Thailandia: vince l’opposizione, ma per il nuovo governo pesa il condizionamento di esercito e monarchia - di Giovanni Monaci

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La Commissione elettorale thailandese il 19 giugno ha finalmente certificato i risultati delle elezioni legislative dello scorso 14 maggio. L’esito appare chiaro: gli elettori hanno detto “basta” al regime di Prayuth Chan-ocha, nato dal golpe militare del 2014.

I due principali partiti dell’opposizione sono stati i più votati per i 500 seggi della Camera: Phak kao klai (151 seggi) e il Puea Thai (141). Ma è 376 il numero su cui si gioca il futuro politico della Thailandia: i voti che il governo deve ottenere dalle Camere riunite. Servirà l’appoggio almeno di una parte dei 250 membri del Senato, che sulla base della costituzione golpista del 2017 è nominato dall’esercito. Quindi l’establishment conservatore monarchico e militare può ancora dire la sua, nonostante la sconfitta alle urne.

Alla Camera c’è stato un testa a testa tra il Puea Thai dell’ex premier Thaksin Shinawatra, forte dei suoi tradizionali feudi nelle campagne nel nord, e il progressista Phak kao klai (Move Forward), che ha fatto breccia tra i giovani, con un quasi cappotto nei 33 seggi di Bangkok. Nei 400 seggi assegnati col maggioritario, i due partiti sono quasi alla pari con circa il 23% ciascuno; ma nel voto di lista per i rimanenti 100 seggi, il Move Forward è primo con oltre il 31%.

Sconfitta la coalizione del governo uscente. Il terzo partito è il Bhumjaithai, che di quella alleanza faceva parte; il polo conservatore Palang Pracharat ha pagato cara la divisione tra il premier Prayuth, il cui nuovo partito è solo quinto, e il vicepremier uscente Prawit Wongsuwon, quarto.

Nel 2019 i voti dei senatori nominati consentirono a Prayuth di costruire una coalizione con svariati partiti minori escludendo il Puea Thai, allora primo partito. Per uscire dall’odierna contrapposizione, potrebbe emergere anche un governo di coalizione ibrido. Già in campagna elettorale si ventilava l’ipotesi di un accordo tra Shinawatra –il “Berlusconi della Thailandia”, anche proprietario di un impero mediatico - e importanti esponenti del governo uscente (in particolare l’ex generale Prawit, grande manovratore del Senato), che permetterebbe a Thaksin di rientrare dall’auto-esilio senza scontare in carcere una condanna del 2008.

L’impopolarità del governo Prayut aveva fatto prevedere una vittoria dell’opposizione, a cominciare dai Shinawatra. Il Pheu thai - ora guidato da Paetongtarn Shinawatra, novizia in politica, figlia di Thaksin, primo ministro dal 2001 al 2006, e nipote di Yingluck, al governo tra il 2011 e il 2014, entrambi deposti da un colpo di stato dell’esercito - ha promesso generosi aiuti finanziari a chi ha sofferto maggiormente per la pandemia (pensionati, lavoratori con salari bassi, agricoltori).

Ma è il Move Forward, partito riformista e pro-democrazia, il vincitore delle elezioni, prima forza politica alla Camera bassa. Move Forward è il più attivo per l’abrogazione dell’articolo 112 sulla lesa maestà, una rivendicazione di migliaia di manifestanti che nel 2020 chiedevano una revisione della monarchia, un argomento tabù in Thailandia, dove il re Maha Vajiralongkorn gode di uno status quasi di divinità.

Move Forward è nato dalle ceneri del Phak anakhot mai, sciolto nel 2019 quando al voto era risultato la terza forza politica del regno. Lo scioglimento contribuì a scatenare proteste contro l’establishment e la monarchia. Fino a pochi anni fa sarebbe stato impensabile che Move Forward potesse ottenere più seggi e voti di qualsiasi altro. Non è un caso che i temi del suo programma fossero all’ordine del giorno anche nel movimento di protesta studentesco del 2020. Alcuni dei candidati di Move Forward, e il suo stesso leader, hanno militato in quel movimento. Il Move Forward ha superato le aspettative grazie al voto giovanile, e di chi non vuole un Paese a democrazia limitata e una monarchia intoccabile, né crede nelle ricette neoliberiste del Pheu Thai.

Move Forward ha messo insieme una coalizione di otto movimenti politici, raggiungendo 312 seggi alla Camera bassa. Ma a parte i voti necessari dai senatori, su Pita Limjaroenrat, 42enne leader del partito, è ancora in corso un’inchiesta della Commissione elettorale per aver violato la legge che proibisce di candidarsi in Parlamento se in possesso di azioni di media: se condannato, potrebbe essere interdetto dalla politica, con possibili conseguenze sull’esistenza stessa del partito. Il caso è considerato dagli osservatori come l’ennesima dimostrazione di come la magistratura difenda gli interessi dell’establishment: l’accusa contro Pita riguarda il possesso di una quota infinitesimale - ereditata dal padre - di un’emittente televisiva che non trasmette dal 2007.

I partiti dei militari, dei generali Prayut e Prawit, possono ancora farcela a tornare al governo pur con un umiliante numero di seggi alla Camera (meno di 80).

 

Queste elezioni sono state seguite con interesse in Asia, dall’India all’Indonesia, presidente di turno dell’Asean, dove siede anche il Myanmar. Al cambio di vertice a Bangkok corrisponderebbe, infatti, un cambio di marcia verso la giunta golpista birmana.

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