Care compagne, cari compagni, basta! Troppe ipocrisie, troppe parole vuote dinanzi all’ennesima strage di Stato che si è consumata a Cutro. Abbiamo il diritto di non dimenticare e il dovere di ricordare. Io ricordo le parole del dottor Pietro Bartolo dopo la visita alle carceri libiche: “Li ho visti scuoiati vivi, le ho viste stuprate fino alla paralisi…ho visto anche cosa succede a chi scappa dalla Libia e viene portato lì… Nessun essere umano può essere riportato in Libia. Nessuno”.
“Aiutiamoli a casa loro” si traduce in facciamoli morire. Il commissario delle Nazioni Unite aveva parlato di “un oltraggio alla coscienza dell’umanità”, e l’Onu aveva definito la guardia costiera libica un miscuglio di milizie e di trafficanti di esseri umani. Dal 2017, con il memorandum della vergogna tra Italia e Libia che porta la firma di Marco Minniti, ministro degli Interni del governo Gentiloni, stiamo ancora finanziando economicamente, e con l’invio di mezzi e di armi, la violazione dei diritti umani, della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati.
Le politiche repressive dei vari governi degli ultimi decenni nei confronti di un fenomeno epocale come quello dell’immigrazione sono oggi rilanciate da un governo di destra che meriterebbe uno sciopero solo per la sua violenza, la sua disumanità verso i deboli. I poveri e i migranti.
In questi anni oltre ventimila morti annegati, tanti i corpi in fondo al mare, altri rimasti senza nome, mai identificati. I loro morti sono come i nostri. Il dolore di non sapere non ha distinzione di colore, di ceto e di genere. Sono stragi frutto di una politica europea e italiana che si arroga il diritto di vita e di morte sulle persone, facendo divenire un reato il diritto all’immigrazione. Tu sì, se servi al mercato, se fuggi dalla guerra in Ucraina, se sei bianco e ricco. Tu no se sei nero, fuggi da paesi poveri e dalla guerra. Solo il razzismo, il fascismo, l’indifferenza rendono tollerabile lo strazio di migliaia di donne, uomini, bambini e bambine.
Nel 1998 la legge Turco Napolitano istituì i primi Cpt. Nel 2002 la Bossi-Fini, mai messa in discussione dai governi tecnici e di centrosinistra. Nel 2013, il governo Letta istituì il programma “Mare Nostrum” che fu smantellato un anno dopo dal governo Renzi.
Ricordiamo. Il 3 ottobre 2013, a Lampedusa, la più grande strage di immigrati con centinaia di morti, rimasti per mesi in fondo al mare. Nel 2020 il memorandum con la Libia fu rinnovato dal governo M5s-Pd nonostante gli appelli di centinaia di associazioni, compresa la nostra Cgil. Il governo di destra lo ha rinnovato per altri tre anni, ma le responsabilità delle politiche di respingimento non sono solo dell’attuale governo o di quello Conte-Salvini dei decreti sicurezza, che tra l’altro criminalizzavano le Ong identificate come “taxi del mare”.
Il nostro sdegno, il dolore, si trasformino in rabbia, in un sussulto di ribellione, in una critica impietosa verso l’Unione europea finanziaria, mercantile e bellicista, verso i governi e le forze politiche italiane che non hanno prevenuto le stragi. Per questo le bandiere rosse della Cgil hanno riempito le strade di Cutro, e prima ancora quelle di Milano contro il razzismo e la disumanità verso i profughi, e poi quelle di Firenze contro lo squadrismo, il fascismo e la deriva reazionaria. Le nostre piazze sono legate da un filo rosso fatto dei valori, dei principi e della cultura che si trovano nella nostra moderna e attuale Costituzione antifascista, vilipesa e non rispettata, che abbiamo il dovere di difendere e applicare.
Oggi l’Italia è in guerra, contro la maggioranza del popolo italiano e la sua Costituzione che la ripudia. La guerra, essa stessa un crimine, come ci ricordava Gino Strada. Siamo al disfacimento di un’Europa piegata agli interessi Usa, corresponsabile della guerra in Ucraina e della sua pericolosa escalation che si poteva evitare e oggi bisogna fermare. È questa la priorità assoluta, ed è per questo che bisogna dire basta all’invio di armi e al riarmo.
È una guerra per procura e di potere tra imperi, gli Usa contro Cina e Russia, per la conquista e il possesso delle materie prime e il controllo delle vie commerciali, in un mondo in cui, su otto miliardi di persone, noi occidentali siamo un’esigua minoranza. Un conflitto spacciato come difesa della democrazia e della civiltà, le stesse menzogne usate per giustificare le altre guerre in Jugoslavia, Iraq, Afghanistan e Libia. Solo un pazzo o un bugiardo può pensare che si possa arrivare a una vittoria militare contro la Russia e la Cina, sua alleata. Occorre non rassegnarsi alla guerra e avviare una trattativa che porti a una tregua subito e a una Pace possibile, condivisa e duratura.
Il governo classista aumenta le diseguaglianze e la precarietà di vita e di lavoro, privatizza il sistema pubblico, la scuola, la sanità, e vorrebbe con l’autonomia differenziata la secessione dei ricchi e l’isolamento del Sud, scardinare con il presidenzialismo la nostra democrazia parlamentare. Un governo lontano dai valori della Costituzione, con una presidente del Consiglio che non riesce a condannare gli squadristi di Firenze, gli assalitori della nostra sede, i raduni fascisti e nazisti nella Milano medaglia d’oro della Resistenza. Una presidente del Consiglio incapace di prendere le distanze dal ventennio, che giustifica e copre la celebrazione da parte della seconda carica dello stato della nascita del Msi. Si è reso onore ai militanti e ai fondatori di un partito di fucilatori di partigiani, di reduci e collaborazionisti di Salò. Noi rendiamo invece onore e siamo riconoscenti a chi ha lottato ed è morto per la libertà e la nascita della Repubblica.
Una presidente, madre e cristiana, che vuole portare indietro le lancette della storia offuscando non solo i diritti delle famiglie arcobaleno ma quelli delle bambine e dei bambini: negando il diritto all’amore.
Per questa ragione, nonostante il corretto invito istituzionale al nostro Congresso della presidente del Consiglio, rivendico il mio diritto, altrettanto legittimo, di esprimere con rispetto la mia distanza, perché l’antifascismo è elemento costitutivo della mia storia personale e di militante della Cgil. La Cgil è un presidio di democrazia, e affonda le proprie radici nella migliore storia del movimento operaio e della sinistra politica.
Care compagne e cari compagni, il nostro congresso avviene in una fase complicata, dopo quattro anni difficili che hanno visto una pandemia e una guerra, la crisi economica e ambientale. È un momento di libero confronto, di verifica e di prospettiva, di rigenerazione del pensiero e della militanza. Non è un appuntamento di semplice costruzione e rinnovo del gruppo dirigente, ma momento conclusivo di partecipazione attiva e militante nel quale le generazioni non si rottamano, ma si riconoscono, si sostengono, scambiano esperienze e valori, e lottano insieme per conquistare diritti sociali e civili e un paese migliore.
Sappiamo che dobbiamo risalire la china, affrontare l’arretramento culturale, l’individualismo che attraversa anche la nostra rappresentanza, ricostruire i rapporti di forza tra capitale e lavoro, tra sfruttati e sfruttatori, tra ricchi e poveri. Perché il vecchio e il moderno scontro tra capitale e lavoro non è mai scomparso. Riappropriamoci delle nostre antiche quanto moderne parole che hanno il valore della storia e fanno parte della nostra identità.
La battaglia sui valori va ripresa con decisione. E dovremo tenere alta la guardia sulla questione morale che è questione politica. Il verminaio che ha coinvolto il Parlamento europeo, un ex sindacalista Cgil e il segretario generale dell’Ituc, è per noi una ferita, soprattutto per gli accostamenti offensivi con la nostra organizzazione. Ma non siamo tutti uguali. La Cgil ha buoni anticorpi e la nostra diversità etica è indiscutibile. La Cgil è parte lesa: non potrà mai essere la casa dei corruttori e dei corrotti; è il luogo della solidarietà e della militanza, del confronto e dell’espressione del pluralismo delle idee e del pensiero, ed è proprietà collettiva delle iscritte e degli iscritti e non proprietà individuale.
La Cgil non ha bisogno di uomini soli al comando né di fedeltà, ma di lealtà e senso di appartenenza. La distanza tra quanto diciamo e scriviamo e quello che realizziamo è segno della necessità di recuperare confederalità rafforzando il nostro insediamento nei luoghi di lavoro e nella società, attorno al ruolo essenziale delle delegate e dei delegati. Occorre rimettere al centro le idee forti di “lavorare meno, lavorare tutti” per redistribuire il lavoro e “pagare meno per pagare tutti” per sconfiggere l’evasione fiscale e recuperare risorse per lo stato sociale e i servizi pubblici.
La nostra mobilitazione confederale generale nel paese dovrà intrecciarsi con l’azione contrattuale nazionale, territoriale e sociale, sapendo mettere coerentemente contenuti che pongano al centro l’aumento del salario e non surrogati ad esso, e la riduzione e il controllo degli orari.
Dal congresso dovremo uscire più forti, con una Cgil unita, coerente e plurale. Una Cgil gelosa della sua autonomia di pensiero e di proposta, non dipendente dai partiti e dai governi ma mai autosufficiente, indifferente e antipolitica. Noi sappiamo quale sia la differenza storica tra sinistra e destra, e speriamo che la politica progressista e di sinistra ricominci a giocare la sua partita a fianco della Cgil e del mondo del lavoro. Una Cgil con lo sguardo rivolto all’orizzonte, a quanto sta avvenendo in Europa e sul piano internazionale, immersa nella concretezza dei problemi e dei bisogni individuali e generali di chi rappresentiamo.
Questo dipende da noi, tutte e tutti. Siamo il sindacato democratico di rappresentanza generale, la casa della solidarietà e dell’eguaglianza, delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati, sempre ancorata a quella visione e a quell’interesse generale che vive nel nostro quadrato rosso.
Care compagne, cari compagni, fuori da qui c’è il paese reale, c’è bisogno di noi, di tutte e di tutti. C’è bisogno della Cgil. Viva la Cgil!
*Intervento al XIX Congresso nazionale Cgil, Rimini 15-18 marzo 2023