Il ruolo degli intellettuali e dei mezzi di comunicazione di massa.
Una prima considerazione di metodo. “Il presente come storia” è il problema per i nostri dominanti, in Italia e nel mondo. Le guerre per loro, per i loro intellettuali e per i loro giornalisti, sono quello che si vede in superficie. Così come per ogni fenomeno della realtà contemporanea. Non bisogna guardare i processi storici, non occorre vedere il retroterra storico da cui guerre e realtà contemporanea originano.
Le guerre sono stato d’eccezione e fungono da perfetto catalizzatore per capire a che punto siamo con la retorica, almeno qui in Occidente, sulla democrazia, sui diritti umani, sui “valori europei e occidentali”, ecc. Retorica ributtante, manipolazione delle coscienze, due pesi e due misure e via discriminando. Liberali e democratici a parole. Censura, caccia alle streghe, mettere a tacere, licenziamenti, ecc. nella pratica reale con chi non “ulula con i lupi”, non si adegua al pensiero unico e alla informazione unica. Così è avvenuto e avviene nella guerra in Ucraina e così nell’attuale guerra in Palestina (i media arruolati dicono “guerra in Israele”).
Allora. In alcune testate Usa giornalisti e giornaliste sono in questi giorni “fired”, licenziati, perché la pensano diversamente o dicono qualcosa di dissonante a proposito di Palestina e di Israele. Addirittura la giornalista Emily Wilder della Associated Press è stata costretta alle dimissioni poiché nei suoi anni da giovane studentessa del college era stata attivista pro Palestina.
La scrittrice palestinese Adania Shibli, che doveva ricevere un premio presso la Fiera del Libro di Francoforte, si è vista cancellato l’evento. Con il solito ipocrita tentativo di conciliazione con il parallelo invito ad avere scrittori israeliani alla Fiera. Patrick Zaki, il ricercatore egiziano di Bologna, solo per aver difeso la causa palestinese e criticato Netanyahu, è stato censurato da quel campione “democratico” che è Fabio Fazio e si è vista cancellata dalla sindaca “democratica” di centrosinistra Castelletti la presentazione del suo libro a Brescia. Moni Ovadia, critico da sempre del comportamento di Israele nei confronti dei palestinesi, è stato costretto a dare le dimissioni da direttore del Teatro di Ferrara.
Negli annali dell’imbecillità servile italiota il modello rimane comunque la cancellazione delle conferenze su Dostoevskij, a cura del mite e profondo conoscitore di letteratura russa Paolo Nori, all’Università Bicocca di Milano, appena scoppiata la guerra in Ucraina.
I.
In questi giorni quello a cui assistiamo suscita forti emozioni e forti sentimenti. Ma anche tante riflessioni, tanto pensiero, del passato e del presente, si impongono oggi a chi abbia un minimo di senso critico e di impegno civile e politico. I dominanti mondiali prediligono, hanno bisogno della guerra di religione, della guerra santa, della tifoseria, acritica per definizione. Hanno bisogno delle chiusure identitarie. Bene e male, noi e loro. Altro che masse fanatiche e irrazionali, mosse solo da passioni sfrenate. I nostri dominanti europei e occidentali usano vecchi arnesi, vecchie pratiche dell’infame colonialismo. “Divide et impera”, dividi e domina. Gli inglesi e poi gli Usa maestri in ciò.
Nell’apartheid creato in Palestina, Israele ha favorito in origine Hamas, la deriva islamista, proprio per spodestare ed eliminare il pericoloso progetto politico laico dell’Olp. Al cui interno c’erano sicuramente varie correnti e vari movimenti, alcuni moderati e altri più radicali. Con annesso verosimile finale dell'avvelenamento di Yasser Arafat. Oggi Abu Mazen e l’Autorità Nazionale Palestinese sono ridotti a simulacri del glorioso progetto politico dell’Olp.
Il sonno della ragione produce sempre mostri. Violenza per violenza, orrore per orrore. Ma con la netta differenza che i bambini palestinesi squartati sotto le bombe israeliane sono considerati formichine. Al pari delle formichine vietnamite, afghane, irachene, siriane, libiche, yemenite, ecc. ecc. Non sono come i morti e i bambini uccisi, con tanto di nome e cognome, israeliani e occidentali in generale. Immane ipocrisia dell’Occidente. Israele è un pezzo di Occidente piazzato in quella terra martoriata da 75 anni a questa parte.
II.
Il giornalismo coraggioso nella “anglosfera”, nel mondo anglosassone, soprattutto negli Stati Uniti, esiste, c’è. Giornalisti e analisti di grande valore, a parte il venerando Noam Chomsky, come Seymour Hersh, John Pilger, Robert Fisk, Chris Hedges, Caitlin Johnstone e tanti altri fanno onore a un’attività così importante come l’informazione. Non come avviene nell’enorme sistema massmediatico assoldato e allineato, molto in Europa e soprattutto in Italia.
Così come esistono in Israele movimenti e persone, a partire da Peace Now e dal compianto Uri Avnery, coscienze critiche, giornalisti, storici (Ilan Pappé, Zeev Sternhell, ecc.), intellettuali, scrittori, ecc. che cercano di pensare lucidamente e che non si allineano. Che non si abbandonano all’isteria guerresca dilagante e che rivendicano da sempre la soluzione, improntata a giustizia e al diritto internazionale, della questione palestinese. Improntata al diritto umano, ancestrale, non scritto. Non quello della immensa ipocrisia dei “valori occidentali”, dei “valori europei”, dei “valori democratici e umani” a marca Usa e occidentale.
Razzismo, suprematismo bianco, a questo si riducono tutte quelle belle parole. I popoli oppressi delle periferie del mondo ne hanno avuta, nel passato e oggi, tragica esperienza. In breve, colonialismo, apartheid, razzismo ancora sono in essere. Non sono cose del passato. “Decolonizzare la mente” è il sempiterno compito antropologico, culturale, politico di noi europei e occidentali. Compresi gli israeliani, va da sé.
III.
In origine questo articolo era stato pensato per ricordare importanti intellettuali italiani recentemente scomparsi. Si tratta di Gianni Vattimo e di Domenico De Masi. Sui quali si dovrebbero dire molte cose, anche critiche. Ma qui ci limitiamo a ricordare che sono stati studiosi seri, preparati, rigorosi, formatisi in pieno Novecento. Prima dello spartiacque, tra 1989 e 1991, del trionfo definitivo del neoliberismo e del pensiero unico. Prima che molto mondo intellettuale, molto mondo dei mass media e molto mondo politico venissero investiti dal vento omologante e neoliberista dell’opportunismo e dell’arruolamento. Ruolo subalterno, omologazione, nicodemismo comodo e ben pagato. Con le dovute e lodevoli eccezioni, naturalmente.
A distinguersi, per contrasto e per protervia, politici, intellettuali e giornalisti un tempo nel campo della sinistra. Un tempo a fianco dei lavoratori, degli studenti, delle classi subalterne, e poi passati allegramente al campo opposto. Quelli che danno del putiniano a chi denuncia Usa e Nato all’origine della guerra in Ucraina, e dell’antisemita a chi denuncia l’apartheid messo in atto da Israele. I nomi sono legione.
Prima dello spartiacque, e prima del decennio di preparazione di tale svolta negli anni ottanta, l’Italia ebbe la grande stagione scaturita dalla Resistenza e dalla vittoria sul nazifascismo del secondo dopoguerra. La grande stagione di movimenti e di partiti della sinistra, di avanzate, di conquiste sociali, sindacali e politiche. Parallelamente a ciò, come solido retroterra, una grande stagione si dispiegava, di fervore intellettuale, di cultura, di giornalismo indipendente. Dando anima e corpo a tali conquiste.
Una stagione così ricca e così feconda di coscienze critiche, di intellettuali, di scrittori e scrittrici e di giornalisti e giornaliste. I quali e le quali, tra le altre cose, hanno contribuito a vedere chiaro nella stagione oscura della guerra fredda e a contrastare la subalternità dell’Italia al dominio Usa e Nato e pertanto, per quello che qui ci interessa, ad avere visione lucida sul ruolo di Israele e sui destini dell’oppresso popolo palestinese.
IV.
Perché ci odiano? Così, nel passato e oggi, si domandavano e si domandano molti statunitensi a causa delle nefandezze compiute nei quattro angoli del mondo da parte dei loro governi e dei loro apparati, palesi e occulti. Così occorre domandarsi sempre, europei e occidentali, con annessi israeliani. L’odio di molta parte dei popoli del Medio Oriente, del mondo arabo-islamico, dei popoli delle periferie del mondo è stato alimentato e viene costantemente alimentato dal terrorismo di Stato e dai comportamenti quotidiani di distruzione delle case dei palestinesi, di uccisioni da parte di coloni armati e protetti dai soldati israeliani e via opprimendo. Gaza è solo il terribile atto ultimo di questa serie.
E la chiamata alla mobilitazione e all’allineamento contro il terrorismo islamico in Italia, in Europa e in Occidente, la strategia della paura e della diversione di massa nell’additamento del nemico da colpire, serve solo a chi non ha orizzonte e respiro. A chi pensa, come il governo italiano, con questi mezzucci di dare soluzione a problemi così gravi per il futuro dell’umanità intera.