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Contributo del Coordinamento nazionale di Lavoro Società, sinistra sindacale confederale sul documento per la conferenza d’organizzazione

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Il Coordinamento nazionale di Lavoro Società, sinistra sindacale confederale si è riunito a Roma il 7 maggio 2015 per discutere della Conferenza d’organizzazione. Dopo il confronto a cui abbiamo partecipato in modo propositivo, vuole portare un contributo collettivo di riflessione costruttiva su alcuni punti critici che la bozza documento presenta, pur contenendo  condivisibili e apprezzabili elementi di novità.  

La Conferenza d’organizzazione è una scelta necessaria.  Molti nostri iscritti non comprendono ancora l’urgenza di tenerla, occorre coinvolgerli perché possano viverla come utile a risolvere i problemi che affrontano quotidianamente. Per noi è un’occasione da non perdere, a patto che non sia trasformata in  un atto burocratico o, peggio, in uno scontro politico sui futuri assetti di potere, o sulle modalità per l’elezione del gruppo dirigente. Sarebbe incomprensibile e irresponsabile, saremmo stritolati dal circo mediatico e ci condanneremmo allo stallo politico e organizzativo, alimentando diffidenza e distacco dei nostri iscritti e delle nostre iscritte.

Nel vuoto  e nella mancanza di un’adeguata rappresentanza politica di sinistra - si è chiusa una fase che ci obbliga a una maggior distinzione dei ruoli e a ripensare il rapporto con la politica - occorre affidarci a noi, alla nostra autonomia. Abbiamo bisogno di provare a realizzare insieme quell’autoriforma tanto difficile quanto necessaria per la CGIL. Per ripensarci e superare limiti e derive, per mettere in grado l’organizzazione di rinnovarsi e di affrontare le sfide imposte dalla crisi e dai cambiamenti avvenuti nel mercato e nel mondo del lavoro. Per trasformare in azione collettiva le tante solitudini dei pensionati, dei lavoratori, dei giovani, delle donne nella loro condizione sociale

La Conferenza non è rimandabile,  possiamo costruire un modello organizzativo che non miri  al risparmio e al “pareggio di bilancio”, ma prioritariamente alle nostre necessità di sindacato generale. O saremo noi in grado di cambiarci, o rischiamo un cambiamento imposto dall’emergenza economica e da un governo che, oltre a disconoscerci, ci sta attaccando su più fronti, col taglio dei distacchi e la contrazione dei finanziamenti pubblici destinati ai nostri servizi, i cui effetti non tarderanno a farsi sentire, mettendo a rischio la tenuta economica e organizzativa della CGIL. A questo si aggiunga la preoccupante riduzione del tesseramento e della quota tessera media, e il fatto che molte tessere provengono dall’attività dei servizi.

I servizi svolgono una funzione di tutela individuale importante, sono e devono rimanere parte essenziale a servizio della CGIL e devono entrare nel confronto sulla riorganizzazione.

Questi sono anche fonte di conoscenza di dati, di individuazione dei bisogni del lavoratore, del cittadino nella sua dimensione sociale, che non mettiamo nel circuito conoscitivo, non utilizziamo e  non studiamo al fine di aggiornare le richieste e le proposte da inserire nelle piattaforme a tutti i livelli. La confederalità inizia da qui.  

Realizzare una Conferenza non rituale, utile per migliorare, rinnovare e mettere in sicurezza l’organizzazione è compito e responsabilità prima di tutto del gruppo dirigente.

Occorre guardarci dentro per cambiarci.

Viviamo una crisi generale di rappresentanza, attraversati da burocratizzazione, verticalizzazione, accentramento e uso distorto del potere, da una balcanizzazione strisciante e da una perdita di appartenenza che ha offuscato nel tempo, insieme alla militanza, l’identità stessa e l’azione confederale. Non dobbiamo reinventarci ma ripensarci, razionalizzare e spostare risorse, ridurre sprechi e sovrastrutture, eliminare sovrapposizioni di funzioni, in base all’utilità e al fare concretamente sindacato.

Abbiamo tutte le condizioni per risalire la china se riconosciamo le cause e le responsabilità di questa deriva. L’autoriforma è possibile ma, come dimostra la Conferenza del 2008 rimasta incompiuta, non si realizza con nuove regole statutarie o con le  delibere, che pure sono necessarie,  ma attraverso la convinzione, la coerenza e la responsabilità del gruppo dirigente, a partire dai segretari generali, nel praticarla e realizzarla. Fare il sindacalista è una scelta; i valori di riferimento, l’etica, la correttezza, la lealtà, la solidarietà,  insieme all’assunzione di responsabilità, devono vivere nella discussione. La distanza tra quanto decidiamo e quello che realizziamo è il segno più evidente e preoccupante della burocratizzazione ramificata, dell’ “ognuno fa quello che vuole” e della perdita di confederalità. Burocratizzazione è anche avanzare e sostenere proposte senza porsi il quesito della loro praticabilità e sostenibilità.

Occorre aprire un serio confronto, senza rimozioni, sulle ragioni della mancata realizzazione delle decisioni che si assumono negli organismi dirigenti.

Non ci sono strade brevi o facili.

La CGIL è un’organizzazione complessa, articolata nella rappresentanza e con modalità organizzative differenti tra regioni e categorie. Per questo è importante definire scelte  generali, dentro le quali ripensare la nostra organizzazione in tutte le sue articolazioni.

La  Conferenza, fuori da ogni burocratismo, deve delineare una rinnovata identità di sindacato confederale e di confederalità, indicare un modello, una struttura organizzativa che risponda a un’idea di contrattazione capace di rappresentare e riunificare la complessità del mondo del lavoro di oggi su un progetto generale, andando oltre le derive, i ritardi e le inefficienze.

L’aspetto politico e quello organizzativo non vanno mai disgiunti: occorre definire l’asse strategico e il baricentro sui quali ci assestiamo per sperimentare la nostra riorganizzazione.

La contrattazione inclusiva, rinnovata ed esercitata a tutti i livelli dev’essere il cuore della Conferenza.

La velocità dei cambiamenti e la dimensione dei problemi richiedono risposte complesse, non banali e di qualità; la contrattazione deve misurarsi con i cambiamenti e con l’impatto delle leggi imposte dal governo. E’ una sfida se vogliamo ancora investire nella contrattazione, che è il nostro tratto identitario, non piegandoci a un’idea di sindacato istituzionalizzato, più dei servizi che dei lavoratori e delle lavoratrici.

Il reinsediamento e il radicamento passano principalmente dai luoghi di lavoro e dall’azione confederale e contrattuale delle categorie, dalla risindacalizzazione, dalla formazione continua del gruppo dirigente diffuso, a partire dalle delegate e dai delegati.  

La comunicazione è centrale. Occorre mettere a disposizione di tutta l’organizzazione l’informazione e la circolarità dei contenuti del confronto. Le buone pratiche vanno immesse nel circuito organizzativo superando i compartimenti stagni e la corporativizzazione e il particolarismo latenti. Per questo occorre immettere un alto tasso di confederalità, coordinare le scelte e le rivendicazioni a tutti i livelli, tenere insieme la lotta generale con quella particolare, di settore, sociale e aziendale.

La bilateralità, da ricondurre nell’alveo tradizionale di strumento di emanazione contrattuale, è di supporto all’azione contrattuale nei settori più deboli, per sostenere il reddito e il welfare integrativo sanitario e sociale. Il salario sociale, la mutualità solidale, la bilateralità sono presenti nel mondo del lavoro e nella nostra contrattazione e vanno organizzate e indirizzate, fermi restando la difesa e il rafforzamento del sistema pubblico sanitario nazionale.

La regia, il coordinamento confederale sulla contrattazione nazionale e di filiera, territoriale, di sito o sociale sono necessari per la conquista dei CCNL, per delineare contenuti rivendicativi, per costruire rapporti di forza e di sostegno alle mobilitazioni coerenti con le scelte assunte.

Nessuna subordinazione di qualche struttura, ma un coordinamento di confronto, di conoscenza e di contaminazione con le tante buone pratiche contrattuali che realizziamo, di indirizzo e di indicazione  sulle vertenzialità e le piattaforme da mettere in campo. L’autonomia decisionale, il ruolo delle categorie non sono in discussione, così come la titolarità che non va rivendicata ma esercitata e valorizzata. Abbiamo bisogno di sperimentare una nuova stagione contrattuale a tutti i livelli con l’immissione di un alto tasso di rinnovata confederalità, se vogliamo affrontare sul piano generale  lo scontro imposto dalla crisi e dal governo, di maggiore collegialità, nella consapevolezza dei limiti di una contrattazione difficoltosa, corporativa e poco inclusiva, rinchiusa nelle roccaforti e sempre meno in grado di rappresentare l’intero mondo del lavoro, e dare risposte ai bisogni del lavoratore e del cittadino nella sua condizione sociale.

Occorre certamente spostare risorse - umane ed economiche - e decisioni verso il basso, valorizzare le Camere del lavoro con le loro articolazioni, ma soprattutto occorrono progetti d’insediamento conosciuti e condivisi, una maggiore orizzontalità che riparta però dai luoghi di lavoro e dal territorio per ricostruire proselitismo, partecipazione, militanza e una diffusa rappresentatività e rappresentanza. La confederalità deve ritrovare centralità e valore attraverso la funzione essenziale delle categorie e dello SPI sul territorio e nei luoghi di lavoro, esercitando quella contrattazione che è e deve rimanere il cuore pulsante dell’organizzazione.

Il territorio è un mondo da scoprire, un luogo di costruzione dello sviluppo partecipativo, di sperimentazione della contrattazione sociale che incrocia quella aziendale e categoriale.

L’altra centralità della Conferenza per noi è la formazione.

Occorre rendere esigibile a tutti i livelli il diritto, oltre che all’informazione da trasformare in conoscenza, in saperi ed esperienza,  a una formazione estesa e di qualità. Molto sta cambiando, l’effetto invasivo, distorcente della legislazione nella contrattazione e nel mercato del lavoro, la presenza nei luoghi di lavoro di più tipologie di contratto, lo spostamento dal diritto collettivo al diritto individuale, rendono non solo politicamente ma tecnicamente più difficile fare il delegato e il sindacalista. Le competenze, le capacità, il ricambio generazionale, in particolare con le energie provenienti dai luoghi di lavoro, devono tornare centrali nell’individuazione dei futuri dirigenti. Deve cambiare e di concepire il nostro modo di fare sindacato, riaffermando i valori e aggiornando le conoscenze necessarie.

La formazione, più compiuta e di qualità, dev’essere concepita sempre più come investimento, organizzata e coordinata dalla CGIL, obbligatoria per il gruppo dirigente a tutti i livelli e garantita, a carico delle categorie, per le delegate e i delegati. Occorre elevare il livello di conoscenza generale e accrescere il profilo identitario, rafforzare e fornire le competenze nell’esercitare una rinnovata contrattazione di qualità, per rinsaldare, attraverso la risindacalizzazione, il rapporto tra l’azione contrattuale in difesa della condizione lavorativa individuale e collettiva e la funzione confederale, per ridare forza e senso al tesseramento. Tutto questo avendo particolare riguardo nei confronti di chi fa contrattazione nei luoghi di lavoro e ricopre il ruolo difficile di delegato RSU, di rappresentante sindacale aziendale o della sicurezza o di rappresentante sindacale di bacino del settore artigiano. Figure fondamentali che vanno riconosciute e adeguatamente formate.

La CGIL è un organizzazione militante di iscritti e di iscritte, che ha nella sua concezione di democrazia, nel pluralismo e nella pluralità la sua ricchezza e gli anticorpi per respingere gli assalti corporativi e populisti. Per contrastare la deriva valoriale di molti partiti, e il dispotismo di un Presidente del Consiglio che, colpendo le istituzioni e la Costituzione, sta imponendo un presidenzialismo che squilibra la rappresentanza, annulla i contrappesi dei poteri costituiti e indebolisce la partecipazione attiva dei cittadini.  

Questo secondo l’idea perversa e pericolosa dell’uomo solo al comando e del partito nazione.

Noi non siamo per la delegittimazione del principio della rappresentanza e della democrazia partecipata e delegata, e siamo per respingere la democrazia plebiscitaria e la volontà di trasformare la CGIL in un’organizzazione di opinione pubblica.

In CGIL la passione, le pluralità, la ricchezza delle opinioni  si riconoscono e si incontrano.

Per questo lo spostamento di risorse umane ed economiche verso il basso, per non restare soltanto una scelta resa necessaria da considerazioni di tipo operativo, deve affiancarsi ad un ritorno alla valorizzazione delle strutture di base territoriali come sedi decisionali e di scelta dei gruppi dirigenti di quel livello, ricostruendo un’etica della democrazia e della responsabilità nella filiera di elezione dei gruppi dirigenti e di valutazione e promozione dei quadri.    

Le modalità innovative per l’elezione del segretario generale e della segreteria - attraverso la nuova Assemblea generale da affiancare al Direttivo, “eletta con le stesse modalità e criteri del direttivo e composta da almeno il 50% di attivisti in produzione e delle leghe Spi” - vorrebbero rispondere all’obiettivo e alla necessità del riconoscimento del ruolo e del protagonismo di chi è nei luoghi di lavoro, di un positivo allargamento del consenso e della collegialità, ma sulla loro efficacia e sul ruolo dell’Assemblea esprimiamo alcune perplessità. E’ necessaria una riflessione sulle difficoltà di partecipazione e di coinvolgimento degli attivisti in produzione. I nostri delegati sono sottoposti alle conseguenze della crisi, chiusi nella realtà  lavorativa, condizionati dalla mancanza di permessi sindacali e ricattati sulle ricadute del jobs act. Tutto questo rende difficoltosa la conoscenza e la partecipazione alla vita dell’organizzazione, e può privare i delegati dell’autonomia necessaria, facendo correre loro il rischio di essere strumentalizzati ed utilizzati nello scontro interno. Siamo per mantenere il principio del voto segreto nell’elezione dei segretari. Crediamo che a dover essere ripensate siano le modalità con cui si svolgono i nostri congressi, al fine di garantire la partecipazione e la reale possibilità agli iscritti e ai delegati di essere protagonisti e contare nelle scelte politiche e contrattuali, più che nell’elezione dei gruppi dirigenti. Non è sufficiente aumentare i luoghi o il numero delle persone coinvolte nel processo decisionale e di selezione del gruppo dirigente per affermare effettiva collegialità e una democrazia partecipata e consapevole. Occorre costruire le condizioni, a partire dall’applicazione delle nostre regole statutarie sul ruolo degli iscritti, delle segreterie, dei segretari generali e dei direttivi, sulla costruzione e le conclusioni delle piattaforme per garantire percorsi di democrazia compiuta, di coinvolgimento non formale ed estemporaneo, dando e riconoscendo a tutti gli strumenti per esercitare il ruolo loro assegnato.

Occorre superare la contradditoria prassi consolidata della riunione dei segretari generali, se si vuole coerentemente combattere burocratizzazioni e l’accentramento di potere, dando forza agli organismi decisionali e alla collegialità, come si  scrive nella bozza di documento.

Con l’Assemblea generale si rischia inoltre di creare una dualità, di svuotare di senso i direttivi che già oggi sono poco partecipati e nei quali il confronto e la verifica della direzione politica languono. E anche per questo riteniamo che la possibilità, per i componenti del direttivo, di esprimere voti o pareri a distanza attraverso un indirizzo PEC, sia da regolamentare e da circoscrivere a situazioni eccezionali e ben definite. Occorre rivitalizzare il ruolo dei direttivi, strumenti decisionali ed espressioni della democrazia delegata, della rappresentanza plurale e degli equilibri politici statutariamente definiti. Essi devono essere sempre più organismi decisionali, partecipati e non limitati o disconosciuti.

Il pluralismo programmatico, la ricerca dell’unità e del consenso, basati sul confronto delle idee e la valorizzazione delle esperienze, devono restare valori irrinunciabili, contro qualsiasi tentativo di imporre nella confederazione una sorta di “dittatura” del segretario generale e delle sue opzioni politiche, così come il pluralismo delle posizioni deve continuare ad essere una ricchezza da valorizzare per contrastare la formazione dei gruppi dirigenti sulla base di criteri di fedeltà piuttosto che di competenza e di rappresentanza, rischiando di snaturarne il loro ruolo e di trasformarli nello  “staff” del segretario generale.

In conclusione.

La bozza documento per la Conferenza ha in sé molti contenuti condivisibili che vanno declinati e affermati con coerenza. Contemporaneamente riteniamo, su alcuni aspetti, di dover esprimere perplessità e sollecitare una riflessione. Per noi la Conferenza d’organizzazione:

  • E’ l’occasione da non disattendere e da non trasformare in atto burocratico, per mettere in sicurezza l’organizzazione, per ripensare e rinnovare la CGIL, riaffermandone la confederalità e i valori, superando i ritardi e le derive che l’attraversano, per costruire il sindacato del futuro, migliore e più utile;
  • Il suo cuore dev’essere l’estensione e la qualità della contrattazione, insieme al proselitismo e al tesseramento. E alla formazione del gruppo dirigente, delle delegate e dei delegati;
  • Le scelte assunte vanno sperimentate e poi verificate al Congresso, devono essere supportate dallo spostamento delle risorse (economiche o di funzionari/dirigenti), sempre più scarse, verso il territorio in funzione del rinnovamento sinergico delle funzioni delle strutture e dei servizi, e a supporto dei progetti di reinsediamento, costruiti e condivisi dai centri regolatori, le Camere del lavoro, le categorie e i servizi.
  • E’ il luogo per un confronto partecipato e costruttivo nel quale va conservato, difeso il profilo identitario della confederazione, il suo essere soggetto politico generale, democratico, autonomo e plurale di rappresentanza sociale, che fonda la sua essenza nei principi e nei valori costituzionali, nella contrattazione, nella democrazia partecipata.
  • E’ il luogo dove ricercare e adeguare linguaggi, modalità organizzative e forme di rappresentanza, dando valore a ciò che siamo e facciamo, riconoscendoci per essere riconosciuti, riscoprendo il senso di appartenenza e di solidarietà.

La Conferenza non può essere rimandata né trasformata nella continuità dello scontro politico congressuale. La CGIL è un punto di riferimento, è il sindacato dei diritti universali, della contrattazione, della partecipazione, della democrazia e della militanza, e non un movimento di opinione. Da noi i segretari devono continuare ad essere eletti e non incoronati.

Fare la Conferenza è una necessità, per realizzare noi quell’autoriforma, difficile ma indispensabile per contrastare gli attacchi, superare le difficoltà nel rappresentare la complessità del mondo del lavoro e nell’esercitare la contrattazione. E’ per noi un’occasione da non perdere: si dovrà decidere, senza forzature statutarie di carattere generale né salti nel buio, come ripensarci e uscire insieme da questo tempo difficile, con lo sguardo rivolto al futuro.

 

Roma, 7 maggio 2015

 

Il Coordinamento nazionale di Lavoro Società

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