Fermare i massacri di civili, accogliere i profughi, sconfiggere il terrorismo dell’Isis
Quello che sta accadendo a livello internazionale ed europeo, le guerre, i conflitti armati ci riguardano tutti. Il terrorismo jihadista e il cinismo interessato delle grandi potenze economiche stanno utilizzando i conflitti mediorientali per un conflitto globale dalle molte facce.
Come in tutte le guerre, le prime vittime sono le popolazioni inermi sulle quali, violando tutte le regole internazionali, si consumano orribili crimini. Dietro la recente escalation militare c’è infatti la tragedia umanitaria, in atto da cinque anni, di grandi masse di civili in fuga dall’orrore e dalla miseria, di centinaia di migliaia di profughi, donne, uomini, anziani e bambini che, nell'indifferenza di troppi, vivono ammassati nei campi lager, bisognosi di cibo, aiuti e assistenza umanitaria. Sono le vittime di anni di dittature, del terrorismo dell’Isis e delle guerre etnico-religiose che lacerano il mondo islamico. La loro tragedia viene utilizzata e strumentalizzata vergognosamente come arma politica di pressione da parte di alcuni governi, da movimenti populisti e razzisti come la Lega Nord e da formazioni neonaziste e neofasciste, sia in Europa che in Italia.
C’è chi scappa dall’orrore e muore nel nostro mare, chi nella propria città colpito dalle bombe “intelligenti” o da gruppi armati, chi viene privato delle libertà e della vita dalle azioni sanguinarie del terrorismo islamista e dei governi dittatoriali che lo sostengono. Sono persone che cercano rifugio, e una prospettiva di vita in un’Europa prigioniera delle sue regole finanziarie e delle politiche fallimentari di austerità, che sta smarrendo il suo profilo democratico e civile e che di fronte all’emergenza profughi rischia la dissoluzione. Un'Europa incapace di affrontare una realtà che richiede coraggio, coordinamento, umanità e una forte solidarietà tra tutti i paesi dell’Unione. Ma che richiede soprattutto scelte economiche e sociali alternative a quelle attuali, e una visione politica lungimirante sul ruolo e il futuro del continente.
Le stragi dei migranti, l’orrore del terrorismo non si fermano alzando vergognosi muri e barriere xenofobe, o barricandosi nei propri Stati mettendo in discussione Schengen, né si può pensare di schierare la flotta Nato a barriera contro profughi e migranti. Così si chiude ogni spiraglio per l’integrazione, così muore anche il progetto di “Stati uniti d’Europa”. Al contrario, vanno garantiti corridoi umanitari di arrivo e transito nei paesi europei e reali processi inclusivi basati su politiche attive di inserimento formativo e lavorativo.
Siamo dentro fenomeni epocali che sono la conseguenza di scelte politiche disastrose, il prodotto di interventi armati a guida Usa sciagurati giustificati come lotta contro dittature e terrorismo mentre, come sappiamo dalle guerre in Afghanistan e in Iraq, l’obiettivo è sempre quello del controllo di territori e risorse, e di un assetto geopolitico spartitorio tra le grandi potenze.
E’ quello che sta avvenendo in Siria, dove l’intervento militare russo e iraniano in funzione antiturca e contro le “petromonarchie” alleate di USA e Francia confermano la strategia di potenze con interessi strategici contrapposti che si contendono l’egemonia anche in quello scacchiere in cui la Pace è messa a rischio fin dalla mancata soluzione pacifica della questione palestinese e dalla politica espansionista di Israele. Guardiamo con interesse al modello di comunità multiculturale e multietnico come soluzione al conflitto interno siriano, indicato dai ribelli kurdi e dai loro alleati arabi del Fronte democratico siriano, non a caso esclusi dal gioco delle grandi potenze dai tavoli negoziali e che invece rappresentano i più coerenti oppositori del regime di Assad e i più strenui combattenti del fanatismo religioso dell’ISIS.
I bombardamenti in Siria a tappeto sulle abitazioni civili, sugli ospedali e scuole, come tutti gli altri bombardamenti, stanno facendo migliaia di vittime, costringendo la popolazione alla fuga verso il confine turco. Per questo sarebbe auspicabile che si arrivasse subito a quel cessate il fuoco di cui si parla in queste ore, che permetterebbe la riapertura delle trattative di Pace e l’arrivo degli aiuti umanitari.
La guerra che si combatte tra le grandi potenze in oriente e nei paesi africani, è la principale ragione di una tragedia senza fine e senza sbocco, che si autoalimenta dentro un groviglio di interessi, di Stati, di sigle e di gruppi, giustificando dittature di ogni natura e alimentando e utilizzando il terrorismo del sedicente Califfato.
Questa minaccia incombente genera paura, e un senso comune diffuso di insicurezza tra le popolazioni europee ancora colpite dagli attentati, in particolare da quelli di Parigi; sentimenti che non vanno sottovalutati, e ai quali vanno date risposte che non possono però produrre, come sta accadendo in Francia e in altri paesi, la messa in discussione delle radici storiche dell’Europa, a partire dalle Costituzioni democratiche che vanno difese. La violenza sanguinaria dell’Isis, che ha ferito tutte le nazioni democratiche con gli attentati, le orribili decapitazioni di innocenti, la distruzione dei simboli di civiltà millenarie, va combattuta con determinazione, ma non cambiando i dettati costituzionali e, soprattutto, costruendo le condizioni per una riconciliazione in Siria ed evitando un nuovo intervento armato in Libia e una nuova guerra fredda.
L’insidia del conflitto armato tra civiltà o tra religioni si sconfigge togliendo ai terroristi e alla loro azione criminale qualsiasi sostegno culturale, economico e politico, la protezione delle petromonarchie del Golfo (finora principali alleate di USA e UE, che devono radicalmente cambiare politica nei loro confronti) e la possibilità di continuare a fare affari con il petrolio e altri traffici.
Siamo per questo contrari a un intervento militare occidentale in Libia, di cui si stanno discutendo i tempi e la “leadership”.
L’Italia deve mantenere la posizione di netta contrarietà, in coerenza con l’articolo 11 della nostra Costituzione, non cedendo alle pressioni dei vertici militari statunitensi che si stanno predisponendo per una decisa azione militare contro la quale si sono già espresse le stesse forze politiche e le tribù libiche, che hanno chiesto solo aiuti umanitari, logistici, tecnici e strumentali per combattere contro una presenza dell’Isis per ora limitata ma che deve fare i conti con la volontà dell’ISIS di estendere, con il terrorismo e la guerra asimmetrica, il campo di battaglia in tutta la umma musulmana, coinvolgendo anche l’Europa, al fine di distrarre forze dal terreno di guerra del Califfato (Siria e Irak).
I governi occidentali - Usa in testa - dimostrano purtroppo di non aver appreso nessuna lezione dai conflitti e dalle guerre permanenti in Afghanistan e Iraq e dalla “guerra civile” in Siria. L’Isis è il nemico comune di tutte le democrazie e di tutti i popoli, ma è anche il tragico risultato delle guerre dell’occidente che hanno distrutto e frammentato ulteriormente le società, prima che i regimi, lasciando situazioni politiche, economiche e sociali di estrema instabilità sulle quali hanno prosperato le milizie che usano l'estremismo religioso come collante e fattore identitario, ma sono alimentate dagli interessi contrapposti di molti degli attori della cosiddetta “coalizione” anti Isis, a partire dall'Arabia Saudita, che i governi occidentali continuano a ritenere principale alleato e con la quale l'Italia ha recentemente concluso ingenti affari con la vendita di armamenti.
L’eventuale fronte di guerra in Libia, peraltro senza nessuna legittimità internazionale, dato che non vi sono risoluzioni delle Nazione Unite, non farebbe che aggravare questo quadro e, al di là dell'obiettivo dichiarato di combattere l'Isis, lo rafforzerebbe facendogli guadagnare il consenso di tribù e popolazioni chiaramente contrarie a un intervento occidentale. E per l’Italia, ex potenza coloniale ci sono, tra l'altro, ragioni storiche, politiche e morali ancor più stringenti contro un suo intervento militare.
L’impegno e le energie della Nazioni Unite, e con esse dell’Europa e dell’Italia, devono essere rivolte a favorire nuovi equilibri basati sulla coesistenza pacifica, la non interferenza negli affari interni dei singoli paesi, basate sul diritto all’autodeterminazione e alla convivenza democratica, a partire dalla soluzione della questione palestinese. Perché non c’è reale processo di PACE senza giustizia, senza un nuovo ordine politico e sociale che abbia come fattori costitutivi i valori della libertà, della democrazia e dell’autodeterminazione dei popoli, la lotta alla povertà, alla diseguaglianza e allo sfruttamento.
Coordinamento Nazionale Lavoro Società, Sinistra Sindacale Confederale CGIL
Roma, 18 febbraio 2016