I processi di esternalizzazione post crisi anni ‘90 ci consegnano oggi una condizione del paese che vede il sistema pubblico fortemente indebolito. Le politiche di welfare, necessarie per sopperire al dramma sociale post-capitalista, nel passaggio da welfare state al welfare mix, sono oggi sbilanciate completamente verso la componente privata, a tal punto che il sistema non può più reggere. E' necessario un riequilibrio che non può esimersi dalla programmazione di un concreto percorso di re-internalizzazione.
Il sistema degli appalti, incentrato sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ha subito negli ultimi 40 anni un decorso tale per cui i soggetti fornitori di servizi (spesso cooperative sociali) non riescono più a sopravvivere, e per farlo hanno bisogno di affidarsi a grandi gruppi che stanno monopolizzando il sistema, ma sono destinati anch’essi in un futuro poco lontano al declino. Basti pensare che siamo arrivati ad una condizione in cui il prezzo orario che l’appaltante versa al privato è circa quattro volte superiore a quello del salario del dipendente che opera in quel servizio. E’ indispensabile invertire la rotta, verso un sistema a prevalente gestione pubblica dei servizi. Ma farlo oggi, con la debolce condizione in cui versano gli enti pubblici, non è una sfida semplice.
Per questo è necessario un percorso che veda il sistema della cooperazione sociale, quello vero, come strumento indispensabile di supporto al pubblico in questa fase, in un dualismo di interscambio che utilizza un attore privato in grado di ridistribuire i profitti in ottica mutualistica e cooperante, contrariamente all’accumulo di capitali che è obiettivo di altri soggetti privati.
Laddove il pubblico è costretto ad appaltare, l’offerta economica dovrebbe essere uno dei criteri secondari. Si dovrebbe invece, in un’ottica sistemica, valutare anche lo scopo d’impresa e quanto il soggetto affidatario riesce a ridistribuire in termini di ricchezza sociale, limitando così il bisogno di welfare per il quale è stato chiamato in causa.
Pensare oggi ad un'inversione di tendenza promossa da un governo di destra è fantascienza. Il rischio concreto invece è un ulteriore indebolimento dello Stato e una risposta al disagio sociale attraverso un utilizzo del welfare come strumento di controllo, e non di risposta attiva e, in prospettiva, risolutiva.
E’ in questo contesto che in questi giorni le lavoratrici e i lavoratori del territorio di Massa Carrara vivono sulla loro pelle la crisi di liquidità e le difficoltà di sopravvivenza della cooperativa sociale Compass. La cooperativa si occupa di diversi servizi alla persona, tra cui la gestione di una Rsa pubblica. Attualmente gli stipendi vengono pagati a singhiozzo, nell’incertezza totale del saldo. La situazione tra le dipendenti e i dipendenti è esplosiva, e se non riusciremo a sbloccarla saranno momenti drammatici per loro e per le loro famiglie.
Chi lavora ha diritto ad essere retribuito in tempi certi, dato che le bollette e i ratei dei mutui non aspettano. Se poi gli stipendi non arrivano perché è un’azienda speciale del Comune a non saldare i propri debiti, siamo al paradosso. La crisi di liquidità in cui versa il datore di lavoro è infatti legata a un credito maturato dalla coop, nei confronti dell’azienda pubblica, di un milione e 800mila euro. La classe politica locale, chiamata ad una presa in carico, si è prodigata nel raccontare come le responsabilità politiche siano da ascrivere a chi governava la città in passato, senza proporre soluzioni concrete. Alcune settimane fa il sindaco leghista è stato sfiduciato, e oggi il Comune è commissariato. La vertenza è complessa, anche nella scelta dell’individuazione della controparte principale: la coop? Il Comune di Massa? L’azienda speciale?
Una cosa è certa: chi lavora deve essere pagato, e la Cgil farà di tutto per restituire compensi e dignità a chi lavora, forte anche di un collettivo organizzato di iscritte e iscritti che hanno mostrato, in ogni occasione, partecipazione e voglia di lottare.