamenti e contrappesi, volti a garantire il perdurare dell'indispensabile equilibrio tra potere legislativo e potere esecutivo. Uno squilibrio aggravato dall'indebolimento degli organi di garanzia, la cui terzietà non è più assicurata dalle nuove modalità di elezione previste per la Presidenza della Repubblica, per i giudici costituzionali di nomina parlamentare e per i componenti laici del CSM.
La nuova formulazione del Titolo V, inoltre, mette in luce la volontà di disconoscere il valore del decentramento e il ruolo delle Regioni e delle istituzioni locali come istituzioni pubbliche centrali nel favorire lo sviluppo locale e l'unitarietà dei diritti sociali. L'indiscussa necessità di introdurre dei correttivi alla riforma varata nel 2001 alla luce dell'esperienza di questi anni si è tradotta in una centralizzazione delle competenze e in una riduzione dell'autonomia delle istituzioni territoriali (o alla loro cancellazione come nel caso, sicuramente non esemplare, delle Province), restringendo il perimetro pubblico (volontà riscontrabile anche nella ridefinizione degli uffici territoriali del governo prevista dalla riforma PA). A compensazione di tale eccessivo accentramento di competenze si è allargato lo spettro delle materie su cui è possibile concedere ulteriori forme di autonomia alle Regioni previa intesa e a condizione di equilibrio di bilancio. Il combinato del nuovo Titolo V, dunque, ci consegnerà una centralizzazione sostanziale con tratti di autonomia a geometria variabile: le Regioni virtuose potranno ottenere maggiori autonomia in materie importanti come ad esempio le politiche sociali, le politiche attive del lavoro, e la formazione, le Regioni non virtuose avranno una sostanziale riduzione delle loro competenze e, infine, per le Regioni a statuto speciale saranno ancora valide le disposizioni vigenti fino all'adeguamento dei rispettivi statuti.
Le stesse modifiche relative agli strumenti di democrazia diretta contraddicono l'intenzione dichiarata dai proponenti di favorire la partecipazione dei cittadini: innalzamento delle firme necessarie a presentare leggi di iniziative popolari e rinvio ai regolamenti parlamentare dell'obbligo di deliberare in materia; rinvio a futura legge costituzionale (mentre si cambiano i ¾ della II parte della Carta) della disciplina del referendum propositivo o di indirizzo e di altre forme di consultazione anche delle formazioni sociali.
Le nuove disposizioni costituzionali delineano un assetto contraddittorio in cui all'intenzione dichiarata di dar voce alle istituzioni decentrate si accompagna una centralizzazione statale delle competenze e dei poteri; alla dichiarata volontà di semplificare il procedimento legislativo, si risponde con procedure che lo rendono ancor più tortuoso e incerto; al dichiarato orientamento di dar voce ai cittadini, si risponde riducendo gli spazi di rappresentanza e intervenendo in modo inefficace sugli strumenti di democrazia diretta. La condivisibile volontà di semplificare il sistema istituzionale al fine di rafforzarlo e renderlo più efficiente, dunque, si sta traducendo in una semplificazione volta a ridurre il perimetro pubblico e gli spazi di rappresentanza, ignorando la complessità politica e sociale del Paese e rinunciando all'esercizio della mediazione come strumento di risoluzione dei conflitti all'interno dello spazio pubblico.
L'esigenza, da tanti condivisa, di introdurre cambiamenti positivi volti a innovare e modernizzare l'assetto istituzionale, dopo oltre 30 anni di dibattiti e proposte, non viene soddisfatta dall’attuale ipotesi di modifica costituzionale.
Il testo approvato si configura come una costituzionalizzazione della attuale prassi politica: invece di introdurre i necessari aggiornamenti connaturati al passaggio da un sistema politico proporzionale ad uno in parte maggioritario, avvenuto nell'ultimo ventennio, al fine di definire un nuovo equilibrio tra il principio di rappresentatività e l'esigenza della governabilità, si opera una modifica dell'assetto istituzionale che rafforza i poteri del Governo e della maggioranza, senza introdurre adeguati bilanciamenti, un rafforzamento che, combinato con una legge elettorale come l'Italicum (di cui auspichiamo sostanziali modifiche anche per scongiurare il rischio di una nuova dichiarazione di illegittimità costituzionale da parte della Corte), rischia di operare una surrettizia modifica dell'ordinamento parlamentare.
La Cgil, dunque, valuta la modifica costituzionale approvata dal Parlamento un'occasione persa per introdurre quei necessari cambiamenti atti a semplificare, rafforzandole, le istituzioni pubbliche, e giudica negativamente quanto disposto, da tale proposta di modifica, perché introduce nella nostra Carta norme incongrue ed inefficaci.
La Cgil si impegna a promuovere un’informazione di massa e momenti di confronto per favorire una scelta partecipata e consapevole di lavoratori e lavoratrici, pensionati e pensionate, cittadini.