Relazione introduttiva di Andrea Montagni alla riunione del coordinamento nazionale della sinistra sindacale in FILCAMS-CGIL, 12 febbraio 2021
Buongiorno,
Ci riuniamo in videoconferenza: la situazione sanitaria è ancora grave e richiede responsabilità sociale, individuale e collettiva; è più difficile il contatto tra lavoratori, delegati e funzionari. In una riunione della SLC CGIL nazionale, una compagna ha spiegato brillantemente perché le nostre sedi devono rimanere aperte e perché non dobbiamo subire e imporre alle persone la sola voce anonima di un front office telefonico: “quando si entra in una sede CGIL , anche nel rispetto delle norme sul distanziamento, bisogna sentirsi “abbracciati”, ha detto.
Voglio ricordare tutte le donne che cadono ogni giorno vittime di violenze e omicidi. Sono vittime di maschi assassini e di un clima sociale che ha alimentato e alimenta ignoranza, disprezzo e odio sessista. Sono martiri, loro malgrado, della lotta di liberazione delle donne che è anche la nostra lotta.
Voglio ricordare Giulio Regeni, simbolo della crudeltà dei regimi tirannici che le grandi potenze, Italia compresa, blandiscono perché funzionali alle loro politiche di predazione e controllo delle materie prime e degli scenari internazionali. La CGIL è impegnata per ottenere giustizia e per la liberazione di Patrick Zaki.
Un pensiero va ai fratelli migranti che continuano ad affogare nel mare nostro e morire congelati sui passi balcanici e alpini e a subire angherie, violenze e patimenti nei lager in Libia e nei campi in Turchia, Grecia e Bosnia.
Il quadro internazionale
Molte cose sono cambiate in così poco tempo. Le uniche costanti sono la pandemia mondiale tuttora in pieno sviluppo e la crisi economica e sociale che sta travolgendo anche il nostro paese.
La vittoria democratica nelle elezioni statunitensi è il risultato di un massiccio e inedito coinvolgimento delle comunità nera e latina e di ampi settori della working class bianca, grazie alla capillare mobilitazione delle organizzazioni sindacali e dei movimenti antifa e antirazzista che hanno contrastato politicamente, socialmente e anche fisicamente il suprematismo, le violenze poliziesche e le politiche di divisione etnica. Con la vittoria di Biden, finisce la minaccia che il trumpismo ha determinato sulla scena internazionale, come dimostra il nervosismo e lo sbandamento che si registra anche presso i seguaci nostrani come Salvini. Di nuovo nel mondo le forze democratiche oseranno di più.
Ma la realtà non si presta a letture manichee. Con Biden, gli Stati uniti proseguiranno la politica di interferenza negli affari interni degli altri paesi, cercando di utilizzarne le contraddizioni ai propri fini e agiteranno le parole d’ordine di libertà e democrazia per imporre comunque il loro controllo. Le tragedie della Siria e della Libia, il dramma dell’Ucraina fascistizzata qui in Europa sono qui a ricordarci quanto rimanga pericoloso l’interventismo americano, anche quando mascherato o animato di buoni propositi. Chiunque non applichi i principi della coesistenza pacifica e della non interferenza (come Stato) nella politica interna degli altri paesi persegue i propri fini e non la causa della libertà e della democrazia!
Sullo sfondo la rivalità tra USA e Cina, vera bomba a tempo, se non verrà disinnescata.
La situazione italiana e il nuovo Governo
Le misure di controllo adottate, il blocco dei licenziamenti, gli ammortizzatori sociali, l’utilizzo massiccio del lavoro da remoto negli uffici e i protocolli di sicurezza siglati con le parti sociali hanno attenuato l’impatto violento delle misure anticovid. Questo non ha impedito che in tutti i settori nei quali il lavoro stagionale è la forma prevalente del rapporto di lavoro e nei settori dove sono diffusi lavoro a chiamata e lavoro discontinuo, l’impatto sia stato quasi senza alcuna protezione. Turismo, ristorazione, tempo libero sono settori agonizzanti.
Avevamo un governo giallo-rosa che godeva di un consenso popolare, anche se messo alla prova dalla gestione della pandemia e dai ritardi nell’erogazione della cassa e dei “ristori”, oggetto di una campagna di stampa ostile che cercava di far leva sul malcontento popolare per le restrizioni e i ritardi, inviso a Confindustria e incapace, al tempo stesso, di dialogare apertamente con il movimento sindacale perché timoroso di scontrarsi con il padronato e la finanza.
Nel giro di un anno si sono consumate tutte le aspettative e le promesse di revisione delle politiche liberiste. “Meno assistenzialismo” si dice, cioè: meno cassa integrazione, meno reddito di cittadinanza e d’inserimento, meno naspi, via il blocco dei licenziamenti e più soldi a babbo morto alle imprese! Confindustria ha ripreso una offensiva su vasta scala per ribadire la supremazia del profitto e la balla che il mercato si autoregola da solo.
Confindustria rilancia la ricetta che fu alla base delle controriforme di Sacconi e Renzi.
Eccoci dunque al nuovo governo.
Ci sottraiamo al coro assordante del “viva Draghi, salvatore della patria”. Un coro che sovrasta e omologa tutto e tutti, e che abbiamo già conosciuto in passato con Ciampi, Dini e Monti. Abbiamo una sana diffidenza, anche perché non dimentichiamo che Draghi, è stato fra i padri della stagione delle privatizzazioni, un convinto liberista e uomo designato dalla grande finanza internazionale.
Tutti i governi guidati da “tecnici” – da Ciampi con le politiche fallimentari dei redditi e gli accordi di concertazione, a Dini fino a Monti - si sono rivelati governi che hanno favorito il capitale, l’impresa e il profitto. Il mondo del lavoro, il ceto medio, i poveri, le donne e i giovani, con i governi di “unità nazionale”, “del presidente” o dei cosiddetti “tecnici”, hanno sempre pagato sulla loro pelle.
Il futuro governo si aprirà a destra, parlerà con più attenzione ai poteri forti del Paese, Confindustria in testa, e guarderà ai bisogni del mercato, agli interessi della grande e piccola finanza, muovendosi nel solco liberista. Dobbiamo mantenere la nostra autonomia, e mobilitarci per quanto abbiamo definito e convenuto con le lavoratrici, i lavoratori e i pensionati.
La Cgil si troverà dinanzi a un governo con il quale sarà più difficile ottenere quanto indicato nelle nostre piattaforme: la necessità assoluta di discontinuità e cambiamento.
La CGIL e la categoria
Purtroppo le sorti del governo non sono nelle mani del movimento operaio. Certe aperture preventive di credito di questi giorni mi hanno lasciato basito.
L’unico modo di stare dentro la crisi della politica, per la Cgil, è di tenersi forte la sua autonomia, rifuggendo dal richiamo – avanzato da più parti – a nuovi patti “sociali” o concertativi. Il Piano di ripresa e resilienza deve contenere obiettivi chiari e verificabili di nuova occupazione, stabile e di qualità, prima di tutto grazie all’intervento diretto pubblico nei settori strategici, nella riconversione ecologica, e nella pubblica amministrazione.
Proroga del blocco dei licenziamenti e degli sfratti, ammortizzatori universali, contratti di lavoro, riduzione e redistribuzione degli orari di lavoro sono i terreni su cui la nostra confederazione deve misurare qualsiasi governo.
Una lotta senza tregua alla evasione e alla elusione fiscale e una tassa patrimoniale sulle grandi ricchezze, che sostenga la riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, tenendo distinte le politiche di assistenza carico della fiscalità generale, dagli ammortizzatori sociali finanziati dal sistema delle imprese, legati alla prestazione lavorativa e che integri i due sistemi per garantire livelli dignitosi di reddito a tutte e tutti.
Saremo giudicati – come sempre – per la nostra capacità e coerenza nel rappresentare i bisogni e i diritti di lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati, giovani precari e in cerca di lavoro.
Il nostro declino organizzativo è alle porte se non riformiamo rapidamente la nostra struttura rendendo più orizzontale, più decentrata sul territorio, più confederale in termini di politiche, di persone e di risorse la Confederazione. Se non ritorniamo rapidamente con le nostre Camere del lavoro ad essere “il luogo dell’abbraccio”, della solidarietà, della risposta sociale organizzata, confederale e sottolineo la parola organizzata.
La CGIL cerca con crescente difficoltà di tenere la barra, di dare voce al mondo del lavoro. Ci siamo caparbiamente dedicati alla tutela quotidiana dei lavoratori. Nel quadro difficile in cui operiamo diamo vita ad iniziative di lotta, ma la nostra voce è sommersa.
Registriamo anche qualche significativo successo come quello dei riders, che stanno conquistando il riconoscimento del loro lavoro con i diritti ad esso legati (orari, malattia, ferie, riposi settimanali, salario), come il riconoscimento nella legge di bilancio, dopo anni di lotte, della contribuzione per le scodellatrici delle mense scolastiche; o il passaggio dalla precarietà dell’appalto all’assunzione a tempo indeterminato nella scuola di parte dei lavoratori degli appalti scolastici. Il rinnovo del contratto dei metalmeccanici e gli altri precedentemente approvati in altri settori industriali sono àncore importanti per il movimento sindacale e per i lavoratori. Siamo impegnati nei rinnovi contrattuali della nostra categoria.
La nostra non sarà la fatica di Sisifo: la pietra che stiamo spingendo sulla montagna, quando arriveremo in vetta, precipiterà dalla parte opposta e non saremo costretti a ricominciare!
Un sassolino nella scarpa
Non abbiamo da pungolare, né da sottoporre ad esame il lavoro quotidiano e la politica rivendicativa e contrattuale della FILCAMS. Volevamo e vogliamo portare un contributo di idee, a partire anche da quanto via via elaborato nell’esperienza di categoria e confederale. Vogliamo far vivere e mettere a valore il marxismo come teoria e prassi dell’agire sindacale, praticando i valori dell’uguaglianza, della lotta contro lo sfruttamento degli esseri umani, contro la barbarie dell’economia capitalistica e dell’imperialismo.
Avevamo programmato per il 24 febbraio un seminario sugli appalti per una riflessione strategica che prendeva spunto e metteva a valore la elaborazione sulla “internalizzazione” della FILCAMS fiorentina fin dal 2014 e ripresa recentemente anche in quella torinese. Avevamo invitato, proponendole di chiudere i lavori, la compagna della segreteria nazionale che segue il settore e le avevamo illustrato per lettera i contenuti e il programma della iniziativa, quasi al dettaglio.
L’8 febbraio le strutture hanno ricevuto una lettera della Segretaria generale che informava “Venerdì 19 febbraio 2021 dalle ore 10.00 alle 13.30 è prevista la convocazione di una Riunione nazionale, in videoconferenza, sul tema degli Appalti alla presenza di esperti del settore. Nei prossimi giorni provvederemo ad inviare il programma dettagliato ed il link per il collegamento.”
Non abbiamo apprezzato. Ma… non vorremmo che le nostre iniziative fossero lette come “risposta” o lezioncina a posteriori su quello che proporrà il 19 febbraio la nostra segreteria: non siamo né grilli parlanti, né “maestrini dalla penna rossa”. Per questo, non faremo l’iniziativa del 24 febbraio.
Vi racconto, ut maneant dicta, la nostra impostazione per una iniziativa nella quale avremmo dato la parola ai delegati, agli operatori, alle strutture che gestiscono sul campo la contrattazione, per farla chiudere alla segreteria nazionale.
Le politiche rivendicative vanno inserite in un disegno strategico. Il nostro obiettivo dichiarato è l’unità dei lavoratori come classe sociale di per sé. L’unità contrattuale è uno strumento.
Le differenze retributive e normative, anche nei contratti collettivi, sono determinate da fattori oggettivi e soggettivi: dalla legge del valore, dal rapporto tra lavoro vivo e lavoro morto (materie prime, macchinari, procedure), dalla formazione necessaria (esperienza professionale, titolo di studio, anzianità nella mansione, ecc..) dallo Stato del mondo in cui uno lavora (il surplus derivante dalla disponibilità di ricchezza proveniente dal saccheggio di materie prime e dal controllo internazionale delle reti commerciali), dal settore in cui si opera, infine dalla combattività e dalla tenuta contrattuale dei lavoratori e delle loro organizzazioni sindacali.
Il sindacato di classe tiene conto di queste differenze, non predica un egualitarismo astratto, ma mira all’unità dei lavoratori tenendo conto e conciliando spinte e interessi che possono divergere, mantenendo l’uguaglianza dei diritti e la solidarietà di classe come valori fondanti.
In Italia, il sindacato classista di ispirazione socialista ha privilegiato la categoria rispetto all’azienda, la confederalità come elemento unificante e non di solo coordinamento, vedendo in questo un più forte elemento di unità di classe.
Nella realtà degli appalti si pone il problema di ricostruire l’unità sia contrattuale che sindacale, che politica della maestranze che operano nella stessa azienda.
Abbiamo degli strumenti a disposizione; la contrattazione di sito, per far partecipare tutti i lavoratori alla contrattazione di secondo livello siano essi dipendenti, interinali o in appalto; la contrattazione di filiera per ricondurre tutti i lavoratori che operano in una azienda o in un settore allo stesso contratto; la reinternalizzazione per ricondurre i lavoratori ad avere la stessa controparte. Stessa azienda, stesso padrone, stesso contratto.
Bisogna procedere per tappe, per tentativi e compromessi. Sarebbe un primo risultato se in ogni azienda appaltante ci fosse una sola azienda che fornisce i lavoratori in appalto, ma bisogna avere chiaro l’obiettivo strategico!
La FILCAMS-CGIL è passata dal 1990 ad oggi dalle 200.000 tessere alle attuali 578.000 anche in virtù della esternalizzazione e della frantumazione contrattuale dei lavoratori. Il fatto che la FILCAMS abbia “recuperato” così tanti lavoratori, offrendo loro tutela e organizzazione è un fatto positivo. Il raggiungimento dell’obbiettivo che dichiariamo provocherebbe una riallocazione di iscritti e di risorse: ma la nostra tessera è quella della CGIL e l’organizzazione in categorie risponde ad una logica contrattuale per sua natura mutevole, mentre l’appartenenza alla confederazione connòta la scelta di classe!
Semmai, la FILCAMS-CGIL deve essere meno timida e far pesare in CGIL l’autorevolezza che le deriva dal suo peso organizzativo e contrattuale che è pari o superiore a quello che hanno avuto in passato la Federbraccianti e la FIOM!
Una nota personale
Questa è la mia ultima relazione ad un nostro coordinamento. Il 28 febbraio sarà il mio ultimo giorno di lavoro.
Ho passato la mia vita come iscritto, delegato e funzionario in CGIL dal 1978. Ho avuto l’onore di ricoprire incarichi di categoria e confederali a tutti i livelli, territoriali, regionali e nazionali. Sono andato a scuola dalle lavoratrici e dai lavoratori, mi sono formato in una fase acuta di scontro politico e sociale. Sono arrivato al sindacato grazie alla fiducia, al sostegno e al voto dei miei compagni di lavoro.
Nel 1978, quando a Firenze varcai il portone della sede della Federazione unitaria CGIL-CISL-UIL per iscrivermi alla Lega dei disoccupati, non avrei immaginato che solo tre anni dopo sarei stato un delegato del Consiglio di azienda della Esselunga, dopo aver fatto esperienza di direzione e di organizzazione, a titolo puramente volontario, nella lotta per la stabilizzazione dei precari assunti con la Legge 285 del 1977 e di quelli assunti dalla Università degli Studi di Firenze.
Il mio rapporto con il sindacato, prima che entrassi nel mondo del lavoro, erano le riunioni con gli operai vicini ai gruppi della estrema sinistra, delegati nei loro luoghi di lavoro, e il confronto fisico con i servizi d’ordine del sindacato alle manifestazioni. Ma ho sempre avuto chiaro che la CGIL - nonostante non ne condividessi linea e prassi rivendicativa, tantomeno la subordinazione alle scelte politiche di PCI e PSI - raccoglieva e organizzava i settori più combattivi del movimento operaio italiano.
La CGIL è capace di accogliere, organizzare, indirizzare ogni energia anche quelle più lontane dall’orientamento prevalente! Questa capacità di accoglienza alle volte è stata smarrita da dirigenti che si sono formati in anni diversi, cresciuti non nel fuoco della lotta, ma nella gestione dell’ordinario. Un ordinario che, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, è stato quello di un costante ripiegamento rispetto alle conquiste della generazione che mi ha preceduto, quella del biennio 68/69, quella dello Statuto dei lavoratori, della conquista del diritto alla pensione e della riforma sanitaria.
A Federico Antonelli, il compagno che collettivamente abbiamo scelto, il compito difficile, ma gratificante sul piano politico ed umano di coordinarvi per il futuro. Gli darete tutte e tutti una mano.
Vi passo il testimone.
Ricordatevi sempre di essere rossi ed esperti, Prima rossi, mi raccomando, ça va sans dire!
Vi voglio bene e sono fiero di essere uno di voi, un compagno della CGIL.